Gv 21, 1-19
Gesù
si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade.
Ho provato a leggere questo testo partendo da una domanda: cosa
succede dopo la resurrezione? È una domanda che può essere riferita sia agli
apostoli che a noi. La resurrezione di Gesù interessa certamente lui, ma che
interessi anche a noi e ci coinvolga in qualche modo, questo dipende da noi. Dopotutto,
come altri eventi e rivelazioni provenienti dai vangeli, anche la resurrezione,
per quanto evento specialissimo, non è vincolante e obbligatorio per noi. Richiede
anch’esso una nostra accettazione e adesione.
E
si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo,
Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli.
La quasi totalità degli incontri con il risorto avviene in
gruppo. Come minimo Gesù si presenta davanti a due persone, a due testimoni (a Emmaus
ad esempio). A parte l’incontro con Maria di Magdala (Gv 20, 11-18), tutti gli
altri incontri avvengono con numerosi testimoni. Anche in questo caso sono
riuniti in sette, cinque apostoli e altri due, chiamati discepoli, termine che
intende non solo i dodici, ma anche tutti i seguaci di Gesù. Quindi non è detto
che fossero due del gruppo dei dodici. È curioso notare che ciascuno dei
protagonisti viene individuato con un riferimento diverso. Simone con il titolo
di ‘pietra’ che gli è stato dato da Gesù, Tommaso con il soprannome Didimo
(gemello), Natanaele con la città di provenienza, Giacomo e Giovanni con il
nome del padre Zebedeo. Non saprei dire cosa questo significhi (ammesso che
debba per forza significare qualcosa, ma abbiamo già notato che poche cose nei
vangeli sono buttate lì per caso). In questo elenco ci ho letto due cose: il
nucleo della comunità cristiana, con Pietro posto come guida e riferimento, e
il fatto che ciascun componente di questa comunità porta con sé una propria
storia personale, familiare, storica e geografica che fa parte della sua vita e
che non va dimenticata.
Disse
loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con
te».
Gesù è già risorto, ma non solo, è già stato visto altre due
volte dai suoi (come dirà l’evangelista tra poco). Eppure la proposta di Pietro
sembra richiamare al passato più che al futuro. Pietro era pescatore, e ora
torna a pescare. Certamente questa sua
decisione può voler dire solo che Pietro cerca qualcosa da fare in quelle ore particolari
che seguono la resurrezione di Gesù. Può significare semplicemente che Pietro e
gli altri non sappiano bene cosa fare, quindi si impegnano in qualcosa di
rassicurante, in quello che conoscono bene, che sanno fare meglio. Dopotutto una
notte di pesca può essere anche un modo per darsi del tempo per riflettere. Però
si può vedere in questa decisione di Pietro, allargando l’orizzonte alla vita
spirituale, come un tentativo di tornare alla vita normale, quotidiana, dopo l’esperienza
travolgente degli anni passati con Gesù. E’ finito tutto, è finito bene
nonostante lo spavento del Calvario, ma ora non c’è più nulla da fare. E se
ampliamo ancora l’orizzonte coinvolgendo anche noi stessi in questa situazione,
possiamo intravedere che la domanda iniziale: ‘che succede dopo la
resurrezione?’ riguarda anche noi. In fondo noi viviamo nei giorni dopo la
Pasqua, e anche noi possiamo chiederci: ‘e adesso?’. A cosa è servito celebrare
la Pasqua? Cosa ci ha portato la resurrezione di Gesù?
Allora
uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Il tentativo di tornare alla vita normale dopo la resurrezione
di Gesù (per gli apostoli e anche per noi) porta però a una constatazione
sconcertante: ora che si è conosciuta la possibilità della resurrezione, della
vita eterna, del paradiso, ci si accorge che tutte le cose che sappiamo fare
non servono per ottenere questa possibilità. ‘Non presero nulla’. Questo ‘nulla’
mi ha richiamato la stessa parola usata nella parabola del figliol prodigo,
quando il figlio giovane cerca qualcosa che gli plachi la fame e…
Avrebbe voluto
saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Lc 15, 16
Nessuno e nulla sulla terra e in questa vita ha il potere di
dare resurrezione e vita eterna. E tutte le nostre capacità, impegni e sforzi
non possono ottenerle. Non possiamo prendere nulla della vita eterna. E nessuno
è in grado di darci nulla.
