giovedì 23 marzo 2017

Sono io!




Gv 4, 5-42

Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».

Un incontro tra Gesù e una donna in cui possiamo intravvedere l’incontro tra Dio e l’umanità. Gesù nella sua incarnazione assume tutte le nostre caratteristiche. Quella che accade alla samaritana non è una visione, un’apparizione mistica. È un vero incontro da uomo a donna. Gesù è stanco e ha sete. Credo abbia anche caldo, vista l’ora. Proprio perché questa presenza di Dio non è né celestiale né miracolosamente divina, non è neppure una presenza schiacciante, intimorente e spaventosa per la donna. Dio si fa uomo al punto di aver bisogno dell’uomo: ‘dammi da bere’.

I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.

Giovanni inserisce qui un piccolo inciso che si genererà una situazione ironica più avanti. Ma al di là di questo possiamo notare una cosa più importante: ciò che spinge sia la donna che i discepoli (e anche ciascuno di noi) a muoversi, ad andare a cercare, sono per prima cosa le esigenze fisiche e materiali. Lei viene a cercare acqua, loro vanno a cercare cibo. Anche Gesù ha sete, e le chiede da bere. Ma quello che potrebbe essere una prima occasione di incontro e di conoscenza trova un primo ostacolo:

Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Quanti possibili incontri sono stati impediti da pregiudizi come questo! E non solo tra persone. Anche il nostro rapporto con Dio può essere ostacolato da valutazioni superficiali, etichette, idee distorte. Se mi faccio un’immagina sbagliata di Dio poi questa rimarrà sempre come filtro, se non come muro, tra me e lui.


Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

Ho messo come titolo a questo post l’affermazione che Gesù fa verso la fine, rivelandosi come Messia. Ma lui si rivela molte volte durante questo incontro. Qui si propone come la fonte di acqua viva, il vero obiettivo di chi sta cercando a partire dalle esigenze fisiche, ma che ha sete di ben altro.

Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Questa donna sta cercando l’amore della sua vita e non l’ha ancora trovato, nonostante abbia i suoi sei uomini. E come prima Gesù le si è presentato come la fonte di acqua viva, colui che può dissetarla per la vita eterna, così ora si svela come il vero amore, l’uomo da sempre cercato ma non ancora trovato. Ma siccome la discussione si va facendo un po’ troppo personale, la donna vira verso un’altra polemica.

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

Ancora una volta ‘noi contro di voi’. Ancora una volta una questione formale (in realtà di poca importanza a livello interiore) prevale su un aspetto molto più vitale, mascherandolo. La donna cambia argomento, tira fuori una polemica religiosa (e si sa che con le questioni politiche e forse calcistiche, quelle religiose sono tra le maggiori generatrici di scontro e di risentimento).

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».

Gesù, pur senza scadere nel relativismo (dice chiaramente ‘noi adoriamo ciò che conosciamo perché la salvezza viene dai giudei’), riesce a non farsi invischiare nella questione ‘noi-voi’. A lui interessa l’incontro vero, non le sue maschere.


Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

La donna cambia ancora discorso, forse nel tentativo di rimandare a un momento futuro: quando arriverà il Messia ci spiegherà tutto (intanto adesso non ci voglio pensare). Ma non credo si aspettasse la risposta di Gesù. Il momento del Messia è già arrivato.
Insomma, pur con molta delicatezza, Gesù si propone alla donna come il compimento delle sue attese: è lui l’acqua viva di cui lei ha sete. È lui il vero uomo che lei non ha ancora trovato. È lui il Messia che lei sta aspettando.

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».

Poveretti... si sono persi tutto l’incontro e non capiscono niente. Mentre nonostante tutto la samaritana, pur partendo da necessità fisiche come la ricerca d’acqua e pur passando anche lei attraverso i suoi bravi pregiudizi, è arrivata a percepire in Gesù il Messia, loro sono ancora al punto di partenza: dopo aver cercato cibo ora si fermano al pregiudizio nei confronti della donna.

