martedì 30 agosto 2011

incontro

At 8, 26-40 

Un angelo del Signore
Il termine ‘angelo’ è una parola greca che significa messaggero. Non vuol dire necessariamente un essere spirituale con le ali. Indica il portatore di un messaggio proveniente da Dio.

parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta».
Curiosa indicazione. Va’ in un posto deserto. Il messaggio di Dio contiene a volte delle parti incoerenti con le mie aspettative o con la mia visione delle cose. Bisogna vedere se è coerente con le aspettative e la visione delle cose che ha Dio.
Il Signore disse ad Abram: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò … Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore. Gen 12, 1-4


si alzò e si mise in cammino,
Filippo si fida e va. E diventa 'angelo', messaggero, per la persona che incontrerà. Filippo non ha bisogno di un angelo particolarmente complicato, perchè è già in ascolto di Dio e si fida. La persona che incontrerà invece probabilmente avrà bisogno di un 'angelo' che si spieghi un po' di più. Questo sarà il compito di Filippo.

un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori,
Etiope: caratteristica riferita al popolo di appartenenza (con la cultura, la storia e la mentalità che lo contraddistingue). Eunuco: caratteristica personale (la sua storia, la sua esperienza, la sua condizione fisica). Sono due connotati considerati negativi nell'ottica del popolo ebraico: straniero e sterile. Ma la prospettiva profetica invita a superare queste classificazioni, e in particolare la realizzazione messianica di Gesù insisterà sull'apertura a tutti, di qualunque condizione e popolo appartengono.
Non dica lo straniero che ha aderito al Signore:
«Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!».
Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!».
Poiché così dice il Signore: 
«Agli eunuchi che osservano i miei sabati,
preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza,
io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento
e un nome più prezioso che figli e figlie;
darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore 
per servirlo e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare,
perché la mia casa si chiamerà 
casa di preghiera per tutti i popoli». Is 56, 3-7
Anche ciascuno di noi ha una serie di caratteristiche che lo contraddistinguono: cultura di appartenenza, storia personale, lavoro... L'eventuale incontro con Dio avverrà non al di fuori ma dentro queste caratteristiche. Nessuna di queste caratteristiche è di ostacolo all'incontro con Dio.

venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia.
Quest’uomo è un Proselito (straniero convertito alla religione di Israele) o un Timorato di Dio (simpatizzante ma non circonciso). Non è solo una persona che legge la Bibbia per conto suo, ma pratica anche un culto e per di più in modo abbastanza impegnato, visto che sta facendo un viaggio faticoso dall'Etiopia a Gerusalemme. Quindi è una persona che sta già seguendo un proprio cammino personale, ma è anche un praticante, che inoltre cerca anche di informarsi, di conoscere e di capire. Ma il desiderio di conoscere e la pratica di un culto non sono ancora sufficienti per incontrare Dio.

Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?».
Senza capire come può conoscere e quindi decidere?

Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?».
Senza qualcuno che mi spieghi come posso capire?
Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Rm 10, 14-15



E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora egli fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,
la sua discendenza chi potrà descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
L’eunuco non capisce. La figura del Messia per gli ebrei (l'Etiope non lo è, ma segue la religione ebraica, e quindi la sua concezione del Messia) non è assolutamente identificabile con la figura profetica del Servo sofferente di Isaia. Il Messia nell’ottica ebraica è un trionfatore, colui che abbatte i regni del mondo e instaura il regno di Israele.
Quelli che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». At 1,6
Il modo di presentarsi di Gesù è sempre diverso dalle nostre aspettative. Gli ebrei aspettavano il Messia in un modo, lui è arrivato in un altro, talmente diverso che molti non l'hanno accettato.

Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù.
Il punto di riferimento è la Scrittura, la rivelazione, non le mie idee o le mie aspettative. C'è, credo, in questo brano di Isaia che l'Etiope sta leggendo (53, 7-8), un richiamo che lo colpisce in modo particolare, lui che è eunuco: 'la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita'. Anche a lui è stata recisa la vita, e non ha prospettive di discendenza. Credo che questa situazione personale possa aver generato una simpatia verso la persona di cui il testo profetico parla, anche se l'Etiope non sa chi è. Quando poi scopre in questa figura il Messia, il suo cammino di fede personale e la sua situazione di vita assumono un senso.

Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò.
Negli Atti c'è un altro episodio con molte somiglianze e che si conclude in modo simile:
C'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: “Anania!”. Rispose: “Eccomi, Signore!”. E il Signore a lui: “Su, và sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando, e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista”. Rispose Anania: “Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome”. Ma il Signore disse: “Va', perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”. Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono. At 9, 10-19

Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada.
Non c'e più bisogno di Filippo. L'Etiope può proseguire da solo il suo cammino personale perchè ora quel Dio che cercava lo ha trovato, e si è collegato con lui con il Battesimo. La chiesa, nella persona di Filippo, ha fatto la sua parte: ha spiegato e battezzato, ora chi ha incontrato il Signore può proseguire il proprio cammino. Succede qualcosa di simile a ciò che era avvenuto ai discepoli di Emmaus:
...si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Lc 24, 31-35

Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.
Anche Filippo non ha più bisogno di seguire a ogni passo l'uomo a cui era stato inviato, che d'ora in poi seguirà il Signore nella strada che lui gli indicherà e che né Filippo né noi conosciamo. 

 

sabato 27 agosto 2011

money


Quando si parla di soldi si finisce sempre per litigare. La polemica di questi giorni ne è l'ennesimo esempio. E poi prendersela con il Vaticano fa sempre figo, anche nei nostri stessi ambienti. Ovviamente alla Chiesa Cattolica (di cui il Vaticano è solo una parte e di cui fanno parte ricevendone i servizi e i sacramenti anche molti di quelli che la contestano) fa sempre bene essere criticata, se le osservazioni, sia esterne che interne, hanno lo scopo di ancorarla alla sua identità fondamentale: incontrare e far incontrare Gesù Cristo e comunicare, capire e mettere in pratica il suo Vangelo.
Tutto questo la Chiesa Cattolica lo deve fare dentro il mondo, in cui vive e opera e in cui vivono e operano gli uomini e le donne a cui si rivolge. Deve fare così perché così ha fatto Gesù e così Gesù le ha chiesto di fare. 
E quando le critiche hanno lo scopo di estromettere la Chiesa e la sua azione dal mondo e relegarla da qualche altra parte in modo che non disturbi, allora il legame con il mondo va ribadito, anche a costo di ‘contaminarsi’ con questioni economiche e amministrative, che del mondo fanno parte, come sappiamo bene tutti. In ogni caso comunque le critiche devono essere documentate, non basta cavalcare le antipatie e i luoghi comuni e ripetere a pappagallo le battute sentite al bar. 
Ho provato a cercare un po' in giro e ho trovato un testo che può essere utile. 


un grazie sentito a Umberto Folena per il grande lavoro che sta facendo.

giovedì 25 agosto 2011

sondaggio

Mt 6, 13-20 

Gesù domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Tante risposte diverse. Ciascuno si fa la propria idea di Gesù. Questa è una cosa che facciamo con tutti, anche con Dio. Molto pericoloso, sia con le persone che con Dio. Le persone non sono mai ‘secondo me’. E neppure Dio. Ogni persona che incontro è ‘secondo lui’, non ‘secondo me’. Anche Dio è ‘secondo lui’. Quando mi faccio una mia idea di una persona, specialmente se la conosco poco, per lo più è sbagliata. Quando mi faccio una mia idea di Dio è sempre sbagliata.

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Gesù lo chiede ora ai discepoli. La differenza tra la gente e i discepoli è che la gente ha visto Gesù di sfuggita, per poco tempo, o ne ha solo sentito parlare. Basandosi su quello si è fatta una propria idea di Gesù. Sbagliata. I discepoli sono quelli che stanno con lui, che hanno deciso di seguirlo, che si sono messi in gioco, che lo conoscono bene.

