giovedì 25 dicembre 2014

Inizio



Mentre celebriamo la nascita del nostro Salvatore, ci troviamo a celebrare anche il nostro inizio: la nascita di Cristo segna l'inizio del popolo cristiano; il natale del Capo è il natale del Corpo. Sebbene tutti i figli della Chiesa ricevano la chiamata ciascuno nel suo momento e siano distribuiti nel corso del tempo, pure tutti insieme, nati dal fonte battesimale, sono generati con Cristo in questa natività, così come con Cristo sono stati crocifissi nella passione, risuscitati nella risurrezione, collocati alla destra del Padre nell'ascensione. Se egli non scendesse a noi in questo abbassamento della nascita, nessuno con i propri meriti potrebbe salire a lui.

san Leone Magno, papa


mercoledì 24 dicembre 2014

Auguri

Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.

Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, 

a gloria di Dio Padre.

lettera di san Paolo ai Filippesi 2, 5-11

Per non dimenticare che, qualunque cosa si pensi di lui, 
il Natale è la festa della nascita di Gesù Cristo.


Buon Natale, Signore

lunedì 8 dicembre 2014

Risposte



Dio: «Dove sei?».

Adamo: «Ho avuto paura e mi sono nascosto». Gen 3,9

Maria: “Eccomi”. Lc 1, 38


giovedì 13 novembre 2014

Lampade



Mt 25, 1-13

Il regno dei cieli sarà simile a dieci ragazze che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo.

Il numero dieci nella cultura biblica ha un forte valore simbolico. E’ il numero delle dita delle mani, ha il significato quantitativo di ‘tanto’, ‘tutto’ (i dieci comandamenti, le dieci piaghe d’Egitto...), e spesso nei vangeli viene usato per indicare una quantità totale nella quale poi si operano diverse suddivisioni, come ad esempio una comunità all’interno della quale poi si individuano i vari ruoli, o si operano diverse scelte. Quando è riferito agli esseri umani ha il significato di ‘tutti’.

quale donna, se ha dieci dracme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? Lc 15, 8

 Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi. Lc 17, 11-12

Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Lc 19, 13

Anche nella parabola delle dieci ragazze (il popolo di Dio chiamato ad andare incontro al suo sposo) vi sono diversità di atteggiamenti e di comportamenti.

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi.

La luce nelle Scritture è spesso, per la sua evidenza, utilizzata come immagine della parola o degli insegnamenti di Dio che illuminano, rendono più chiaro e visibile il cammino dell’uomo. Quindi anche la lampada, strumento per illuminare, è utilizzata come segno della parola di Dio.

Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Sal 118,105

il comando (di Dio) è una lampada e l’insegnamento una luce
e un sentiero di vita l’istruzione che ti ammonisce. Pro 6, 23

In questa parabola però Gesù distingue la lampada dal suo contenuto, per evidenziare che in realtà non è la lampada in sé che produce la luce, ma il combustibile che vi è racchiuso; e questa precisazione è importante per ciò che verrà dopo. Tutte le ragazze hanno le lampade, ma solo cinque hanno l’olio. E senza l’olio la lampada non funziona. In questa immagine presentata da Gesù, cosa significano la lampada e l’olio? La nostra vita è un contenitore, e va riempita. Una vita vuota non illumina nessuno. Ma perché illumini occorre anche saper scegliere il combustibile: una lampada piena d’acqua non si accenderà, anche se è già meglio di una lampada vuota. Torneremo più avanti sul significato della lampada e dell’olio, ma prima occorre aggiungere un altro particolare.



Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.