La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

La Samaritana fa un gesto significativo: lascia lì l’anfora e va a raccontare ai suoi compaesani quello che le è capitato. La sete e la ricerca di acqua hanno lasciato il posto a qualcosa di più importante e urgente. La donna ha trovato ben altro che un pozzo!

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.

La situazione Gesù-discepoli diventa ulteriormente ironica. Loro pensano a mangiare, ma Gesù pensa a qualcosa di ben più importante. Lui ha già mangiato!

Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

Questo inciso è tutto per i discepoli. Troppo impegnati nel valutare situazioni e persone dal punto di vista solo materiale, non sono capaci di cogliere l’occasione di incontro che invece Gesù ha vissuto così bene.

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Gli ultimi due passaggi che portano all’incontro di Gesù con tutti gli altri samaritani del villaggio della donna sono la testimonianza della donna e il loro incontro personale con lui: ‘noi stessi abbiamo udito e sappiamo’. La contrapposizione noi-loro non esiste più.



sabato 18 marzo 2017

Buono e divino

Nessuno è buono se non Dio solo: perciò tutto quello che è buono è divino e tutto quello che è divino è buono

sant'Ambrogio, dal 'Trattato sulla fuga dal mondo'



 

mercoledì 15 marzo 2017

Discorso della montagna - sale e luce



Mt 5, 13-16

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

È vero che Matteo, come del resto tutti gli evengelisti, scrive il suo vangelo non con lo scopo di elencare una cronologia precisa dei fatti e dei detti di Gesù, ma è comunque curioso che subito nei primi capitoli condensi nelle parole di Gesù molte cose che dovrebbero logicamente arrivare molto dopo, alla fine della sua opera. Il Discorso della Montagna racchiude l’essenza del messaggio di Cristo. Ma Matteo lo inserisce subito all’inizio del suo vangelo, quando di Gesù, se seguiamo la struttura della narrazione, non si sa ancora quasi nulla. È vero che Matteo, subito prima delle Beatitudini, quindi prima che Gesù cominci a parlare alle folle, descrive Gesù che chiama i primi quattro apostoli (4, 18-22) e poi narra di lui che

…andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano. Mt 4, 23-26

Ma mentre ci saremmo aspettati da Gesù un lungo lavoro scolastico e didattico di introduzione. Invece propone, come abbiamo visto, subito le Beatitudini e immediatamente dopo fa queste due affermazioni strabilianti:

Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo.

Come fanno a essere sale della terra (qualunque cosa voglia dire) e luce del mondo delle persone che non hanno ancora ascoltato e compreso quasi niente, persone che corrono da lui perché fa miracoli? E cosa vuol dire essere sale della terra e luce del mondo?
La prima cosa che mi viene da pensare è che lui, Gesù, lui sì è sale della terra e luce del mondo. È certo lui che, come il sale dà sapore pur in piccole dosi, ha cambiato il ‘sapore’ del mondo con la sua presenza umanamente piccola e limitata. È certo lui che può essere chiamato ‘luce del mondo’ per le cose che ha rivelato e insegnato.
Ma noi? Ma quella gente che lo insegue per farsi fare un miracolo? Ma quella folla certamente non composta da cervelli sopraffini e da sublimi pensatori? Come fa Gesù a dire loro che sono ‘sale e luce del mondo’ senza aver loro ancora insegnato quasi nulla?


domenica 12 marzo 2017

Trasfigurazione

Chi è nella luce non è lui ad illuminare la luce e a farla risplendere, ma è la luce che rischiara lui e lo rende luminoso. Egli non dà nulla alla luce, ma è da essa che riceve il beneficio dello splendore e tutti gli altri vantaggi.
Così è anche del servizio verso Dio: non apporta nulla a Dio, e d'altra parte Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma a quelli che lo servono e lo seguono egli dà la vita, l'incorruttibilità e la gloria eterna. Accorda i suoi benefici a coloro che lo servono per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo seguono, ma non ne trae alcuna utilità.
Dio ricerca il servizio degli uomini per avere la possibilità di riversare i suoi benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio.

sant'Ireneo 


domenica 5 marzo 2017

Tentazioni

Cristo prese da te la sua carne, da sé la tua salvezza, 
da te la morte, da sé la tua vita, 
da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, 
da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.

