Lc 15, 11-32
Un uomo aveva due figli.
Descrizione molto semplice, che introduce già due aspetti che
saranno sviluppati nella parabola: questi due figli restano tali qualunque cosa
facciano e dovunque siano, e se sono figli dello stesso padre sono anche
fratelli tra loro. Vedremo che entrambe le cose non sono così scontate come
potrebbero sembrare.
il figlio più giovane, raccolte
tutte le sue cose, partì per un paese lontano
La scansione temporale dei vari momenti è molto importante nella
vicenda del figlio minore. In ciascuno
dei due figli potremmo individuare una o più situazioni della nostra vita. Anche
nella vita della comunità cristiana possiamo vedere diverse situazioni
corrispondenti ai diversi momenti dell’esperienza del figlio minore e alla
situazione e allo stato d’animo del maggiore. In modo particolare quello che fa
il figlio minore è distribuito in un tempo che potrebbe essere assai lungo: non
si trova bene con il padre e per un certo tempo tiene per sé questo disagio,
poi decide di andarsene, e l’allontanamento richiede tempo, così come per un
certo tempo rimarrà lontano; poi ci vorrà del tempo per gestire la crisi, la
ricerca di una sistemazione cercata da solo, il tornare in sé, il decidersi a
ritornare a casa…
Ciascuno di questi momenti attualmente è vissuto da qualcuno
nella chiesa: chi non si trova bene, chi se ne sta andando lontano, chi lontano
ci sta benissimo per chissà quanto tempo, chi non si trova più bene, chi sente
che gli manca qualcosa, chi si abbassa a fare qualunque cosa per trovare ciò
che manca, chi sta ritornando in sé, chi sta tornando... E in ciascuno di
questi momenti resta figlio del padre, dovunque sia e qualunque cosa faccia. Personalmente
credo che papa Francesco ci aiuterà a capire proprio questa realtà.
là sperperò il suo patrimonio
vivendo in modo dissoluto.
Il patrimonio può essere usato in modo accorto o in modo
dissennato. Così come il patrimonio donatoci al nostri ingresso nel mondo, che
noi abbiamo a disposizione ma che non ci siamo conquistati con il sudore della
nostra fronte: tempo, energie, risorse, natura, intelligenza, e la vita stessa
non sono certo un capitale che ci siamo guadagnati. Ce lo siamo trovati, e il Padre
lo ha messo a nostra disposizione. Possiamo usarlo come meglio crediamo, in
modo sensato o in modo insensato. Le conseguenze, anche negative, stanno nel
modo di usarlo, non nel modo in cui verrà giudicato da altri, padre compreso.
Questo giudizio è invece quello che esprimono i farisei e gli scribi, a cui è
rivolta questa parabola.
Si avvicinavano a
Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi
mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Lc 15,
1-3
Attenzione a quel ‘mangia con loro’.
Quando ebbe speso tutto,
sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel
bisogno.
Prima era tutto preso nei desideri che poteva realizzare con i
beni del padre. Ora è nel bisogno, che è la conseguenza che portano con sé i
beni diventati non più mezzi ma fine. La vita dipende dal fine, non dai mezzi.
Allora andò a mettersi al servizio
di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a
pascolare i porci.
Per gli ascoltatori ebrei di Gesù questo richiamo ai maiali
(animali immondi per definizione) era molto chiaro ed esprimeva tutta
l’abiezione in cui questo ragazzo era caduto. Ma credo che anche per noi finire
a pascolare i porci non sarebbe uno dei lavori più ambiti. È l’estrema
conseguenza della dipendenza dai beni. O meglio, da una vita che dai beni trae tutto
il suo senso.
Avrebbe voluto saziarsi con le
carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Curiosa osservazione. Ci si potrebbe chiedere perché non se le
prendeva, le carrube. Ma nessuno dà nulla per nulla, in particolare in tempo di
crisi, quando ci si tiene ben stretto quello che si ha e gli altri diventano
nemici da cui guardarsi.
Allora ritornò in sé
Curiosa anche questa affermazione. Se torna in sé vuol dire che
prima era in qualche modo fuori di sé.
Quanti salariati di mio padre hanno
pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
Questa motivazione del ritorno del figlio minore è assai poco
dignitosa. Torna perché ha fame.
Non ho nessuna fretta di portare i giovani alla Chiesa perché so
che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere
delle povere creaturine ignare del futuro e di tutto, piccole e sporche
creaturine buone solo a far porcherie, a vantarsi, a pensare a se stesse. Quel
giorno dove vuoi che si rivolgano? Al marxismo? Al liberalismo? Al
protestantesimo? All’ateismo? Si rivolgeranno là dove si assolvono i peccati e
si promette, anzi si assicura, la vita eterna. E io dovrei abbassarmi a tirare
faticosamente la gente verso una Chiesa di cui la gente non ha nessuna voglia
quando so che prima o dopo il velo cadrà da sé e sarà la gente stessa a correre
verso di lei?
don Lorenzo Milani, dalla lettera a Giorgio Pecorini, 10
novembre 1959
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di
essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Ecco una delle prime importanti sottolineature riguardanti i
rapporti tra i due figli e il padre. Il più giovane non si ritiene più figlio,
a causa dei propri comportamenti. La stessa cosa farà il maggiore, anche lui a
causa dei propri comportamenti, ma per motivi esattamente opposti.
Si alzò e tornò da suo padre.
Anche questo ritorno, come ogni momento precedente, richiede
tempo. Quanti attualmente nella chiesa, soprattutto tra i giovani, si stanno
allontanando? E quanti sono sulla strada del ritorno? E soprattutto, come si fa
a saperlo? Ciò che ciascuno vive nel suo profondo è molto difficile da vedere
dal di fuori. Lo può solo sapere (e neppure sempre) chi lo vive.
Quando era ancora lontano, suo padre
lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo
baciò.
L’atteggiamento del padre è bellissimo, e ricorda il buon
samaritano.
…un Samaritano, che
era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece
vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il
suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. lc 10, 33-34
Ma ha dovuto aspettare che il figlio tornasse. Se lo avesse
fatto all’inizio dell’allontanamento sarebbe stato forse vissuto dal figlio
come fastidioso, e si sarebbe ribellato.
Il figlio gli disse: “Padre, ho
peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato
tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi:
Il padre non lo lascia parlare, non gli lascia finire il
discorso. Non vuole che il figlio smetta di considerarsi figlio, qualunque cosa
abbia fatto.
Presto, portate qui il vestito più
bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.
Non solo lo accoglie bene, ma lo reintegra nella famiglia,
addirittura facendogli mettere l’anello al dito. Anello che conteneva il
sigillo di famiglia che permetteva di firmare i documenti. In pratica gli
riconsegna il bancomat. I sandali poi erano la calzatura dei padroni, mentre i
servi andavano scalzi.
Prendete il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il banchetto è l’ immagine biblica della beatitudine eterna:
Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre che copriva tutte le genti.
Eliminerà la morte per sempre;
il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto;
la condizione disonorevole del suo popolo
farà scomparire da tutto il paese,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: “Ecco il
nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza. Is 25, 6-9
Il figlio maggiore … si indignò,
Ovviamente. L’avremmo fatto anche noi. Ma nel figlio maggiore si
intravede la figura dei farisei e degli scribi a cui Gesù sta parlando.
e non voleva entrare.
Il figlio minore, con tutto quello che ha combinato, è entrato
nella festa, nel banchetto eterno. Il maggiore, con tutti i suoi meriti si
rifiuta. Intende il rapporto familiare come un dare e avere, non come un
rapporto padre-figlio. Mi risuona in mente un’altra parabola
Uno dei commensali disse
a Gesù: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!”. Gesù rispose: “Un uomo
diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo
servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità,
cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a
vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque
paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro
disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo
riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al
servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri,
storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato,
ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e
lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi
dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”.
Lc 14, 15-24
Suo padre allora uscì a supplicarlo.
Come era già uscito ad accogliere il primo, il padre deve uscire
anche per il secondo, addirittura a supplicarlo: per favore vieni in paradiso.
Ma egli rispose a suo padre: “Ecco,
io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non
mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.
Come il più giovane non si considera più degno di essere figlio,
anche il maggiore, per motivi opposti, non si comporta da figlio ma da servo.
Fa i conti, e i suoi conti non tornano.
Entrambi i figli …non si considerano figli, che invece è l’unica
cosa che considera il padre, che non fa i conti di dare-avere (guai per noi se
lo facesse!).
ora che è tornato questo tuo figlio,
che ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il
vitello grasso.
Il maggiore non chiama l’altro ‘mio fratello’, ma lo chiama
‘questo tuo figlio’.
Gli rispose il padre: “Figlio, tu
sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e
rallegrarsi,
Con una sola parola il padre rimette a posto i legami. Tu sei
mio figlio…
perché questo tuo fratello era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
…se tu sei mio figlio, quindi l’altro è tuo fratello.
La parabola non dice se il fratello maggiore è entrato…