domenica 11 febbraio 2024

lo toccò

Mc 1, 40-45

Venne da Gesù un lebbroso

La lebbra, per quanto sia ora curabile e curata, resta una malattia terribile per i danni che può arrecare. Senza cure il corpo si sgretola letteralmente. ‘Essere a pezzi’ in quel caso diventa ben più che un modo di dire. E la reazione istintiva davanti a chi si trova in quella terribile situazione è quella di repulsione, di disgusto.

lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

Ancora il riferimento alla ‘purificazione’. Lo ‘spirito’ nella sinagoga di Cafarnao era impuro e il lebbroso chiede a Gesù di essere purificato. L’impurità rituale aveva un posto rilevante nella mentalità biblica, e sarà interessante vedere che Gesù non la tratta con sufficienza, come una cosa sbagliata o secondaria, ma come in molte altre cose aiuta a ridarle il senso originario che si è perso. Il punto fondamentale attorno al quale ruota tutto è la santità di Dio. Dio è santo, il suo popolo deve essere santo.

Il Signore parlò a Mosè: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Lv 19, 2

Una prima distorsione di questo presupposto avviene quando si confonde la santità con la purezza. La santità è la perfezione nel bene di Dio. La purezza ne è solo un aspetto. Dio è santo, quindi in lui non c’è alcun male. Della necessità di somigliare a Dio, il popolo biblico (ma anche noi) a volte si ferma solo su alcuni aspetti, in particolare l’evitare il male, tralasciando l’aspetto principale, che è invece quello di tendere al bene. Insomma, l’uomo tende a semplificare le cose, e confonde a volte il fare il bene con il non fare il male. Nel fare il bene l’attenzione è rivolta al bene. Nel non fare il male l’attenzione è rivolta al male. 

È un piccolo passaggio, difficile da cogliere nei suoi risvolti pratici (che sono quelli a cui facciamo più attenzione), ma è un passaggio importantissimo. Invece di essere proteso verso il bene, l’uomo rischia di essere ossessionato dal male. E l’attenzione a evitare il male, che di per sé è un connotato positivo, rischia di ridursi a evitare che qualcosa di male mi contamini. Anche questo è un passaggio importante, anch’esso purtroppo verso il basso. È il criterio che sta sotto non solo, come si è visto, a un certo modo di vedere le cose del popolo biblico, ma anche a un modo di vedere le cose non estraneo alla nostra mentalità: quello che vede il male come generato da forze ostili esterne a noi (malocchio, fatture, maledizioni) ma che che è anche quello che banalmente ci porta a dare sempre la colpa a qualcun altro.

Il male è in primo luogo quello che commette l’uomo, non qualcosa che lo sporca dall’esterno. È qualcosa di interno, di interiore. È vero che c’è anche la sua origine diabolica (e infatti Gesù già dall’inizio della sua predicazione si scontra con questo aspetto), ma il male in noi è tale quando è fatto nostro, con una scelta libera e consapevole.

Una delle cose a cui il popolo biblico faceva maggiormente attenzione era il non contaminarsi. E causa di contaminazione era una serie innumerevole di cause, dal maligno fino a qualunque tipo di malattia o di problema psichiatrico, e ancora giù giù fino agli animali e agli oggetti.

Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate ( i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti), quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

...

Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Mc 7, 1-23

Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 

Gesù risponde alla richiesta del lebbroso assecondandola, e parlando di purificazione anche lui. Ma per Gesù la purificazione è un atto completo, che non interviene solo sull’impurità rituale, ma anche sulla malattia. 

Poi però fa qualcosa di inaspettato, che in realtà abbiamo già avuto modo di vedere:

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Gesù lo caccia via e gli impedisce di parlare. Come aveva fatto con lo spirito impuro nella sinagoga e con i demòni. Perché questo atteggiamento di Gesù? Ormai la sua fama si sta già diffondendo, che senso ha ormai dire a uno solo di non divulgare la notizia?