Sant'Agostino, commento al salmo 60


 

sabato 4 marzo 2017

venite e discutiamo

Lavatevi, purificatevi, togliete dalla mia vista il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova. 
Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. (Is 1, 16-18)


venerdì 3 marzo 2017

Il discorso della Montagna - un nuovo Mosè



Anche se siamo già in Quaresima, mi piacerebbe dedicare un po’ di tempo ai vangeli delle domeniche precedenti che ho saltato, perché quest’anno si legge il vangelo di Matteo, che racchiude nei suoi primi capitoli, quelli letti appunto nelle prime domeniche dopo Natale, il bellissimo discorso della montagna, e mi piacerebbe riprendere quei testi che tra l’altro si collegano benissimo con la Quaresima che sta iniziando.
Il discorso della Montagna è racchiuso nei capitoli dal 5 al 7, e la prima cosa interessante da notare è come Matteo abbia deciso di concentrare qui, all’inizio del suo vangelo, una sintesi della nuova visione portata da Gesù. Matteo è ebreo che scrive per ebrei, come si nota anche dalle frequenti citazioni dell’Antico Testamento, ed è particolarmente sensibile alle novità che Gesù ha portato in rapporto alla Legge di Mosè, pilastro fondamentale della vita del popolo di Israele. È stata una vera rivoluzione, e il modo in cui la descrive Matteo ci fa cogliere degli aspetti che possono essere utili anche a noi, che pure siamo lontani dal mondo ebraico. Infatti anche noi abbiamo come riferimento, nell’Antico Testamento, la Legge di Mosè, non tanto nel suo sviluppo e declinazione nei precetti dell’ebraismo (che ci sono assai estranei), ma nella sintesi che ne abbiamo recepito attraverso i Dieci Comandamenti. E sappiamo che i Comandamenti sono tuttora un riferimento fondamentale anche per noi cristiani. Ma con qualche dissonanza che, vedremo, è molto simile a quella creatasi nel popolo ebraico. Per cui le cose che dice Gesù, curiosamente, sono attualissime anche per noi.

Mt 5, 1-12

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

Il discorso che qui inizia è il primo che Gesù fa pubblicamente. Gesù si rivolge alla folla che comincia a seguirlo. Matteo evidenzia un particolare, il riferimento al ‘monte’, che ha lo scopo di indicare Gesù come nuovo Mosè.. La montagna è il luogo biblico per eccellenza dell’incontro con Dio. Mosè era stato chiamato sul monte Sinai per incontrare il Signore e per ricevere il Decalogo (Es capp. 19-20), la Legge per il popolo liberato dall’Egitto. Ora Gesù, dal monte, svela non una legge nuova e diversa, ma il vero senso della Legge stessa. Poco più aventi sentiremo Gesù dire:

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Mt 5, 17

Le beatitudini possono essere quindi considerate come i ‘nuovi comandamenti’, o meglio, una visione più profonda e originaria non solo della Legge, ma del cuore stesso di Dio.

Le beatitudini sono nove, delle quali l’ultima è un po’ a sé. Delle prime otto la prima e l’ultima condividono con le altre la struttura ‘beati…perché’, ma hanno la seconda parte riferita al presente, mentre nelle altre è declinata al futuro.


Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Ci sono due orizzonti sempre presenti nelle parole di Gesù: l’orizzonte attuale e quello eterno. Se vogliamo la nostra vita attuale è il ‘nostro regno’, a cui Gesù aggiunge la prospettiva di quello che chiama ‘il regno dei cieli’ (o regno di Dio). Le prime parole pubbliche di Gesù nel vangelo di Matteo erano state:

“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Mt 4, 17

Ora, con il discorso della montagna, Gesù inizia a spiegare cosa significhi convertirsi. Significa far entrare la prospettiva del regno di Dio nella nostra visione della vita. Non è una sostituzione, ma un’apertura di orizzonte. Il regno dei cieli non è qualcosa di futuro, ma qualcosa che si compie nel futuro iniziando da ora. In un passo del vangelo di Luca Gesù lo spiega così:

Interrogato dai farisei: “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!”. Lc 17, 20-21

Il Regno di Dio inizia qui e ora soprattutto perché la presenza di Dio, la sua Parola, la sua azione, attraverso l’incarnazione di Cristo diventano qualcosa di attuale, che si realizza già adesso. Ma cosa bisogna fare, cosa bisogna essere qui e ora per far parte di questo regno? Secondo le beatitudini che stiamo esaminando, per prima cosa bisogna essere poveri in spirito. Per cogliere il significato di questa espressione ci può essere di aiuto questo testo della prima lettera ai Corinzi:

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. I Cor 1, 26-31

Dunque essere poveri in spirito significa essere e riconoscersi limitati, non sapienti, non nobili, non potenti. Mi verrebbe quasi da sostituire nobili con famosi (le classi sociali ormai sono diventate le classi social, che hanno tra le loro caratteristiche la tendenza ossessiva alla visibilità). Chi è sapiente, potente, nobile o famoso corre il rischio di voler fare da solo, anche in rapporto a Dio. Non è ovviamente sempre così, ma certo la tentazione può essere forte. E quando riteniamo di saper e poter fare da soli …Dio non può più fare nulla. Ma se Dio non può fare nulla allora il suo regno non ha più alcuna presenza e la sua azione non ha più alcuna efficacia. Ecco perché è così importante permettere la realizzazione, o almeno l’inizio della presenza del regno dei cieli, già qui e ora.
Introdotti dalla prima, possiamo forse cogliere meglio il significato delle beatitudini successive.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Queste beatitudini hanno come caratteristica comune un orizzonte futuro, collegato a una situazione attuale. Non sono una scappatoia, una fuga da questo mondo nell’attesa di una ricompensa divina in paradiso (anche se questa è stata promessa). Sono un modo ‘sottosopra’ di vedere le cose. Danno un senso persino alle cose che più sono difficili e pesanti, se viste solo dal punto di vista umano. Il nostro essere di oggi, le nostre azioni quotidiane, hanno significato oggi perché hanno compimento nell’eternità. Senza l’orizzonte eterno il nostro essere miti, misericordiosi, o pacifici mantengono la loro importanza, ma come abbiamo visto tante volte rischiano di essere delle velleità, dei sogni, dei desideri spesso irrealizzabili e ancora più spesso derisi. E in ogni caso mai compiuti del tutto, perché impediti da troppi ostacoli. L’orizzonte eterno introdotto da Gesù li rende e ci rende più sereni nel praticarli: realistici nel non pretendere di realizzarli subito completamente e nello stesso tempo tranquilli nell’affidarli a Dio che può portarli a compimento in tempi non raggiungibili da noi.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

L’ottava beatitudine riprende nella seconda parte il contatto con l’oggi, con la realizzazione attuale del regno dei cieli, aprendo un nuovo discorso che sfocerà nell’ultima beatitudine: quello della persecuzione.


Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

L’ultima beatitudine credo faccia un po’ da riassunto, introducendo un riferimento più personale che nelle altre non c’è. Le prime otto sono tutte in terza persona plurale. Con la nona Gesù si rivolge direttamente agli interlocutori, alle persone che gli stanno davanti: beati voi. Beati sarete voi se saprete essere in una di queste situazioni, che vi mettono in gioco sia davanti a voi stessi che davanti agli altri.
Non c’è niente da fare, allora come oggi e come sempre essere nel pianto, miti, affamati e assetati  di giustizia, misericordiosi, puri di cuore o operatori di pace, non fa parte delle cose più ambite e desiderate dall’uomo. Non sono certo questi i modelli che ci presentano la pubblicità o le mode. Ma la pubblicità e le mode non fanno certo riferimento né al regno dei cieli né all’eternità.

Un’ultima considerazione: le beatitudini potrebbero essere considerate anche come l’identikit di Cristo. E’ certo lui che ha saputo metterle in pratica, sia nella sua vita terrena che nel suo orientarla continuamente all’eternità. Dovrebbero a poco a poco diventare anche il nostro identikit. Buona Quaresima!