Rispose Simone: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»
Non dice ‘secondo me tu sei…’.  Non si è fatto una propria idea di Gesù, sta dichiarando ciò che Gesù è non ‘secondo Simone’ ma ‘secondo Gesù stesso’. Non è la prima volta che Gesù viene ‘riconosciuto’.
Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Mc 1,23-24
Ma c’è una grossa differenza tra i due riconoscimenti: lo spirito impuro riconosce Gesù, e per questo gli si oppone. Simone riconosce Gesù, e per questo gli diventa discepolo. Non basta sapere chi è Gesù (criterio oggettivo). Occorre anche decidere di seguirlo (criterio soggettivo).

«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Gesù sembra particolarmente contento di essere stato riconosciuto.

tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Pietro nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli, interpretato da James Farentino

Su Simone chiamato Pietra Gesù decide di edificare la Chiesa. Perché Pietro? Se dipendesse da noi chi metteremmo a guidare la Chiesa? Se facesse un sondaggio tra di noi, come ha fatto con la gente a Cesarea, quale criterio prevarrebbe? Metteremmo il più intelligente? Il più organizzatore? Il più attraente? Il più simpatico? Il più bello? Gesù sceglie chi lo ha riconosciuto. Anche se non ha nessuna di queste caratteristiche. Anzi, subito dopo questo incarico prestigioso che gli viene dato, Pietro dimostra subito la sua disastrosità:
Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Mt 16, 21-23
Per non parlare poi del momento cruciale:
Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» …
Pietro se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente. Mt 26, 33
E perfino più avanti, quando Gesù era già risorto e la Chiesa già in formazione, Pietro mostra i propri limiti umani:
Quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Gal 2, 11-13
Pietro non è intelligente, non è attraente, non è simpatico. Quando nella storia della Chiesa hanno prevalso nella scelta delle guide questi criteri umani è sempre stato un disastro. La guida nella chiesa deve essere qualcuno che ha riconosciuto Gesù e lo indica agli altri. Le capacità personali sono secondarie, anzi, a volte controproducenti. Chi guida la Chiesa (che sia un parroco di campagna, la badessa di un monastero, la superiora di una congregazione, un vescovo o il papa stesso) non deve attirare a sé, deve attirare a Cristo.