Alla questione del significato proprio della lampada si aggiunge anche la situazione personale delle ragazze: tutte si addormentano. Sant’Agostino definisce così questo sonno:

Che significa ‘Furono prese tutte dal sonno?’ Si tratta di un altro sonno che non può essere evitato da nessuno. Non vi ricordate di quanto dice l'Apostolo: Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, cioè riguardo a coloro che sono morti? E per qual motivo si chiamano "dormienti" se non perché nel giorno destinato risorgeranno? Si addormentarono dunque tutte. Forse perché una è prudente non morrà? Che siano sciocche o sagge, tutte dovranno sottostare al sonno della morte. (s. Agostino, disc. 93)

Ma facendo questo, Agostino apre un ulteriore orizzonte che può darci un aiuto nel capire cosa si intende parlando della luce generata dalle lampade: nella logica di Dio il fine della nostra vita, pur dovendo passare attraverso il sonno della morte, è quello di durare in eterno. Allora la lampada piena d’olio, che supera indenne il sonno delle ragazze sagge, diventa la vita piena di ciò che dura per l’eternità, mentre la lampada vuota diventa la vita vissuta in modo stolto, senza pensare a riempirsi di ciò che può durare in eterno.

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.

Il momento dell’incontro con lo Sposo è anche il momento del risveglio, della resurrezione, ma se nella propria vita ci si è solo preoccupati di ciò che serviva per l’oggi, quell’incontro diventa la constatazione di un fallimento: non si è pensato a riempire la propria lampada-vita di ciò che sarebbe servito al momento dell’incontro con lo Sposo.

Allora tutte quelle ragazze si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Questa chiusura, questa indisponibilità da parte delle cinque sagge suona stonata: appaiono egoiste e grette. Ma acquista un senso se collegata al simbolismo della lampada come vita: il contenuto della nostra vita è esclusivamente personale, non può essere dato a nessuno; ciò che siamo è esclusivamente nostro; le proprie esperienze di vita, le proprie scelte, il proprio tempo, non possono essere trasferiti agli altri. Possiamo certamente metterle a servizio degli altri o utilizzarle per instaurare dei legami personali certo vitali e importantissimi, ma non possiamo trasferirle a loro.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le ragazze che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.

La parabola contiene in sé l’invito a procurarsi in tempo ciò che conta per l’eternità e ciò che solo serve per l’incontro con lo sposo. Pensarci al momento della resurrezione sarà troppo tardi.

Più tardi arrivarono anche le altre ragazze e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Un’altra frase molto dura, se sentita dalla bocca dello sposo, ma che è la conseguenza di ciò che è avvenuto prima: se le ragazze non si sono preoccupate di mettere olio nelle lampade, cioè di riempire la propria vita di eternità, che è la vita e la conoscenza dello sposo stesso, come possono aspettarsi che lo sposo le riconosca? Non dimentichiamo poi il significato profondo del termine ‘conoscere’ nell’ambito della relazione sponsale che qui viene richiamata: nel linguaggio biblico è l’unione anche fisica dello sposo e della sposa. Le dieci ragazze sono tutta l’umanità, chiamata dallo Sposo a condividere per l’eternità la sua vita in una unione totale. Ma la risposta, la consapevolezza e la preparazione dipendono da ciascuno.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. 



Come commento conclusivo alla parabola delle dieci ragazze mi è tornato in mente questo testo:

Veglia veramente beata
quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell'universo,
che tutto riempie e tutto trascende!
Volesse il cielo che il Signore
si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo,
dal sonno della mia mediocrità
e accendermi talmente della sua divina carità
da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle,
sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più,
né mai più in me questo fuoco si estinguesse!
Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi
che la mia lucerna risplendesse continuamente
di notte nel tempio del mio Dio,
sì da poter illuminare
tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore!
O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo,
donami quella carità che non viene mai meno,
perché la mia lucerna
si mantenga sempre accesa, né mai si estingua;
arda per me, brilli per gli altri.
Degnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore,
di accendere le nostre lucerne:
brillino continuamente nel tuo tempio
e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna;
siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito
e fuggano da noi le tenebre del mondo.
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna,
perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste,
il santo dei santi,
che sotto le sue volte maestose accoglie te,
sacerdote eterno del sacrificio perenne.
Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te;
solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio.
Nella visione dell'amore il mio desiderio si spenga in te
e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli ed arda.
san Colombano, Istruzioni

