…lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
È
facile rappresentarsi la scena della nascita di Gesù secondo il nostro
immaginario occidentale, o secondo l’iconografia tradizionale che si è
creata intorno al Natale (il presepe, la grotta, il bue, l’asinello…).
Ma è sempre meglio cercare di attenersi al testo evangelico e, se
vogliamo immaginarci la scena, almeno farlo in modo che sia il più
realistica possibile. Allora scopriremo che nei testi evangelici ci sono
delle sorprese interessanti: ad esempio non si parla né di grotta, né
di bue, né di asino. A dire il vero non si parla neppure di una stalla, o
almeno il richiamo a un posto dove ci sono degli animali porta con sé
delle scene diverse da come ci potremmo immaginare. E a ben vedere non
si dice neppure che la nascita di Gesù sia avvenuta di notte. Date
un’occhiata al testo in modo attento e troverete delle sorprese. Io mi
limito a fermarmi su un paio parole.
Alloggio
Nel
testo originario in greco, la parola che usa Luca è katalyma. Il
termine ha un significato riferito all’abitazione: può significare casa,
camera, alloggio. Spesso in italiano è stato tradotto con ‘albergo’ o
‘locanda’, ma Luca, quando parla di locanda o albergo, usa un’altra
parola: pandokeion (Lc 10, 34, parabola del buon Samaritano). La parola
katalyma la usa in una sola altra occasione, e anche lì il riferimento è
a un'abitazione privata: in 22,11 è la stanza in cui avverrà l’ultima
cena. Le testimonianze archeologiche dimostrano come spesso le case
della gente del popolo fossero divise in due locali, uno più in basso,
usato come magazzino e ricovero per gli animali, e uno un po’ più
rialzato destinato ad abitazione vera e propria. Quest'ultimo è il
katalyma. Ho visto alcune di queste case in scavi archeologici in
Israele. Giuseppe va con la moglie a Betlemme perché è il luogo di
origine del suo casato, ed è credo realistico supporre che a Betlemme
avesse qualche parente, per cui, tenendo conto anche dello stile
mediorientale di aprire la propria casa a qualunque ospite, tanto più se
parente, mi sembra poco credibile che i due sposi fossero andati a
cercare un albergo o una locanda. È vero che è possibile che si fossero
predisposti dei centri di accoglienza per i nuovi arrivati in occasione
del censimento, ma mi sembra più credibile che i residenti a Betlemme
avranno messo a disposizione le loro case ai parenti arrivati da
lontano. Solo che questo portava a carenze di spazi, non c’era più posto
nel katalyma, nella stanza principale, per cui si saranno utilizzati
tutti i locali disponibili, anche i magazzini e i ricoveri degli
animali. Che però non sono stalle, almeno non secondo la nostra
accezione di ‘abitazioni degli animali’, ma locali in cui rinchiudere
provvisoriamente gli animali stessi in caso di maltempo o durante la
notte (cosa che non succedeva tra l’altro neppure sempre: nel racconto
successivo alla nascita di Gesù i pastori vegliano all’aperto a guardia
del gregge). Quindi, c’è poco spazio in casa dei parenti di Giuseppe,
Maria sta per partorire, quindi che si fa? I due sposi vengono ospitati
nel magazzino-stalla nella casa stessa, non in una grotta in mezzo alle
montagne. Matteo, raccontando la visita dei Magi, in 2, 11 usa il
termine oikian, cioè casa, non grotta, né stalla, né capanna.
Mangiatoia
Il
termine che Luca usa è fatne. La traduzione è mangiatoia. Ma cosa si
intende per mangiatoia? Da noi la mangiatoia o greppia è la parte della
stalla che contiene il fieno o il mangime dato gli animali perché
possano mangiare. Ma noi abbiamo inverni lunghi, e gli animali hanno
bisogno di un posto fisso che li protegga e di un posto fisso per
mangiare. Nell’ambiente mediorientale questo vincolo è molto meno forte.
Gli animali hanno bisogno al più di un ricovero dove passare la notte,
ma non necessariamente di una greppia da riempire di fieno. Inoltre la
necessità di far seccare l’erba in estate per conservarla come fieno per
l’inverno c’è solo in luoghi con inverni freddi come i nostri. A
Betlemme e dintorni non si usava, per quel che ne so, seccare il fieno e
darlo agli animali. Quindi non serviva neppure una greppia dove
metterlo perché gli animali mangiassero. Quindi cosa sarà mai allora
questa mangiatoia? Padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, ha fatto
notare una cosa che mi sembra interessante. È possibile che più che la
mangiatoia degli animali quello di cui si parla qui fosse la
‘mangiatoia’ degli abitanti della casa, un posto pulito usato per
contenere o conservare i cibi o il pane; oppure ancor meglio qualcosa di
mobile, la bisaccia, il sacco, usato per metterci la scorta di cibo per
il viaggio. Non dimentichiamo che Giuseppe e Maria arrivano da
Nazareth, che è a circa 130 km da Betlemme. Allora perché non pensare la
possibilità che il bambino sia stato messo nel posto più pulito che
avevano a disposizione in quel momento, mentre erano stipati in quella
stanza usata come magazzino e ricovero degli animali? Giuseppe o Maria
prendono la cesta, la bisaccia, il sacco delle provviste, del pane (che
ormai arrivati a Betlemme erano finite), e ci mettono dentro il bambino.
Poteva essere anche una cassa o un contenitore per cibi, ma c’era il
problema dell’impurità del parto, che si estendeva a tutto ciò che Maria
avesse toccato, per cui mi sembra più plausibile che i genitori del
bambino scegliessero qualcosa di loro proprietà, piuttosto che
contaminare una parte della casa che li stava ospitando. Questa lettura
della mangiatoia come sacco o cesta o contenitore del cibo, in
particolare del pane, porta con sé una serie di suggestioni spirituali
interessanti. Dio che si fa uomo, nasce in un minuscolo paesino che si
chiama Betlemme, che significa ‘casa del pane’, e viene messo forse
dentro la bisaccia del pane, lui che si donerà agli uomini come Pane
nell’Eucarestia. Quella stessa Eucarestia che nella messa viene
riproposta e messa a disposizione dei fedeli ogni domenica perché
l’Emma-nu-el, il Dio-con-noi lo possano incontrare e vedere e anche
mangiare per portarlo con sé nella vita di tutti i giorni.
Buon Natale a tutti!
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