mercoledì 17 agosto 2011

berlicche 5

Mio caro Malacoda,
si rimane un pochino delusi quando ci si attendeva un rapporto dettagliato sul tuo lavoro e si riceve invece una rapsodia vaga come la tua ultima lettera. Dici che sei delirante di gioia perché gli europei hanno cominciato un’altra guerra delle loro. Vedo chiaramente ciò che ti è capitato. Non sei delirante, sei soltanto ubriaco. Leggendo tra le righe del tuo squilibratissimo resoconto della notte insonne del tuo paziente, sono in grado di ricostruire con sufficiente accuratezza lo stato della tua mente. Per la prima volta nella tua carriera hai assaggiato quel vino che è la ricompensa di tutte le nostre fatiche (l’angoscia e lo smarrimento di un’anima umana) e ti è andato alla testa. Mi riesce difficile biasimarti. Non posso aspettarmi teste da vecchio su giovani spalle. Il tuo paziente, dunque, ha reagito ad alcune delle tue raffigurazioni terrificanti del futuro? Sei riuscito ad infiltrarvi qualche malinconico sguardo a felice passato, suscitando un sentimento di autocompassione? C’è stato qualche ben riuscito tremito nel profondo dello stomaco? Hai saputo suonare il tuo violino delicatamente, vero? Bene! Bene! È una cosa molto naturale. Ma ricordati bene, Malacoda, che il dovere viene prima del piacere. Se una qualsiasi concessione che ti permetti ora ti condurrà alla perdita finale della preda, per tutta l’eternità sarai lasciato bruciare dalla sete di quel sorso del quale adesso godi con tanta voluttà il primo goccio. Se, invece, per mezzo di una applicazione continua e a mente fredda, nel luogo e nel momento giusti, sarai alla fine in grado di assicurarti la sua anima, egli sarà tuo per sempre, sarà un vivente calice traboccante di disperazione e di terrore e di sorpresa, che potrai sollevare alle labbra tutte le volte che vorrai. Non permettere quindi che una qualsiasi eccitazione temporanea ti distragga dall’affare vero e proprio, quello importante di minare la fede e di impedire la formazione delle virtù. Non mancare di darmi nella tua prossima lettera un resoconto completo delle reazioni del paziente alla guerra, così che si possa studiare se sarà meglio farlo diventare un estremo patriota oppure un ardente pacifista. Le possibilità sono molte e varie, ma intanto mi preme avvertirti di non sperare troppo in una guerra. Naturalmente una guerra è divertente. L’immediato terrore e la sofferenza immediata degli esseri umani è un ristoro legittimo e piacevole per le miriadi di nostri affaticati lavoratori. Ma quale beneficio permanente ci può dare, a meno che noi non ne facciamo uso per portare anime al Nostro Padre Laggiù? Quando vedo la sofferenza temporale degli esseri imani che poi, alla fine, ci sfuggono, provo una sensazione come se mi fosse stato permesso di gustare la prima portata di un ricco banchetto e poi mi fosse negato il resto. È peggio che non aver gustato nulla.
Il Nemico, fedele ai suoi barbari metodi di guerra, ci permette di scorgere la breve sofferenza dei suoi favoriti soltanto per farci struggere e per tormentarci, per beffare la fame incessante che, durante la fase attuale del grande conflitto, ci viene imposta, bisogna ammetterlo, dal suo blocco. Quindi, pensiamo piuttosto al modo di usare che non al modo di godere di questa guerra europea. Poiché vi sono unite certe tendenze che, in se stesse, non sono per nulla favorevoli a noi. Possiamo sperare in un bel po’ di crudeltà e di impurità, ma se non staremo più che attenti dovremo vedere migliaia di persone che in questa tribolazione si volgeranno al Nemico, mentre l’attenzione di altre decine di migliaia che non giungeranno a tanto verrà tuttavia deviata dalla considerazione delle loro persone verso valori o cause che essi credono più alte del proprio io. So che il Nemico disapprova molte di queste cause, ma è qui che egli manca di lealtà. Egli fa spesso bottino di esseri umani che hanno dato la vita per ideali che egli pensa cattivi, per la ragione mostruosamente sofistica che gli esseri umani li credevano buoni e che agivano nel modo migliore che sapevano. Considera inoltre quali morti indesiderabili capitano in tempo di guerra. Gli uomini vengono uccisi in luoghi in cui sapevano di essere uccisi, e dove si recano, se appena sono del partito del Nemico, preparati. Quanto sarebbe molto meglio per noi se tutti gli esseri umani morissero in case di salute costose, in mezzo a dottori che mentono, infermiere che mentono, amici che mentono, come io li ho educati a fare, promettendo la vita ai morenti, incoraggiando la convinzione che la malattia scusa ogni indulgenza, e perfino, se i nostri lavoratori sapessero fare bene il loro mestiere, tenendo lontano a ogni accenno ad un prete, per paura che quello riveli all’infermo la vera situazione in cui si trova! Quanto è disastroso per noi il continuo richiamo alla morte che la guerra offre! Una delle nostre armi migliori, la mondanità soddisfatta, è resa inservibile. In tempo di guerra neppure uno degli umani può pensare di vivere per sempre.
So che Draghinazzo e altri hanno veduto nelle guerre una grande occasione per sferrare attacchi contro la fede, ma io ritengo esagerato questo punto di vista. Agli esseri umani partigiani del Nemico è stato detto chiaramente da lui che la sofferenza è una parte essenziale di ciò che egli chiama redenzione. E perciò una fede che viene distrutta da una guerra o da una pestilenza non valeva proprio la pena di distruggerla. Parlo di quella sofferenza diffusa per un lungo periodo quale la guerra produrrà. Naturalmente, nell’esatto momento del terrore, del lutto, o del dolore fisico puoi catturare il tuo uomo mentre la sua regione è temporaneamente sospesa. Ma anche allora, se egli si rivolge al quartier generale del Nemico, mi sono accorto che il posto militare è quasi sempre difeso.