Tutta la città era riunita davanti alla porta. Mc 1, 33

Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Mc 1, 37

Gesù non voleva che si sapesse che lo aveva toccato? Potrebbe essere. Gesù toccando un impuro, secondo la legge di Mosè si era reso impuro anche lui, e a sua volta avrebbe reso impuri tutti coloro che lo avrebbero toccato. Ma allora perché aveva toccato il lebbroso? La questione è molto complicata, ma interessante, perché cominciano ad emergere degli indizi riguardo all’identità di Gesù. Il primo è nascosto nel gesto stesso di Gesù. Secondo la legge di Mosè chi toccava un impuro diventava impuro. Ma Gesù toccando l’impuro lo purifica. Ma allora chi è Gesù? I sacerdoti da cui Gesù invia il lebbroso non potevano purificare della lebbra, ma solo accertare che il lebbroso fosse guarito, quindi dichiararne la purezza e quindi il ritorno alla socialità. Ma Gesù fa qualcosa di più: guarisce la lebbra. Quindi Gesù è ben più dei sacerdoti. Ma se, oltre alla fama, Gesù si portasse con sé anche una dichiarazione pubblica di impurità non potrebbe più fare nulla. Ecco allora forse perché Gesù non vuole che questo lebbroso faccia sapere in giro quello che Gesù ha fatto. Quello che dice Marco subito dopo infatti potrebbe essere un indizio di questo timore di Gesù:

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Il lebbroso ha diffuso la notizia, e Gesù deve stare fuori delle città, come era imposto a chi era impuro:

Il lebbroso … è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento». Lv 13, 45-46

Il tocco di Gesù ha ribaltato la situazione: il lebbroso che doveva essere isolato ora può rientrare con gli altri. Gesù invece non può più entrare in città e deve stare fuori lui, come un lebbroso. Questa situazione evidenzia bene come Gesù si immedesima totalmente nella situazione. Non è solo il benefattore che dall’alto della sua bontà fa qualcosa per gli altri. Guarisce il lebbroso diventando lebbroso lui.

Ma c’è un altro aspetto in quest’ultima constatazione dell’evangelista: Gesù ha ordinato al lebbroso di non dire nulla. E il lebbroso disobbedisce. E lo fa doppiamente: non solo divulga il fatto, ma a quanto pare non si presenta neppure al sacerdote come Gesù gli ha chiesto. Questa disobbedienza ha due conseguenze gravi: Gesù non potrà più fare quello che voleva. Non potrà più entrare nelle città. Non potrà più incontrare le persone che avrebbe voluto incontrare. È vero che saranno loro ad andare da lui, ma non è detto che sarebbero state le stesse. A causa della disobbedienza del lebbroso qualcuno non potrà incontrare Gesù. La seconda conseguenza è che l'azione di annuncio del lebbroso guarito è in qualche modo ‘contaminata’. La sua stessa guarigione non è completa: ha disobbedito al Signore e ha disobbedito alla Legge. Se vogliamo usare un linguaggio diverso, prima era malato, ma ora è un peccatore.

Abbiamo già notato che uno dei motivi per cui Gesù non vuole che chi ha ricevuto il suo intervento benefico vada subito in giro a parlarne è che quell'intervento deve essere l'inizio di una conversione della persona guarita; deve entrare nel profondo e guarire tutta la propria vita. E questo richiede del tempo, anche molto tempo. Saltare quel passaggio fa diventare il proprio annuncio nient'altro che una notizia straordinaria da raccontare a tutti.

È possibile da parte nostra giustificare e interpretare con leggerezza questo comportamento. Dopotutto quell’uomo è talmente contento che non sa tacere quello che gli è successo. Però Gesù gli ha detto di fare una cosa e lui non ha obbedito. Dopo che lui ha fatto una richiesta a Gesù ed è stato ascoltato. 

 

lunedì 5 febbraio 2024

tutti ti cercano!


Mc 1, 29-39 

Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni.

Siamo a Cafarnao. Scavi compiuti negli anni 1970-84 hanno portato alla luce una stanza, che potrebbe essere la casa di Pietro, i cui muri riportano un centinaio di graffiti con il nome di Gesù, di Pietro e altre invocazioni.

È il giorno settimanale dedicato a Dio. Per noi la domenica; per Gesù, ebreo, e per gli ebrei di oggi, il sabato. Gesù è appena uscito da ‘messa’. Anche lui ogni settimana va in chiesa, e ‘dopo messa’ va a trovare gli amici.

