mercoledì 22 ottobre 2014

Dio e Cesare


Mt 22, 15-21



I farisei tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


Ci sono diversi modi di vivere la propria vita di cristiani, e ciascuno, soprattutto in questo tempo di relativismo, se la imposta come meglio crede, anche a correndo il rischio di dimenticare qualche pezzo importante. Tra questi diversi modi ce n’è uno che è sempre andato molto di moda, quello che negli anni ’70 veniva chiamato spiritualità a cassetti. La propria vita viene suddivisa in diversi scomparti, ciascuno dei quali viene aperto secondo le necessità. Questi scomparti non sono comunicanti tra loro. Ciascuno è autonomo e autogestito, come i cassetti della biancheria. C’è il cassetto delle cose di Dio, quello del lavoro, quello del denaro, quello del corpo, quello delle relazioni e quello dei sentimenti. Dio non c’entra nulla con il denaro, i sentimenti non hanno nulla a che fare con il lavoro, le esigenze del corpo sono indipendenti da quelle dell’anima. Sembra che Gesù vada in questa direzione quando pronuncia la celebre frase ‘Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’. A ciascuno il suo. Le cose di Cesare non sono di Dio e le cose di Dio non sono di Cesare. 



Eppure le stesse parole di Gesù mi sembra aprano un orizzonte diverso, o almeno si prestano ad alcune osservazioni che mi sembrano interessanti. Gesù, prendendo spunto dall’immagine sulla moneta del tributo, afferma che il tributo spetta a Cesare. Il denaro è di proprietà di Cesare, dell’Uomo. Quindi, pur essendo una realtà che ha le sue proprie leggi, Gesù evidenzia una dipendenza ben precisa tra i due: il denaro è di Cesare, non viceversa. I due cassetti, del denaro e di Cesare, non sono sullo stesso livello, pur possedendo ciascuno una sua identità. Non è il denaro che possiede l’uomo, ma l’uomo che possiede il denaro e gli dà valore e identità: l’uomo senza denaro esiste ugualmente, ma il denaro senza l’uomo non ha nessun significato. Se l’umanità improvvisamente scomparisse e rimanesse tutto il resto, il denaro perderebbe il suo significato, nessun animale o essere vivente potrebbe usarlo. Al più le tarme per mangiarselo. Nei casi in cui il denaro e le sue leggi fossero considerate superiori all’uomo si creerebbero degli scompensi gravissimi. Lo vediamo quasi ogni giorno nelle conseguenze che una finanza internazionale diventata troppo autonoma e autoreferenziale causa nella vita delle persone. I due cassetti di Cesare e del denaro sono indubbiamente diversi, ma non sono indipendenti. e solo se è chiara la supremazia di Cesare, dell’uomo, sul denaro, entrambi possono ‘funzionare’ bene. Il denaro porta l’immagine di Cesare. Cesare, l’uomo, ne è il creatore ed è anche colui che gli dà senso. Ma Cesare, l’uomo, di chi porta l’immagine? Chi è il suo creatore? Da chi trae senso nel suo esistere?


Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò. Gen 1, 27-28


Ecco allora che le parole di Gesù piano piano cominciano ad avere un significato particolare, molto diverso dall’impressione iniziale che veniva data dalla contrapposizione Cesare-Dio come realtà separate e indipendenti. Come le leggi della finanza (che pure hanno una loro indubbia autonomia) trovano senso e unità nell’uomo che le scopre, le elabora e le usa, così le varie componenti dell’uomo trovano il proprio senso unificatore in chi le ha create.


Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo … Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: “Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: “Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”.  I Cor 12, 12-27


Gesù quindi ci presenta una visione della vita non a cassetti indipendenti e autonomi, ma a cascata, dove in alto sta Dio, che dà senso a tutte le cose e in particolare all’uomo che ha creato, che a sua volta dà senso a tutte le cose che crea, elabora e costruisce, e che gli sono sottomesse.



Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono. A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro.


Se invece con l'espressione « autonomia delle realtà temporali » si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature. Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa.


Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo, n. 36


mercoledì 15 ottobre 2014

Rifiuto

Mt 22, 1-14

Gesù, riprese a parlare con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.

L’immagine delle nozze e del banchetto ha un significato particolare, perché nella tradizione biblica viene usata come immagine del paradiso, della resurrezione e della vita eterna:

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte». Is  25, 6-10

Ma nell’immagine delle nozze c’è un altro richiamo che non dobbiamo dimenticare:

…gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!”. Gesù rispose: “Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? Lc 5, 33-34


Non c’è solo il richiamo al paradiso come banchetto nuziale, ma Gesù stesso è lo sposo. Quindi l’invito di cui si parla nella parabola è un invito specialissimo.

Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

L’immagine bella dell’invito alle nozze viene rovinata dal rifiuto degli invitati a partecipare. Nel testo parallelo di Luca vengono evidenziati meglio i motivi di questo rifiuto:

Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Lc 14, 15-20

Gli affari e gli affetti sono i motivi dei rifiuto. Si rinuncia al banchetto nuziale per qualcosa che conviene di più (gli affari) o qualcuno che si ama di più (gli affetti). Ma facendo questo si rinuncia a tutto ciò che l’invito implica: la vita eterna, il paradiso e la resurrezione. Come è possibile che si possa rinunciare a questa beatitudine per scegliere qualcos’altro, per quanto conveniente e piacevole? Gesù stesso si stupisce di questo rifiuto, che diventa in alcune occasioni ostilità.

…non potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Mc 6, 5-6

All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Lc 4, 28-30

Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.  Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


Strana conclusione della parabola. Non finisce con gli invitati di ripiego che sostituiscono gli altri. Anche tra chi ha accettato l’invito c’è qualcuno che non va bene. E qual è il motivo? Un vestito. Com’è possibile? L’abito nuziale era richiesto come ‘divisa’ di chi partecipava alle nozze. Il non metterlo era un segno di scortesia, di poco rispetto. Un po’ come da noi ci si stupirebbe se ad un matrimonio tra gli invitati elegantissimi sbucasse uno in canottiera e infradito. Pure nel nostro mondo occidentale, in cui ormai non ci si stupisce più di nulla, un tale comportamento sarebbe segno di superficialità, di disinteresse, forse anche di disprezzo da parte dell’invitato.
Nella parabola l’abito nuziale è il segno che l’invitato, anche se magari è uno dei ‘cattivi’ raccolti per strada, vuole partecipare alla festa, accetta l’invito e vuole presentarsi bene, e non far sfigurare chi lo ha invitato.
Chi non indossa l’abito nuziale invece dà un messaggio di disprezzo verso chi lo ha invitato.
In altre parole l’abito, come ci suggerisce il termine latino ‘habitus’, non è solo un vestito: è il nostro stesso modo di essere. Tanto è vero che l’espressione ‘stile di vita’ in latino si traduce vitae habitus.
L’invitato della parabola ha sì accettato l’invito, ma non ha voluto cambiare il suo stile di vita. Ha voluto continuare a essere come prima, non vuole cambiarsi, non vuole cambiare. Vengono invitati sì anche i cattivi, ma a condizione che si convertano.

Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Gv 5, 14

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch'io ti condanno; va’ e d'ora in poi non peccare più”. Gv 8, 9-11

L’enigma del rifiuto a Dio, in altre parole del peccato, è veramente qualcosa di misterioso. Noi il peccato lo riduciamo spesso a una semplice violazione di una norma morale, ma il rifiuto all’invito di Dio è qualcosa di terribile e immensamente grave per le conseguenze che può portare in noi.
Ma come accade spesso in queste situazioni ostili Dio, pur rivelando chiaramente le conseguenze disastrose per noi, riesce a escogitare una reazione contraria e altrettanto potente: la morte in croce di Gesù. Se il peccato fosse, come spesso lo consideriamo noi, un semplice violare delle norme, che senso avrebbe il sacrificio di Gesù? Nella parabola che stiamo leggendo ci sono due decisioni terribili del re, come conseguenza del rifiuto che gli viene opposto:

mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

e
Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti

Uccisi e gettati fuori.
Se il banchetto è la vita eterna, il rifiuto è la morte: uccisi.
Se il banchetto è il paradiso, il rifiuto è l’inferno: gettati fuori.
Non è solo una questione di semplice maleducazione o scortesia da parte degli invitati. Rifiutare l’invito alle nozze significa ben altro che una semplice trasgressione. E’ il disastro totale. E’ lo scegliere consapevolmente il fallimento definitivo, la morte, l’inferno. Eppure l’uomo riesce a desiderare anche questo.
E siccome Dio rispetta la decisione e la libertà dell’uomo e non vuole impedire questa scelta, neppure se porta all’inferno, risponde a questo rifiuto con una iniziativa che non viola la nostra libertà: si sostituisce a noi nelle conseguenze della nostra scelta: essere ucciso e essere gettato fuori. Gesù è diventato lui stesso rifiuto, morte, inferno, come ha evidenziato san Paolo nella lettera agli Efesini:


Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. E' Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato. E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me. Fil 2, 6-17


mercoledì 1 ottobre 2014

Fatti, non parole



Mt 21, 28-32

Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

Ancora l’immagine della vigna, particolarmente cara a Gesù. Ma questa volta non c’è più un padrone e dei servi. I protagonisti sono un padre e i suoi figli. Un cambio di prospettiva importante, di cui dobbiamo tenere conto. Gesù sta parlando non più alla folla e ai discepoli, ma ‘ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo’. Questi hanno un ruolo di guida del popolo eletto, sono, se vogliamo, i ‘primi tra i figli’. E hanno quindi il compito di essere i primi non solo negli onori, ma anche e soprattutto nell’impegno. Come vedremo nelle prossime domeniche, Gesù ha alcune rimostranze da far presenti ai ‘capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo’ di allora. Potrebbe essere interessante provare a fare un parallelo con i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo di oggi, le guide religiose e politiche. La situazione non è confrontabile in blocco, ovviamente, se non altro perché allora, in Israele, non c’era distinzione tra autorità religiosa e civile. Ma ci sarebbero molti spunti su cui riflettere: le guide di oggi sono capaci di mettersi in discussione?


E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Ovviamente il richiamo di Gesù è riferito alla rivelazione divina, portata avanti dai profeti e completata da Gesù stesso, che qui richiama le autorità facendo riferimento a Giovanni Battista, che da tutti era riconosciuto come un profeta, e che Gesù personalmente considera come il suo precursore, colui che aveva il compito di collegare i profeti con Gesù stesso, che quella rivelazione è venuto a completare. L’accusa di Gesù è di non aver voluto ascoltare il suo messaggio, di non aver voluto mettersi in discussione. Sarà la stessa difficoltà con cui si scontrerà lui stesso.

Le autorità di allora seguivano uno schema che potremmo definire di suddivisione sociale: gli osservanti (in prima fila i farisei) e i pubblicani. Tutti gli osservanti erano giusti e tutti i pubblicani peccatori. Il problema stava nella definizione di ‘osservanti’. Gesù è il primo ad affermare che la Legge rivelata deve essere praticata attentamente. Ma cosa vuol dire mettere in pratica la Legge? Per i farisei significa osservare formalmente ogni singolo precetto. Per Gesù significa capire il senso profondo dei precetti. Cosa certamente molto più difficile. I capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, dovendo in qualche modo codificare e dare indicazioni pratiche al popolo, tendevano a dare importanza sempre maggiore alle norme stesse, da applicare scrupolosamente, rischiando di dimenticare il senso di quelle stesse pratiche. Da qui l’accumularsi di precetti da osservare sempre più rigidamente e scrupolosamente, fino ad arrivare ai 613 Mitzvot dell’ebraismo ortodosso.

http://it.wikipedia.org/wiki/613_Mitzvot

Prendiamo ad esempio l’osservanza del Sabato. Il senso originale del precetto è quello di dedicare un giorno della settimana a Dio, per affermarne la centralità e l’importanza. Come praticare questo precetto? La tradizione ebraica definisce sempre meglio le modalità:

http://it.wikipedia.org/wiki/Shabbat (Da notare in particolare le azioni vietate)


Come si può notare immediatamente, il grande rischio è che le prescrizioni prendano il posto del significato: quando posso dire di aver osservato il sabato? Quando ho compiuto tutte le prescrizioni oppure quando ho saputo dare veramente spazio a Dio?
Gesù parte da un presupposto diverso: per lui conta la capacità di ascolto della parola di Dio e di  conseguente conversione profonda e personale, che certamente si concretizza anche in gesti precisi, ma questi sono appunto le conseguenze, il modo di praticare nei fatti quello che si ha intenzione di fare.
Il rischio della casistica farisaica era quello di dare esclusiva importanza ai gesti compiuti.

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”. Mt 7, 21-27

Ecco perché Gesù fa il paragone con le prostitute e i pubblicani (paragone che deve essere stato percepito come assai ostico e irritante per gli ascoltatori). Loro, nonostante la propria condizione criticabile sono stati capaci di mettersi in discussione. Voi no.