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche

domenica 14 agosto 2011

antipatico

Mt 15, 21-28

Ma quanto è antipatico Gesù? Quando si mette è davvero insopportabile. Questo episodio è interessante, perché fa emergere un aspetto fondamentale che riguarda il rapporto con Dio. Di lui possiamo dire tutto e il contrario di tutto, in base alle nostre esigenze, ai nostri punti di vista, ai nostri desideri, ai nostri sentimenti, alla nostra visione del mondo. Insomma, possiamo farcene uno come ci pare a noi, a nostra immagine e somiglianza. Infatti ci sono miriadi di religioni che dicono le cose più strampalate e a volte contraddittorie le une con le altre. Ma se Dio si facesse vedere? Potremmo sapere cosa pensa, cosa vuole, cosa dice. E soprattutto saremmo costretti a prenderlo così com’è, come del resto facciamo con tutte le persone che conosciamo, anche quando sono insopportabili e diverse da come vorremmo. È il primo passo per arrivare poi ad amarle (se ne saremo capaci). Lo scontrarsi con un Gesù antipatico apre la possibilità che sia davvero una persona reale, non uno che ci siamo inventati noi.

mercoledì 10 agosto 2011

berlicche 4


Mio caro Malacoda,
le proposte da dilettante che appaiono nella tua ultima lettera mi suggeriscono che è ormai tempo che ti scriva esaurientemente sul penoso argomento della preghiera. Avresti potuto fare a meno di dire che il mio consiglio relativo alle sue preghiere per la madre ‘si è rivelato singolarmente sfortunato’. Non sono cose che un nipote dovrebbe permettersi di scrivere a suo zio, e neppure un tentatore jr. al Sottosegretario di una sezione. Quel tuo modo di fare rivela pure un desiderio spiacevole di scaricare le responsabilità. Devi imparare a pagare per le tue balordaggini.
La cosa migliore, per quanto possibile, sarebbe tenere il paziente completamente lontano da qualsiasi seria intenzione di pregare. Quando il paziente è un adulto riconvertito da poco al partito del nemico, come il tuo giovanotto, la cosa migliore è di incoraggiarlo a ricordare o di fargli pensare a un tipo di preghiera che richiama il modo pappagallesco con il quale pregava quando era fanciullo. Oppure lo si potrebbe persuadere a tendere a qualcosa che sia del tutto spontaneo, interiore, non formalistico, non regolarizzato. Ciò, per un principiante come lui, significherebbe di fatto uno sforzo per produrre in se stesso un umore vagamente devoto in cui non avrebbe parte alcuna la vera concentrazione della volontà e dell’intelletto. Uno dei loro poeti, il Coleridge, ha lasciato scritto che egli non pregava ‘movendo le labbra e piegati i ginocchi’, ma semplicemente con ‘lo spirito composto nell’amore’ e indulgendo a ‘un sentimento di supplica’. Esattamente il genere di preghiera che vogliamo noi. E dal momento che esso presenta una somiglianza superficiale con le preghiera del silenzio praticata da coloro che sono assai progrediti nel servizio del Nemico, pazienti intelligenti ma pigri possono venire irretiti da un tal genere di orazione per un tempo considerevole. Almeno li si può convincere che la posizione del corpo non ha influenza alcuna sulle loro preghiere; poiché essi dimenticano costantemente ciò che tu devi sempre ricordare, vale a dire che sono animali e che qualunque cosa i loro corpi facciano incide sulle loro anime. È buffo che i mortali ci rappresentino sempre come esseri che mettono loro in testa questa o quella cosa: in realtà il nostro lavoro migliore consiste nel tenere le cose fuori della loro testa.