 

resti della chiesa bizantina ottagonale costruita su quella che potrebbe essere la casa di Pietro

La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

Gesù prende per mano la suocera di Simone. Gesto significativo, perché toccare una donna, tanto più con la febbre, era considerato un gesto indegno di un rabbì. È vero che questo suo ruolo non è ancora riconosciuto (Gesù finora non ha fatto altro che insegnare nella sinagoga, cosa che poteva fare qualunque adulto, anche senza avere un incarico specifico), ma forse proprio per questo sembra che Gesù cominci con un passo falso. Toccare una donna con la febbre, quindi impura o quantomeno a rischio di impurità secondo le norme religiose di allora, non era il modo migliore per presentarsi come uno che voleva diventare rabbì. Il suo gesto verrà ripetuto altre volte, in situazioni ancora più compromettenti, ad esempio nel caso del lebbroso:

Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». Mc 1, 40-41

Quindi Gesù lo fa proprio apposta. Toccando i malati si contamina lui, eppure lo fa ugualmente.

 

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Gli abitanti di Cafarnao, da buoni ebrei, non si muovono se non dopo il tramonto del sabato, perché la legge impediva a chiunque di fare qualunque movimento o lavoro in quel giorno. Dopo il tramonto a Gesù vengono portati malati e indemoniati. Ma cosa si intende per indemoniati? Nell’episodio precedente abbiamo avuto un primo episodio in cui Gesù trova uno ‘spirito impuro’, ma abbiamo visto che non è facile capire cosa si intenda. Qui però non si parla di ‘spiriti impuri’, bensì di indemoniati, e poco oltre, di demòni che vengono scacciati. Sembra che ci sia una differenza. Una cosa comunque la si può già notare: qualunque cosa siano i demòni, Gesù non solo è in grado di scacciarli, ma ce ne sono tanti, cosa che lascia perplessi. In un villaggio come Cafarnao, certamente piccolo, che ci siano dei malati è comprensibile, ma possibile che ci siano così tanti indemoniati? È un indizio che indica che con il termine indemoniati venivano chiamati tutti coloro che avevano delle ‘malattie strane’?

Nella cultura del tempo alcune sindromi, catalogate come possessione satanica, erano semplici malattie. Questo perché, nell’antica concezione, si riteneva che a ogni peccato corrispondesse un castigo, e quindi una malattia era letta come generata da una colpa grave e dalla presenza di Satana e per questo punita con la sofferenza fisica. Perché, dunque, tutta quella reticenza di Cristo nel segnalare il bene? Non ci lamentiamo perché ai nostri giorni le azioni buone non fanno notizia nei mezzi di comunicazione? La risposta è implicita nella formula adottata dagli studiosi per definire questa riservatezza del Gesù di Marco: “Il segreto messianico”. Tutto ruota attorno all’aggettivo “messianico”.
Infatti in quel periodo storico dominava una concezione nazionalistica, politica e fin marziale del Messia: egli sarebbe stato il liberatore di Israele dal potere romano, manifestandosi con atti clamorosi, sensazionali e “promozionali” della causa ebraica. Gesù contesta una simile visione che inquinerebbe il senso profondo delle sue opere e del suo messaggio. Di fronte alla sua capacità di attirare folle, di offrire loro salute e speranza, era facile che si consumasse un equivoco. Da salvatore egli sarebbe stato trasformato in politico di successo. Infatti, dopo la moltiplicazione dei pani, la folla lo acclama ed egli, «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò sul monte, tutto solo» (Giovanni 6,15). Tutt’altro atteggiamento ha nei confronti degli esterni a Israele, come nel caso dell’“indemoniato” geraseno straniero al quale dirà: «Va’ nella tua casa, dai tuoi e annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto» (Marco 5,19). Un’ultima osservazione. Alcuni esegeti hanno sostenuto che – a causa dell’assenza o quasi del dato della segretezza in Matteo e Luca – il “segreto messianico” sia una tesi introdotta da Marco nel suo scritto. In realtà, per quanto è documentato a proposito dell’effervescenza messianica allora diffusa, siamo quasi certamente di fronte a un autentico atteggiamento del Gesù storico.

Gianfranco Ravasi

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!».


Gesù prega. Ma non è Dio? Chi prega? È uno dei primi indizi di cui si cercherà di tenere conto nella successiva ricerca che farà la Chiesa riguardo all’identità di Gesù. Qui Gesù e il Padre sono distinti, come nel Getsemani.

…pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Lc 22, 41-42

Ma in altri momenti Gesù si identifica con il Padre

Io e il Padre siamo una cosa sola. Gv 10, 30

La Chiesa ha cercato di tener conto di tutti e due i testi per cercare di capire chi sia veramente Gesù, ricavandone la convinzione che Gesù sia Dio con il Padre, ma nello stesso tempo una persona distinta da lui e nello stesso tempo anche vero uomo. Nei primi secoli della Chiesa molte sono state le lotte e discussioni riguardo a questa domanda: chi è veramente Gesù? Dio o uomo? E molte sono state le risposte:

Gesù è Dio, uomo solo in apparenza (docetisti)

Gesù è uomo ma non Dio (adozionisti)

Gesù è Dio ma non uomo (monofisiti)

Gesù e il Padre sono solo due modi diversi di manifestarsi della stessa divinità (modalisti).

La Chiesa Cattolica ha riconosciuto in Cristo la personalità divina e quella umana unite e distinte, riassumendo tutto il percorso teologico nel credo Niceno-Costantinopolitano, quello che noi cattolici proclamiamo durante la messa domenicale.

Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Ancora le sinagoghe e ancora i demòni. Per ora Gesù può parlare liberamente, non ha ancora fatto nulla che lo metta in contrasto con le autorità religiose (tranne guarire di sabato una donna toccandola, ma forse questo essendo avvenuto in casa non si è saputo in giro), ma vedremo che presto le cose cambieranno. Un altro particolare curioso è che ancora una volta si evidenzia il ruolo di ‘scacciatore di demòni’ di Gesù, piuttosto che di guaritore. A noi verrebbe da mettere più in evidenza il fatto che guariva i malati. Invece Marco sottolinea il fatto che predichi e che cacci i demòni. Evidentemente Gesù individua, oltre al male fisico, anche un qualche tipo di altro male, al quale sembra persino più interessato, forse perché lo ritiene più grave. 

 

domenica 28 gennaio 2024

fate attenzione ai baobab!

Mc 1, 21-28

Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, a Cafàrnao, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 

Gesù ha autorità. Il suo modo di insegnare possiede un’autorevolezza che gli scribi non hanno, ma questa autorità la si può intendere anche come l’essere autore di ciò che sta avvenendo. Il vangelo non esiste ancora, e Gesù stesso lo sta scrivendo, lo sta creando con le sue parole e con le sue azioni.

Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro


Anche se l’origine della parola in latino richiama il respiro, la vita, quindi qualcosa di interiore, nel linguaggio parlato noi occidentali intendiamo genericamente con spirito qualunque cosa richiami al soprannaturale, quindi qualcosa o qualcuno al di fuori di noi. Nella cultura ebraica per ‘spirito’ si intende sì qualcosa di soprannaturale ma anche e prima ancora l’interiorità della persona. Quello che noi occidentali chiameremmo forse l'animo, il cuore.


…il faraone si svegliò: era stato un sogno. Alla mattina il suo spirito ne era turbato. Gen 41, 7-8

Sansone bevve, il suo spirito si rianimò ed egli riprese vita. Gdc 15, 19

Entrò da Acab la moglie Gezabele e gli domandò: “Perché mai il tuo spirito è tanto amareggiato e perché non vuoi mangiare?”. I Re 21, 5


Prima di vedere all’opera qualcosa di soprannaturale, possiamo cogliere in quest’uomo nella sinagoga di Cafarnao ‘uno spirito’, cioè un cuore, impuro, contaminato da qualcosa. Credo che onestamente possiamo ammettere che queste contaminazioni non ci sono del tutto estranee. Sporcature affettive, emotive, ossessive, aggressive ce ne portiamo dentro ogni giorno. Chi di noi non è stato almeno alcune volte preda di ansie, preoccupazioni, desideri travolgenti, emozioni difficilmente controllabili? Per l'uomo di Cafarnao questa contaminazione è diventata un vincolo, una schiavitù. Ne è posseduto, non riesce più da solo a liberarsene. È più forte di lui.


…Sul pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, le erbe buone e quelle cattive. Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito appena la si è riconosciuta.
C'erano dei terribili semi sul pianeta del piccolo principe: erano i semi dei baobab. Il suolo ne era infestato. Ora, un baobab, se si arriva troppo tardi, non si riesce più sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue radici. E se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare.  

