mercoledì 12 ottobre 2016

Veglia

Dalle «Istituzioni» di san Colombano, abate
(Istr. 12, 2-3)

 

Quanto sono beati, quanto sono felici «quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora svegli»! (Lc 12, 37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto trascende! 

Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me, 
meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità 
e accendermi talmente della sua divina carità 
da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, 
sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, 
né mai più in me questo fuoco si estinguesse! 
Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi 
che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, 
sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! 
O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, 
donami quella carità che non viene mai meno, 
perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; 
arda per me, brilli per gli altri.
Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, 
di accendere le nostre lucerne: 
brillino continuamente nel tuo tempio 
e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; 
siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito 
e fuggano da noi le tenebre del mondo.
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, 

perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, 
che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne.
Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te; 

solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio.
Nella visione dell'amore il mio desiderio si spenga in te 

e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli ed arda.
Dégnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, 

perché, conoscendoti, amiamo solo da te, 
te solo desideriamo, 
a te solo pensiamo continuamente, 
e meditiamo giorno e notte le tue parole. 
Dégnati di infonderci un amore così grande, 
quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, 
perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore 
e ci faccia completamente tuoi. 
In questo modo non saremo capaci di amare altra cosa all'infuori di te, che sei eterno, 
e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo cielo, 
di questa terra e di questo mare, 
come sta scritto: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore» (Ct 8, 7).
Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, 

o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. 
Amen.

lunedì 10 ottobre 2016

E gli altri?



Lc 17, 11-19

Alcuni anni fa (a dire il vero sono tantissimi anni fa, sarà stato l’86 o ’87), l’allora cardinal Ballestrero, vescovo di Torino, durante un incontro con i giovani nel santuario della Consolata disse: ‘Carissimi giovani, siete in tanti qui questa sera. Ne sono molto contento. Ma…e gli altri? Dove sono gli altri? Ci accontentiamo di essere qui e di stare bene tra di noi o ci preoccupiamo anche di chi non c’è?’. La sua meditazione continuò con la profondità ed efficacia che lo caratterizzavano, ma mi colpì questa sua domanda iniziale. Me ne sono ricordato ascoltando il vangelo di questa domenica, in cui Gesù fa la stessa domanda. A quello che, solo, torna a ringraziare sui dieci guariti, Gesù chiede ‘e gli altri nove, dove sono?’.
Partendo da questa domanda e da questa provocazione mi sono venute in mente, riguardo a questo episodio dei dieci lebbrosi, alcune considerazioni.

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

Come sempre, oltre alla semplice descrizione dell’episodio, possiamo cercare se ci siano qui anche degli ulteriori richiami e particolari che ci possono indicare qualcosa di più di un semplice reportage giornalistico. I lebbrosi sono dieci. Siccome nei vangeli (e nell’intera Bibbia) i numeri, secondo la tradizione ebraica, possono richiamare anche significati simbolici, andiamo a vedere se nei vangeli compare altre volte il numero dieci, e perchè. C’è la parabola delle dieci dracme (Lc 15,8…), quella delle dieci mine affidate ai dieci servi (Lc 19, 11…), c’è Matteo che descrive i miracoli di Gesù sintetizzandoli in numero di dieci, la parabola delle le dieci vergini di Mt 25, 1-13)… Il numero dieci viene usato quando si vuole indicare totalità. I dieci talenti ad esempio sono tutti i doni che Dio ha dato a tutti gli uomini. Quando c’è il dieci ci siamo tutti. I dieci lebbrosi, le dieci vergini, i dieci servi, siamo tutti noi. Questa descrizione evangelica, pur partendo da un episodio reale, lo presenta attraverso delle immagini simboliche che hanno lo scopo di farlo diventare un messaggio per tutti i discepoli. I lebbrosi chiamano Gesù ‘maestro’ senza che ce ne sia la necessità (hanno bisogno di guarigione, non di insegnamenti), ma questo è il termine con cui si rivolgono a Gesù tutti i discepoli.
I dieci protagonisti dell’episodio sono lebbrosi, e la lebbra è una malattia che se non curata distrugge il corpo, che perde letteralmente i pezzi. La comunità dei discepoli rischia continuamente di perdere pezzi, come il corpo di un lebbroso. Il corpo poi, seguendo la riflessione di san Paolo, è immagine stessa della comunità cristiana.

Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. ... Non può l'occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. I Cor 12, 12-27

Dunque nei dieci lebbrosi possiamo intravvedere la comunità cristiana, con i suoi problemi e le sue difficoltà. Una comunità che cerca il suo maestro perché se perde i pezzi non può più più stare nel ‘villaggio’ che è il mondo (i lebbrosi dovevano vivere lontani dai centri abitati). Una comunità che deve essere un corpo unito e collaborativo se vuole essere la presenza di Cristo nel mondo. Se perde i pezzi, se è lebbrosa è Cristo stesso che ne risente e quindi la sua azione salvifica per tutti gli uomini.

Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».

Nella comunità cristiana, così come nella comunità ebraica, c’è un ruolo istituzionale affidato ai sacerdoti (anche se i sacerdoti nel mondo ebraico hanno un ruolo diverso dai sacerdoti cristiani). Con i sacerdoti Gesù ha un rapporto conflittuale. Non risparmia loro critiche e rimproveri. Eppure mai scavalca la loro autorità e mai mette in discussione il loro ruolo all’interno della comunità. I sacerdoti, nell’ottica ebraica, hanno il compito di fare da intermediari tra Dio e il suo popolo, sono diciamo la presenza visibile di Dio. Hanno il compito di ufficializzare l’azione di Dio davanti alla comunità. Chi è guarito va dal sacerdote che ha il compito di dichiarare avvenuta la guarigione. Da quel momento il malato, il lebbroso in questo caso, può ufficialmente rientrare nella comunità. Diciamo che il sacerdote è il garante formale dell’appartenenza al popolo di Dio. Gesù stesso, pur scontrandosi e criticando in alcune occasioni il comportamento personale dei sacerdoti ne riconosce il ruolo e invia da loro i lebbrosi perché possano essere ufficialmente riammessi nella comunità.


E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Ed eccoci all’epilogo con la domanda provocatoria di Gesù. Avendo parlato prima di numeri, mi soffermo ancora un po’ su questa proporzione 1 a 10 che si crea con il ritorno del Samaritano a ringraziare. Questa proporzione è la stessa, all’incirca, che nelle nostre parrocchie c’è tra battezzati e praticanti. Più o meno qui Italia il 10 % dei battezzati va a messa (anche se il concetto di praticanti è un po’ più complesso), il 90 % non ci va.
Quest’uno su dieci assume nell’ottica del brano evangelico paragonato alla vita della comunità cristiana una serie di significati che mi sembrano molto interessanti.
Per prima cosa potremmo chiederci: i praticanti sono migliori degli altri? La tentazione di considerarsi tali da parte nostra indubbiamente c’è. Ma nell’episodio quello che torna non è il migliore. È l’estraneo, il disprezzato. Noi praticanti non andiamo a messa perché siamo migliori degli altri. Ci andiamo perché riconosciamo il nostro bisogno dell’aiuto del Signore. E ci andiamo anche perché vogliamo ringraziarlo per ciò che ha fatto per noi (ecco perché la messa si chiama Eucaristia, che in greco, lingua dei vangeli, significa ringraziamento). 
E a noi, l’uno su dieci, lo stesso Signore cosa chiede? ‘E gli altri nove, dove sono?’. Non credo che possiamo chiuderci nel nostro gruppo ristretto, sia perché abbiamo scoperto che non è certo il gruppo dei migliori, sia perché il nostro Signore non ce lo permette. Ci stimola a interessarci degli altri, a prenderci a cuore la loro situazione e se necessario la loro lontananza. La domanda di Gesù al Samaritano e a noi ne richiama un’altra assai impegnativa:

Il Signore disse a Caino: "Dov'è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Gn 4, 9