sabato 23 novembre 2013

san Colombano



Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me
dal sonno della mia mediocrità e di accendermi talmente della sua divina carità
che mai più in me questo fuoco si estinguesse!
Volesse il cielo che la mia lucerna 
risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, 
così da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore!
Dio Padre, ti prego, donami quella carità che non viene mai meno,
perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua:
arda per me, brilli per gli altri.


Degnati, o Cristo, di accendere le nostre lucerne:   
brillino continuamente nel tuo tempio
e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna;
siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito
e fuggano da noi le tenebre del mondo.
Fa’ che io guardi, contempli e desideri solo te;
te solo ami e solo te attenda nel più ardente desiderio.
E il mio desiderio si spenga in te   
e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli e arda.
Degnati di mostrarti a noi che bussiamo,
perché conoscendoti amiamo solo te, te solo desideriamo,
Degnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio,
perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore
e ci faccia completamente tuoi.
In questo modo non saremo capaci di amare
altra cosa all’infuori di te, che sei eterno,
e la nostra carità non potrà essere estinta
dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e di questo mare.
Possa questo avverarsi per tua grazia,
anche per noi, Signore nostro Gesù Cristo,
a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 san Colombano - Istruzioni
 

lunedì 18 novembre 2013

di padre in figlio


La storia con cui tenterò di farvi addormentare questa sera l’ho scoperta mercoledì scorso in un bell’articolo di Paolo Foschini sul Corriere della Sera. Apparentemente parla solo di un pensionato milanese che trova per terra un portafogli, ma la ragione per cui ho deciso di raccontarvela è un’altra e se rimarrete svegli ancora un paio di minuti la scoprirete. 
Tutto comincia nel parcheggio dell’ipermercato di Nerviano, periferia nord di Milano. Il signor Luigi Musazzi sta spingendo il carrello della spesa verso l’automobile, quando occhieggia un portafogli abbandonato sul selciato. Si china a raccoglierlo, lo apre e gli tremano le mani. Dentro ci sono quattordici banconote da 500 euro.  
Irrompe in scena la moglie, pensionata come lui. “Fa un po’ vedere…” Non avendo mai incontrato un biglietto da 500 euro in tutta la sua vita, la Lina giunge alla fulminea conclusione che deve trattarsi dell’opera di un falsario. Ma il Musazzi mica le dà retta: lui i cinquecento euro lo sa come sono fatti e questi sono fatti proprio bene. “Luigi, a cosa stai pensando?” Luigi non risponde. È impegnato in una moltiplicazione. 500 per 14 uguale… 

Uguale 7000 euro. Tornato a casa, il Musazzi appoggia il portafogli randagio sopra il comodino e si mette a letto con un pensiero fisso. È vero che settemila mila euro non cambiano l’esistenza a nessuno. Ma è anche vero che di sicuro non gliela peggiorano.  
Lui è un ex idraulico di quasi ottant’anni con 1000 euro al mese di pensione, cui vanno aggiunti i 500 della minima di sua moglie. Non vivono nel lusso ma nemmeno nella fame, abitano in una casa di due camere e cucina che si sono costruiti da soli, hanno figli grandi e sistemati. Però i nipotini crescono, i prezzi pure, e con settemila euro…  
La moglie interrompe le sue elucubrazioni. “Mia mamma mi ha insegnato che le cose trovate non sono nostre, punto e basta.” E spegne la luce. Beata lei. Il Musazzi non riesce a dormire e si gira nel letto in preda ai tormenti come l’Innominato di Manzoni.  


Ci fosse almeno un documento in quel benedetto portafogli! Invece ho trovato solo un badge: a parte i soldi, s’intende. Un badge d’ingresso per la Grande Fiera di Rho-Pero. Ma come si può risalire da un badge anonimo a un proprietario in carne e ossa? Tanto vale che me li tenga io… E però la cifra è grossa: chi ha perso tutti quei contanti avrà denunciato lo smarrimento alla polizia e sarebbe facile rintracciarlo…  

Il Musazzi non ci dorme la notte, anzi le notti. Due, per la precisione. Poi succede la cosa che mi ha spinto a raccontarvi questa storia. In cerca di una soluzione, o forse solo di un sostegno morale, va a trovare il figlio maschio Roberto: quel portafogli, in fondo, potrebbe interessare anche a lui… Il figlio lo guarda stupefatto: “Papà, mi meraviglio di te che ancora ci pensi. Io di quei soldi non voglio sapere proprio niente.” 

Il Musazzi esce dalla conversazione con un strano pensiero addosso: come se il punteruolo che lo tortura da due giorni e due notti si fosse finalmente squagliato e al suo posto, adesso, fluisse un mare di orgoglio paterno. “Se ho tirato su mio figlio così, allora sono stato bravo.” Una parte del merito è anche della moglie, ma in certi momenti di felicità si diventa tutti un po’egoisti. Sta di fatto che il Musazzi non passa neanche da casa. Col portafogli in mano si presenta direttamente alla sede dei carabinieri, che dal nome di una ditta indicata sul badge risalgono a uno stand della Fiera e da quello al proprietario. Anzi alla proprietaria: svizzera ma col nome italiano ed evocativo, Casanova. Una ex tennista professionista che probabilmente di quei soldi smarriti non ha neppure troppo bisogno.  

Al Musazzi, come prevede la legge, la signora Casanova lascia un decimo del totale: 700 euro, non uno di più. Lui è contento lo stesso. Magari non conosce “Il Complesso di Telemaco”, il saggio in cui il professor Recalcati spiega che l’unica eredità che un padre possa trasmettere al figlio è il desiderio. Ma è un po’ come se lo avesse letto. 
Il Musazzi è riuscito a trasmettere al figlio il desiderio dell’onestà e glielo ha trasmesso così bene che al momento opportuno il figlio glielo ha addirittura dato indietro. Una sensazione che vale più di un portafogli.  
Buonanotte. 

giovedì 14 novembre 2013

dicono che non c'è resurrezione



Lc 20, 27-38

Si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi, i quali dicono che non c’è risurrezione

Dei sadducei (il cui nome deriva da Sadoc, il sacerdote che consacrò come re Salomone) ne dà una buona definizione wikipedia qui. Quello che è interessante e curioso è che questa corrente di pensiero ‘alternativa’ nella cultura ebraica del tempo di Gesù possa essere stata presente e accettata in un ambito che faceva della fede nella resurrezione la propria nota caratteristica (e certo non erano emarginati, se è dall’aristocrazia sadducea che spesso venivano scelte le figure dei sommi sacerdoti, e se ancora pochi anni dopo la morte di Gesù una parte del sinedrio, il massimo organo legislativo ebraico, era composta di sadducei).

Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. At 23, 6-8


Tendiamo a dare per scontato che una fede in Dio implichi automaticamente la fede in qualche forma di resurrezione o di sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Invece nella religiosità ebraica hanno sempre convissuto queste due correnti, in forme e modi diversi, condividendo la fede nel Dio dei Padri ma non nella resurrezione dei morti. La resurrezione sarà, come si vede in questo testo, espressamente rivelata solo da Cristo.

gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Quello dei sadducei non pare un riferimento a una situazione realmente accaduta, ma un esempio creato ad hoc per porre la questione delle modalità della resurrezione. Gli interlocutori di Gesù fanno riferimento alla legge del levirato, promulgata nel libro del Duteronomio, ma presente anche in altre culture.

Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele. Ma se quell’uomo non ha piacere di prendere la cognata, ella salirà alla porta degli anziani e dirà: “Mio cognato rifiuta di assicurare in Israele il nome del fratello; non acconsente a compiere verso di me il dovere di cognato”. Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno. Se egli persiste e dice: “Non ho piacere di prenderla”, allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e proclamerà: “Così si fa all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello”. La sua sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato. Dt 25, 5-10

Gesù coglie l’opportunità non tanto per entrare nella questione dei particolari della resurrezione, quanto per affermarne la reale possibilità.

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Gesù rivela un particolare interessante: nella resurrezione non si è più sposati. Affermazione curiosa e un po' spiazzante: chi è sposato non sarà più sposato. Perchè? Se il fine della vita, a cui siamo invitati continuamente da Gesù, è amarci gli uni gli altri, nella resurrezione tutti ci troveremo finalmente nella situazione di poter amare tutti in modo completo, cosa che nella vita terrena è possibile realizzare solo verso pochissime persone (la moglie/il marito, i figli), e neppure sempre. Quindi nella resurrezione non sarà più necessario ‘prendere moglie e marito’, perché saremo innamorati di tutti. Se la resurrezione è la pienezza della vita, che ora possiamo realizzare solo parzialmente, sarà anche la pienezza dei legami, non più vincolati da limiti.


"In paradiso ci ameremo tutti e con un cuore puro, senza invidie né diffidenze, e non solo verso il marito o la moglie, i figli o i consanguinei, ma verso tutti, senza eccezioni né discriminazioni d’idioma, di nazionalità, razza o cultura" (San Paolino di Nola).

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per mezzo di lui».

Per dare forza e autorevolezza all’affermazione della resurrezione, Gesù chiama in causa, da buon ebreo e da buon conoscitore dei sadducei, i libri che anch’essi considerano rivelati da Dio, in questo caso il libro dell’Esodo:

Mosè e il roveto ardente, monastero di Kizhi, Russia, sec. XVIII

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Es 3, 1-6

Gesù dà quindi peso alle proprie parole legandole alla rivelazione stessa, a cui i sadducei davano in modo particolare importanza e  autorevolezza (non per nulla è appunto nella corrente sadducea che venivano spesso cercati i sommi sacerdoti, massima autorità ebraica), ma evidenziandone espressamente la prospettiva della resurrezione, che essi negavano.

lunedì 11 novembre 2013

san Martino

Quando l'estate di San Martino era spesso il grigio giorno del trasloco del contadino


È forse la globalizzazione strisciante che porta con sé la voglia di riscoprire antiche tradizioni legate al mondo rurale. Tra le "riscoperte" vi è l'11 novembre, giorno dedicato a San Martino. Questa data segnava la fine dell'anno agrario e quindi il contratto di lavoro, che era annuale e che poteva essere rinnovato oppure no. Per il contadino al quale non veniva rinnovato, significava perdere non solo il lavoro, ma anche la casa. In questo giorno avvenivano quindi i traslochi e spesso s'incrociavano le famiglie che andavano e quelle che tornavano: le stesse scene si ripetevano di cascina in cascina. Sul carro venivano poste le poche proprietà: i mobili, le scorte di viveri, il legname, le gabbie di polli, il maiale e i bambini e i vecchi. È così che anche in città si è trasferita l'abitudine di fare i traslochi durante il periodo di San Martino a novembre, tanto che si usa dire "fare San Martino" per indicare il trasloco. Ma per chi aveva scampato il pericolo della fame e la paura per ciò che poteva accadere nel nuovo anno agrario, si trasformava in un giorno di festa, favorita dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorreva finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata.

Un riscontro storico della diffusione di questo idioma è legato alla battaglia di Solferino e San Martino. Si tramanda che il re Vittorio Emanuele II, preoccupato per l'andamento della battaglia di San Martino, si rivolse nel comune dialetto ad una formazione di soldati piemontesi della Brigata "Aosta", di passaggio da Castelvenzago, con la celebre frase: «Fioeui, o i piuma San Martin o i auti an fa fé San Martin a nui!» (« Ragazzi, o prendiamo san Martino o gli altri fan fare San Martino a noi!»).