E un giorno mi consigliò di fare un bel disegno per far entrare bene questa idea nella testa dei bambini del mio paese. "Questo consiglio gli potrà servire" mi diceva. "Qualche volta è senza inconvenienti rimandare a più tardi il proprio lavoro. Ma se si tratta dei baobab è sempre una catastrofe. Ho conosciuto un pianeta abitato da un pigro. Aveva trascurato tre arbusti...". 


 

E su indicazione del piccolo principe ho disegnato quel pianeta. Non mi piace prendere il tono del moralista. Ma il pericolo dei baobab è così poco conosciuto, e i rischi che correrebbe chi si smarrisse su un asteroide, così gravi, che una volta tanto ho fatto un’eccezione. E dico: "Bambini! Fate attenzione ai baobab!"

 

      Antoine de Saint-Exupèry - Il Piccolo Principe

e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».


Credo che a tutti sia successo qualche volta di assistere alla scena di qualcuno che viene accusato o criticato dei suoi atteggiamenti e invece di mettersi in discussione si inalbera e reagisce violentemente: ‘Fatti gli affari tuoi!’, ‘Non rompermi le scatole!’. La reazione di stizza e di ribellione presuppone che chi ci sta criticando o accusando abbia in fondo ragione. E noi questa ragione non vogliamo sentirla perché dovremmo ammettere di aver sbagliato e in più darci da fare a cambiare i nostri atteggiamenti. Cosa che non vogliamo fare, quindi reagiamo urlando (‘cominciò a gridare’) e aggredendo (’che vuoi da me?’). Sappiamo benissimo che l’altro ha ragione (‘io so chi tu sei’), ma non vogliamo ascoltare.

E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!».


Gesù non lascia parlare gli ‘spiriti’. Perché? Eppure lui è ancora sconosciuto, e gli farebbe comodo un po’ di pubblicità. Ma non è questo che vuole. Sapere intellettualmente che Gesù è ‘il santo di Dio’ in realtà non ci serve a molto. Così come conoscere a memoria tutti i vangeli non aumenta il nostro rapporto con Cristo. Una consapevolezza e soprattutto un rapporto personale lo si può ottenere solamente con una frequentazione costante e prolungata con lui. Questo ‘spirito’, il cuore di quest’uomo, sa chi è Gesù, ma non ha nessuna intenzione di ascoltarlo o di seguirlo. Ecco perché Gesù lo fa tacere. Per arrivare a conoscere Gesù (che è diverso dal sapere chi è Gesù) occorre per prima cosa ascoltarlo, poi seguirlo e per molto tempo stare con lui. La vera professione di fede avverrà al termine del vangelo, non all’inizio:


Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”. Mt 27, 54


Per arrivare a questa esclamazione ci vuole in mezzo tutta l’esperienza degli apostoli, della folla, del centurione stesso. Un’esperienza di confronto con Cristo, di ascolto, di incomprensione magari, anche di ribellione e di diffidenza, ma sempre al suo seguito. Sono molte le situazioni nei vangeli in cui Gesù dopo un suo intervento impone il silenzio:

 

…la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: “Guarda di non dir niente a nessuno… Mc 1, 42-44
…la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni … Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare. Mc 5, 42-43
…gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E Gesù comandò di non dirlo a nessuno. Mc 7, 36
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. Mc 9, 9-10

E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.


Liberarsi dalle proprie contaminazioni, dalle proprie dipendenze, non è facile. Pensiamo a quelle dipendenze più eclatanti che sono la droga, l’alcool, il fumo o il gioco. Quanto è difficile uscirne! Se però queste contaminazioni le si elimina appena notate, è tutto molto più facile.


"E' una questione di disciplina", mi diceva più tardi il piccolo principe: "Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai ai quali assomigliano molto quando sono piccoli. E' un lavoro molto noioso, ma facile".


                               
Antoine de Saint-Exupèry- Il Piccolo Principe


Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.


Non ho volutamente tirato in ballo satana nel commentare questo episodio. Innanzitutto perché non mi pare che si parli principalmente di lui, come abbiamo visto. In secondo luogo perché diffido un po’ di chi tira in ballo il diavolo tutti i momenti. Come cristiano riconosco in Cristo il vincitore del maligno e quindi non devo più preoccuparmene granchè, e poi ritengo che essere creati liberi significa anche assumersi tutte le responsabilità. E vedere sempre il diavolo in azione per farci compiere il male mi sembra troppo deresponsabilizzante e contrario al messaggio di Cristo, che pure di satana parla quando necessario. Infine c’è un ultimo motivo: quando facciamo il male non c’è bisogno che satana intervenga, facciamo già tutto noi.


È fuor di dubbio che bisogna combattere le grandi tentazioni con un coraggio travolgente, e la vittoria che ne riporteremo ci sarà di molto aiuto; tuttavia avviene che si tragga un profitto ancora maggiore nel combattere le piccole. Il motivo è intuibile: le prime sono grandi, le seconde sono tante. I lupi e gli orsi sono senza dubbio più pericolosi delle mosche, ma quanto a farci esercitare la pazienza le mosche li superano di molto!


È facile non essere assassini, ma molto difficile evitare le piccole collere. È abbastanza facile non cadere in adulterio, ma non altrettanto facile impedirsi le occhiate. È abbastanza facile non profanare il letto matrimoniale, ma non altrettanto non compromettere l’amore matrimoniale. È facile non rubare i beni altrui, non altrettanto non desiderarli e non corteggiarli. È molto facile non portare falsa testimonianza in tribunale, non altrettanto non mentire in conversazione. Molto facile non ubriacarsi, non altrettanto mantenersi sobri. Molto facile non desiderare la morte altrui, non altrettanto non desiderargli qualche accidente.


Si può concludere che le piccole tentazioni di collera, di sospetto, di gelosia, di invidia, di antipatia, di stranezza, di vanità, di doppiezza, di astuzia, di pensieri indecenti, sono abituali anche per coloro che sono già più incamminati nella vita spirituale e più risoluti!


Ecco perché, cara Filotea, è necessario che ci prepariamo con grande cura e diligenza a questo combattimento; sii certa che tutte le vittorie che riporterai contro questi piccoli nemici, saranno tante pietre preziose incastonate nella corona di gloria che Dio ti prepara in paradiso.

 

San Francesco di Sales, Filotea

sabato 6 gennaio 2024

dov'è?

Mt 2, 1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea

Dopo l’evento della nascita di Gesù che cosa succede? Possiamo chiedercelo sia in riferimento agli eventi raccontati dai vangeli, sia nella nostra esperienza personale. Dopo il Natale cosa avviene? Non tanto dal punto di vista del calendario, quanto dal punto di vista della rilevanza che per noi ha la nascita di Cristo. È solo un evento storico che ricordiamo ogni anno (e quindi un appuntamento di calendario) o genera delle conseguenze per noi? Il fatto che Dio si sia fatto uomo può portare a due possibilità: lo cerco o non lo cerco.
Dio ha fatto la sua parte, ora tocca a noi.

al tempo del re Erode, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?

Non sappiamo quasi nulla di questi personaggi, ma quello che ci interessa è cogliere il significato per noi di questo episodio riferito da Matteo. I Magi, chiunque fossero, hanno colto un segno, ma quel segno non è ancora sufficiente per permettere loro di raggiungere Dio, che pure si è già reso visibile. Devono ancora fare due cose, per riuscirci: muoversi e informarsi.

Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

Riporto qui il commento di Raymond E. Brown (La nascita del Messia, pp. 218-219) in merito a questa curiosa questione della stella.

L’epoca di Matteo non doveva considerare bizzarra l’affermazione che ad annunciare la nascita del re dei Giudei era sorta una stella, la quale avrebbe poi guidato i magi-astrologhi nel tentativo di trovarlo. Virgilio (Eneide II 694) riferisce che una stella aveva guidato Enea al luogo dove doveva sorgere Roma. Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica VI v 3) parla di una stella che si era fermata nel cielo di Gerusalemme e di una cometa che era durata un anno all’epoca della caduta della città. … l’opinione secondo la quale almeno le nascite e le morti dei grandi personaggi sarebbero state contrassegnate da segni celesti era ampiamente condivisa. … Svetonio (Augusto 94) riporta una tradizione risalente a Giulio Marato secondo la quale alcuni mesi prima della nascita di Augusto un portento avvenuto in pubblico avrebbe messo in guardia i Romani che la natura si stava preparando a dare loro un re, cosa che avrebbe spaventato il Senato a tal punto da fargli emanare un decreto in cui si proibiva per un anno che venissero allevati maschi.…Svetonio (Nerone 36) narra quanto fosse agitato l’imperatore quando apparve una cometa diverse notti di seguito, poiché, secondo una credenza popolare, una cometa annunciava la morte di una persona di grande importanza. Nerone, superstizioso com’era, eseguì prudentemente il portento mandando a morte alcune personalità del suo regno. Così, dovevano essere motivi familiari a quel tempo, non soltanto l’apparizione di una stella che annunciava la nascita del Messia, ma anche il tentativo di Erode di uccidere il fanciullo.

I Magi hanno individuato un segno che indicava loro qualcosa. Ma questo segno non è sufficiente, non dà indicazioni precise. Tant’è vero che devono informarsi e chiedere ‘dov’è?’.

All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Una risposta alla domanda ‘dov’è?’ è possibile. C’è qualcuno che può trasformare un segno generico in una indicazione precisa. Ma bisogna sapere a chi chiedere. Bisogna andare da chi conosce questa rivelazione: ‘a Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta’.
E qui succede una cosa curiosa: chi conosce questa informazione non sembra interessato. Capi dei sacerdoti e scribi non reagiscono a questa sollecitazione. Potremmo anche dire che anche loro hanno visto un segno, ma non si sono mossi. Anzi, di segni ne hanno avuti due: la profezia e i Magi stessi. Eppure non hanno saputo cogliere questi segni. I più lontani e impreparati (i Magi), che hanno individuato solo un segno generico da cui non sanno trarre indicazioni precise, sono quelli invece che si mettono in moto e in ricerca per trovare maggiori informazioni. Con il risultato che i Magi incontrano il nuovo nato, mentre gli altri no.
Ma c’è ancora un particolare da notare: è vero che in questo episodio chi ha le informazioni giuste se ne disinteressa, mentre chi non le ha le cerca …ma ha bisogno comunque di chi le ha.

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.


domenica 31 dicembre 2023

Subiaco e dintorni

 

Subiaco: sacro Speco interno


Subiaco: sacro Speco interno

Subiaco: sacro Speco

Montecassino: tomba di san Benedetto e santa Scolastica

abbazia di Casamari

abbazia di Fossanova

Anagni: sala dello schiaffo

Anagni

domenica 24 dicembre 2023

Natale

Lc 2, 1-20 

…lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

È facile rappresentarsi la scena della nascita di Gesù secondo il nostro immaginario occidentale, o secondo l’iconografia tradizionale che si è creata intorno al Natale (il presepe, la grotta, il bue, l’asinello…). Ma è sempre meglio cercare di attenersi al testo evangelico e, se vogliamo immaginarci la scena, almeno farlo in modo che sia il più realistica possibile. Allora scopriremo che nei testi evangelici ci sono delle sorprese interessanti: ad esempio non si parla né di grotta, né di bue, né di asino. A dire il vero non si parla neppure di una stalla, o almeno il richiamo a un posto dove ci sono degli animali porta con sé delle scene diverse da come ci potremmo immaginare. E a ben vedere non si dice neppure che la nascita di Gesù sia avvenuta di notte. Date un’occhiata al testo in modo attento e troverete delle sorprese. Io mi limito a fermarmi su un paio parole.

Alloggio
Nel testo originario in greco, la parola che usa Luca è katalyma. Il termine ha un significato riferito all’abitazione: può significare casa, camera, alloggio. Spesso in italiano è stato tradotto con ‘albergo’ o ‘locanda’, ma Luca, quando parla di locanda o albergo, usa un’altra parola: pandokeion (Lc 10, 34, parabola del buon Samaritano). La parola katalyma la usa in una sola altra occasione, e anche lì il riferimento è a un'abitazione privata: in 22,11 è la stanza in cui avverrà l’ultima cena. Le testimonianze archeologiche dimostrano come spesso le case della gente del popolo fossero divise in due locali, uno più in basso, usato come magazzino e ricovero per gli animali, e uno un po’ più rialzato destinato ad abitazione vera e propria. Quest'ultimo è il katalyma. Ho visto alcune di queste case in scavi archeologici in Israele. Giuseppe va con la moglie a Betlemme perché è il luogo di origine del suo casato, ed è credo realistico supporre che a Betlemme avesse qualche parente, per cui, tenendo conto anche dello stile mediorientale di aprire la propria casa a qualunque ospite, tanto più se parente, mi sembra poco credibile che i due sposi fossero andati a cercare un albergo o una locanda. È vero che è possibile che si fossero predisposti dei centri di accoglienza per i nuovi arrivati in occasione del censimento, ma mi sembra più credibile che i residenti a Betlemme avranno messo a disposizione le loro case ai parenti arrivati da lontano. Solo che questo portava a carenze di spazi, non c’era più posto nel katalyma, nella stanza principale, per cui si saranno utilizzati tutti i locali disponibili, anche i magazzini e i ricoveri degli animali. Che però non sono stalle, almeno non secondo la nostra accezione di ‘abitazioni degli animali’, ma locali in cui rinchiudere provvisoriamente gli animali stessi in caso di maltempo o durante la notte (cosa che non succedeva tra l’altro neppure sempre: nel racconto successivo alla nascita di Gesù i pastori vegliano all’aperto a guardia del gregge). Quindi, c’è poco spazio in casa dei parenti di Giuseppe, Maria sta per partorire, quindi che si fa? I due sposi vengono ospitati nel magazzino-stalla nella casa stessa, non in una grotta in mezzo alle montagne. Matteo, raccontando la visita dei Magi, in 2, 11 usa il termine oikian, cioè casa, non grotta, né stalla, né capanna.



Mangiatoia
Il termine che Luca usa è fatne. La traduzione è mangiatoia. Ma cosa si intende per mangiatoia? Da noi la mangiatoia o greppia è la parte della stalla che contiene il fieno o il mangime dato gli animali perché possano mangiare. Ma noi abbiamo inverni lunghi, e gli animali hanno bisogno di un posto fisso che li protegga e di un posto fisso per mangiare. Nell’ambiente mediorientale questo vincolo è molto meno forte. Gli animali hanno bisogno al più di un ricovero dove passare la notte, ma non necessariamente di una greppia da riempire di fieno. Inoltre la necessità di far seccare l’erba in estate per conservarla come fieno per l’inverno c’è solo in luoghi con inverni freddi come i nostri. A Betlemme e dintorni non si usava, per quel che ne so, seccare il fieno e darlo agli animali. Quindi non serviva neppure una greppia dove metterlo perché gli animali mangiassero. Quindi cosa sarà mai allora questa mangiatoia? Padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, ha fatto notare una cosa che mi sembra interessante. È possibile che più che la mangiatoia degli animali quello di cui si parla qui fosse la ‘mangiatoia’ degli abitanti della casa, un posto pulito usato per contenere o conservare i cibi o il pane; oppure ancor meglio qualcosa di mobile, la bisaccia, il sacco, usato per metterci la scorta di cibo per il viaggio. Non dimentichiamo che Giuseppe e Maria arrivano da Nazareth, che è a circa 130 km da Betlemme. Allora perché non pensare la possibilità che il bambino sia stato messo nel posto più pulito che avevano a disposizione in quel momento, mentre erano stipati in quella stanza usata come magazzino e ricovero degli animali? Giuseppe o Maria prendono la cesta, la bisaccia, il sacco delle provviste, del pane (che ormai arrivati a Betlemme erano finite), e ci mettono dentro il bambino. Poteva essere anche una cassa o un contenitore per cibi, ma c’era il problema dell’impurità del parto, che si estendeva a tutto ciò che Maria avesse toccato, per cui mi sembra più plausibile che i genitori del bambino scegliessero qualcosa di loro proprietà, piuttosto che contaminare una parte della casa che li stava ospitando. Questa lettura della mangiatoia come sacco o cesta o contenitore del cibo, in particolare del pane, porta con sé una serie di suggestioni spirituali interessanti. Dio che si fa uomo, nasce in un minuscolo paesino che si chiama Betlemme, che significa ‘casa del pane’, e viene messo forse dentro la bisaccia del pane, lui che si donerà agli uomini come Pane nell’Eucarestia. Quella stessa Eucarestia che nella messa viene riproposta e messa a disposizione dei fedeli ogni domenica perché l’Emma-nu-el, il Dio-con-noi lo possano incontrare e vedere e anche mangiare per portarlo con sé nella vita di tutti i giorni.

Buon Natale a tutti!

Avvento: risposta

Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall'uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe.
Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il Signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell'uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l'unico e medesimo Salvatore.


Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e Signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.
Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina.
Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie.
Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. E' Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). E' uomo, perché: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa (Lett. 28 a Flaviano, 3-4)