mercoledì 22 ottobre 2014

Dio e Cesare


Mt 22, 15-21



I farisei tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


Ci sono diversi modi di vivere la propria vita di cristiani, e ciascuno, soprattutto in questo tempo di relativismo, se la imposta come meglio crede, anche a correndo il rischio di dimenticare qualche pezzo importante. Tra questi diversi modi ce n’è uno che è sempre andato molto di moda, quello che negli anni ’70 veniva chiamato spiritualità a cassetti. La propria vita viene suddivisa in diversi scomparti, ciascuno dei quali viene aperto secondo le necessità. Questi scomparti non sono comunicanti tra loro. Ciascuno è autonomo e autogestito, come i cassetti della biancheria. C’è il cassetto delle cose di Dio, quello del lavoro, quello del denaro, quello del corpo, quello delle relazioni e quello dei sentimenti. Dio non c’entra nulla con il denaro, i sentimenti non hanno nulla a che fare con il lavoro, le esigenze del corpo sono indipendenti da quelle dell’anima. Sembra che Gesù vada in questa direzione quando pronuncia la celebre frase ‘Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’. A ciascuno il suo. Le cose di Cesare non sono di Dio e le cose di Dio non sono di Cesare. 



Eppure le stesse parole di Gesù mi sembra aprano un orizzonte diverso, o almeno si prestano ad alcune osservazioni che mi sembrano interessanti. Gesù, prendendo spunto dall’immagine sulla moneta del tributo, afferma che il tributo spetta a Cesare. Il denaro è di proprietà di Cesare, dell’Uomo. Quindi, pur essendo una realtà che ha le sue proprie leggi, Gesù evidenzia una dipendenza ben precisa tra i due: il denaro è di Cesare, non viceversa. I due cassetti, del denaro e di Cesare, non sono sullo stesso livello, pur possedendo ciascuno una sua identità. Non è il denaro che possiede l’uomo, ma l’uomo che possiede il denaro e gli dà valore e identità: l’uomo senza denaro esiste ugualmente, ma il denaro senza l’uomo non ha nessun significato. Se l’umanità improvvisamente scomparisse e rimanesse tutto il resto, il denaro perderebbe il suo significato, nessun animale o essere vivente potrebbe usarlo. Al più le tarme per mangiarselo. Nei casi in cui il denaro e le sue leggi fossero considerate superiori all’uomo si creerebbero degli scompensi gravissimi. Lo vediamo quasi ogni giorno nelle conseguenze che una finanza internazionale diventata troppo autonoma e autoreferenziale causa nella vita delle persone. I due cassetti di Cesare e del denaro sono indubbiamente diversi, ma non sono indipendenti. e solo se è chiara la supremazia di Cesare, dell’uomo, sul denaro, entrambi possono ‘funzionare’ bene. Il denaro porta l’immagine di Cesare. Cesare, l’uomo, ne è il creatore ed è anche colui che gli dà senso. Ma Cesare, l’uomo, di chi porta l’immagine? Chi è il suo creatore? Da chi trae senso nel suo esistere?


Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò. Gen 1, 27-28


Ecco allora che le parole di Gesù piano piano cominciano ad avere un significato particolare, molto diverso dall’impressione iniziale che veniva data dalla contrapposizione Cesare-Dio come realtà separate e indipendenti. Come le leggi della finanza (che pure hanno una loro indubbia autonomia) trovano senso e unità nell’uomo che le scopre, le elabora e le usa, così le varie componenti dell’uomo trovano il proprio senso unificatore in chi le ha create.


Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo … Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: “Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”.  I Cor 12, 12-27


Gesù quindi ci presenta una visione della vita non a cassetti indipendenti e autonomi, ma a cascata, dove in alto sta Dio, che dà senso a tutte le cose e in particolare all’uomo che ha creato, che a sua volta dà senso a tutte le cose che crea, elabora e costruisce, e che gli sono sottomesse.



Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono. A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro.


Se invece con l'espressione « autonomia delle realtà temporali » si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature. Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa.


Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo, n. 36