Quando
già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che
era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli
risposero: «No».
Mi sembra che Gesù prenda un po’ in giro i suoi: com’è che
nonostante tutti i vostri sforzi e la vostra esperienza non siete capaci di
prendere nulla? Non hanno nulla da mangiare per loro e neppure da dare a lui. Ma
come si fa a dare qualcosa a chi ha già tutto? Non hanno nulla che possa
servire a Gesù. Questa constatazione mi ha fatto riflettere. Qualche volta succede
di pensare che le cose che facciamo (in particolare quelle che riguardano la
nostra vita di cristiani) siano già tanto, e le facciamo come se facessimo un
favore a Dio. Vado già a messa, mi sto già dando da fare, già mi impegno… come
se Dio di queste cose dovesse esserci riconoscente. Come se queste cose
servissero a lui, ad accontentarlo, a soddisfarlo. Ma Dio non ha bisogno di
noi. E non ha bisogno di quello che facciamo. Non possiamo dargli da mangiare. Noi
non siamo capaci di produrre o trovare cibo che duri per la vita eterna. Né per
lui, né per noi.
Procuratevi non il
cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio
dell'uomo vi darà. Gv 6, 27
Allora
egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».
La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
Solo facendo quello che ci dice lui possiamo ottenere quel che
ci serve e dura per l’eternità. Solo facendo le cose che sappiamo fare ma
guidati da lui possiamo ottenere qualcosa di eterno.
Allora
quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro,
appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché
era svestito, e si gettò in mare.
Gli altri discepoli invece vennero con la
barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra
se non un centinaio di metri.
Ancora il ‘discepolo che Gesù amava’. Ancora Pietro e Giovanni a
confronto, come era successo nella scoperta della tomba vuota:
Maria di Màgdala
si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la
pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e
dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via
il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!”. Uscì allora Simon
Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano
insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse
per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse
intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende
per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le
bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo,
che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti
ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. Gv 20,
1-10
Ancora una volta è l’altro discepolo che per primo capisce, riconosce,
vede e crede. Pietro avrà il compito di ‘guidare il gregge’ di Gesù, ma ha
bisogno di ogni ‘altro discepolo’ che lo aiuti a vedere Gesù presente. È un
discorso interessante, che un giorno o l’altro mi piacerebbe approfondire,
quello del rapporto tra Pietro e Giovanni, tra il ruolo di guida e il ruolo di
conoscenza, tra il ruolo del papa e quello dei fedeli. Ma torniamo sulle rive
del mare di Tiberiade, senza peraltro mai allontanarci dalle rive del nostro
mare interiore.
Appena
scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse
loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro
salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi
pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro:
«Venite a mangiare».
Gesù non ha bisogno degli apostoli. Ha già il necessario per sé e
per loro. Sulla riva c’è già pane e pesce, già cotto e pronto. Però Gesù sulla
spiaggia non deride gli apostoli per i loro sforzi vani. Si fa portare quello
che sono riusciti a pescare (anche questo grazie a lui). Non disprezza quello
che facciamo (grazie alle capacità e ai doni che lui ci ha dato), vuole solo
che ci rendiamo conto che senza di lui non possiamo fare nulla che valga per la
vita eterna:
Rimanete in me e io
in voi … Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla. Gv 15, 4-5
E
nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che
era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il
pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere
risorto dai morti.
L’episodio prosegue con il dialogo tra Gesù e Pietro, ma questo
merita un commento a parte.