Se questo non riesce, devi ripiegare sopra un più sottile indirizzo sbagliato della sua attenzione. Ogni volta che essi stanno servendo direttamente al Nemico noi siamo sconfitti, ma vi sono molte maniere per impedire loro di farlo. La più semplice è di stornare il loro sguardo da lui verso loro stessi. Fa’ in modo che si preoccupino della loro mente tentando di suscitarvi sentimenti per mezzo della volontà. Quando avessero intenzione di chiedere a lui la carità, fa’ in modo, invece, che comincino a tentare di fabbricarsi da sé sentimenti caritatevoli senza avere coscienza di ciò che stanno facendo. Quando avessero l’intenzione di pregare per ottenere il coraggio, fa’ in modo che di fatto si sforzino di sentirsi coraggiosi. Quando dicono che stanno pregando per ottenere il perdono, fa’ in modo che si sforzino di sentirsi perdonati. Insegna loro a stimare il valore di ciascuna preghiera a seconda del successo di essa nel produrre il sentimento desiderato. E che non abbiano mai il sospetto che un successo o un insuccesso di quel genere dipendono in gran parte dal fatto che in quel momento si sentono bene o si sentono male, sono pieni di energia oppure stanchi.
Ma è chiaro che nel frattempo il Nemico non starà in ozio. Dove c’è la preghiera c’è il pericolo della sua azione immediata. Egli è cinicamente indifferente alla dignità della sua posizione, e della nostra, come puri spiriti, e agli animali umani che si mettono in ginocchio egli riserva la conoscenza di se stesso senza alcun ritegno. Ma, dato pure che riesca a sconfiggere il tuo primo tentativo di direzione sbagliata, noi possediamo un’arma più sottile. Gli esseri umani non partono da quella percezione diretta di lui che noi, sfortunatamente, non possiamo evitare. Essi non hanno mai conosciuto quella orrenda luminosità, quel bagliore lacerante e bruciante che forma lo sfondo del dolore perenne della nostra vita. Se dai uno sguardo nella mente del tuo paziente mentre sta pregando, non vi trovi ciò. Se esamini l’oggetto al quale presta la sua attenzione ti accorgerai che si tratta di un oggetto composto che contiene molti ingredienti quanto mai ridicoli. Vi saranno immagini derivate da scene del Nemico quale appariva durante quell’ignobile episodio noto sotto il nome di Incarnazione; vi saranno immagini più vaghe (magari immagini del tutto barbare e puerili) associate con le altre due persone. Ve ne saranno alcune che si riferiranno perfino alla riverenza verso se stesso (non disgiunte dalle sensazioni corporali che l’accompagnano) oggettivata e attribuita all’oggetto riverito. Ho visto casi nei quali ciò che il paziente chiamava il suo ‘Dio’ era di fatto collocato su in alto, nell’angolo sinistro del soffitto della camera da letto, oppure nell’interno della sua testa, o in un crocefisso che pendeva dalla parete. Ma di qualsivoglia natura sia composto quell’oggetto, bisogna che egli si fissi nel pregare ad esso, a quella cosa che lui stesso ha fatto, non alla Persona che ha fatto lui, che lo ha fatto uomo. Puoi giungere fino a incoraggiarlo a dare grande importanza alla correzione e al miglioramento dell’oggetto, e al tenerlo sempre fisso davanti all’immaginazione durante tutto il tempo della preghiera. Poiché, se mai giunge a fare la distinzione, se mai, con piena avvertenza, dirige le sue preghiere ‘non a ciò che io penso che tu sia, ma a ciò che tu sei’, la nostra situazione diventa disperata. Una volta che tutti i suoi pensieri e tutte le sue immagini vengono cacciate da parte o, se ancora ritenute, ritenute con la piena cognizione della loro natura puramente soggettiva, mentre pone la sua fiducia in quella Presenza perfettamente reale, esterna, invisibile, là nella stanza con lui, e che egli non conoscerà mai come invece viene conosciuto da essa, beh, allora è proprio il momento in cui piò capitare l’incalcolabile. Nel lavoro per evitare questa situazione, questa vera nudità dell’anima in preghiera, sarai aiutato dal fatto che gli stessi uomini non la desiderano tanto quanto suppongono. Sì, esiste quella cosa che consiste nell’ottenere più di quanto si è contrattato!

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche