venerdì 19 maggio 2023

Talent



Mt 25, 14-30

Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.

Sentendo la parola talenti automaticamente ormai siamo portati a pensare alle doti e alle capacità di ciascuno, tanto che ormai anche nel linguaggio comune ‘talento’ proprio questo significa, e in televisione proliferano i vari talent show che hanno lo scopo di esibire le capacità delle persone che gareggiano.


Ma non sono tanto sicuro che fosse proprio questo il significato dato a Gesù in questa parabola. Innanzitutto il termine ‘talento’, nel testo, si riferisce a una somma di denaro. Una grande somma di denaro.

Il talento, come la mina, è una "moneta di conto", cioè un'unità monetaria che non esiste in realtà ma alla quale si fa riferimento per calcolare somme di grande quantità … Il talento attico, di cui parlano i Vangeli, si divideva in sessanta mine, ognuna delle quali valeva cento denari … si è calcolato che in quindici anni un lavoratore poteva guadagnare un talento in tutto... 

È vero che le parabole usano immagini simboliche per richiamare altre realtà, ma occorre sempre partire dal significato principale dell’immagine per coglierne quello simbolico nel modo giusto. E se ci riusciamo è bene dare alle immagini che Gesù usa il significato che vuole lui, non quello che ci vediamo noi, altrimenti si rischia di non capire.
L’uomo che affida i talenti ai suoi servi consegna loro non solo delle somme di denaro, ma ‘i suoi beni’. Un affidamento totale, non solo parziale. E, attenzione, questi beni non sono dei servi, sono suoi. Li affida a loro, ma rimangono suoi. 
In tutto sono otto talenti. Se un talento equivaleva a 15 anni di lavoro, equiparato a spanne ai prezzi di oggi e tenendoci bassi calcolando 1000 euro al mese di stipendio (per comodità di calcolo), 1000 euro x 12 mesi x 15 anni = 180000 euro fanno un talento. 8 talenti sono 1.440.000 euro. Al primo servo vengono consegnati 5 talenti, quindi 900.000 euro, al secondo 360.000, al terzo 180.000. Questo calcolo ci permette di correggere una prima impressione che si ha ascoltando superficialmente la parabola, e cioè che al povero terzo servo siano stati dati pochi miseri spiccioli. 180.000 euro non sono una piccola cifra certamente.
Il secondo particolare da notare è che il padrone dà i talenti ‘secondo le capacità di ciascuno’. Ma se è così, se i talenti sono dati secondo le capacità, allora non sono le capacità. Le capacità sono proprie dei servi, i talenti sono proprietà del padrone.

Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.

Le capacità dei primi due servi vengono utilizzate per moltiplicare i talenti. In questo non c’è nessuna discriminazione tra loro (perché questo è il vero inghippo che immediatamente ci turba in questa parabola: che al terzo servo sia stata fatta un’ingiustizia), perché anche il terzo avrebbe potuto fare la stessa cosa. Come vedremo la risposta del padrone è identica per il primo che ha raddoppiato la cifra come per il secondo. Sarebbe stata la stessa anche per il terzo se avesse fatto altrettanto.

Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Ecco il collegamento con l’Avvento: il ritorno del padrone ‘dopo molto tempo’.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Prendi parte alla gioia del tuo padrone. Come hai saputo prendere a cuore i suoi beni come fossero tuoi. Prendere parte, ecco la chiave per comprendere il comportamento dei primi due servi e quello, in negativo del terzo.


Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.

‘Ecco ciò che è tuo’. Credo che questa sia una delle espressioni centrali utili per comprendere questa parabola. Certo che il talento è suo, è del padrone. Ma mentre gli altri due si sono presi a cuore in qualche modo le proprietà del padrone e le hanno sviluppate come fossero loro, mettendogli a disposizione le proprie capacità, il terzo servo ha tenuto per sé le proprie capacità e per il padrone il suo talento. Non ha voluto collegare le due cose. Non si è immischiato. Non ha voluto prendersi a cuore i beni del padrone che gli erano stati affidati.
Mi sembra di sentir risuonare le parole del figlio maggiore della parabola del figliol prodigo: ‘io ti servo da tanti anni e non mi hai mai dato un capretto…’ e la risposta del padre ‘figlio, tutto quello che è mio è tuo’.
I primi due servi si sono comportati come figli. Il terzo ha preferito rimanere servo.
E il motivo? ‘Ho avuto paura’. Un figlio non ha (normalmente) paura del padre. Un servo invece può averla. E da cosa è generata questa paura? ‘So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso’. Questa è l’immagine che il servo ha del padrone. E in base a questa immagine che si è creata agisce di conseguenza. Ma un padrone che affida al proprio servo 180.000 euro non corrisponde molto a questa idea di diffidenza e di paura. Ma quest’uomo non se ne rende conto, servo ancora più che del padrone della propria idea che ha di lui.
Ci sarebbe stata ancora una possibilità per questo servo: pur nella distorsione dell’immagine che ha del padrone, avrebbe almeno potuto, se non voleva utilizzare le proprie capacità per lui come hanno fatto gli altri, sfruttare le capacità di altri. Mettere il denaro in banca non gli sarebbe costato né sforzo né impegno e avrebbe ottenuto come risultato degli interessi (evidentemente era ancora il tempo in cui mettere i soldi in banca rendeva qualcosa). Ma forse è proprio questa la maggiore aberrazione ottenuta dal suo atteggiamento: non solo ha paura del padrone e diffida di lui, non solo non vuole faticare e mettere in gioco per lui il proprio tempo e le proprie capacità, non vuole nemmeno che il padrone ne abbia dei vantaggi. 
Da qui si può scorgere in lontananza un’altra parabola, quella in cui non solo i servi non vogliono rendere al padrone ciò che è suo, ma finiscono per ucciderlo per avere tutto loro.

Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Ancora una volta il richiamo alle tenebre eterne, ma mentre una lettura superficiale ci portava sull’orlo del risentimento verso il padrone per questo poveretto che veniva discriminato ingiustamente e pure punito, ora si comincia a cogliere più in profondità di quanto possano dipendere da noi le conseguenze delle nostre immagini sbagliate di Dio.

Un capomastro lavorava da molti anni alle dipendenze di una grossa società edile. Un giorno ricevette l’ordine di costruire la villa più bella che sarebbe riuscito a immaginare, secondo un progetto a suo piacere. Poteva costruirla nel posto che più gli gradiva e non badare a spese. I lavori cominciarono, ma approfittando di questa cieca fiducia, il capomastro pensò di usare materiali scadenti, di assumere operai poco competenti a stipendio più basso, e di intascare così la somma risparmiata. Quando la villa fu terminata, durante la festa di inaugurazione, il capomastro consegnò al presidente della società la chiave di entrata. Il presidente gliela restituì e disse, stringendogli la mano: “Questa villa è il nostro regalo per lei in segno di stima e di riconoscenza”


martedì 9 maggio 2023

acqua e vino - 2


Gv 2, 1-11

la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino».

Mentre in tutto l’episodio non si fa cenno alla sposa, Maria ha un ruolo importante. È lei che si accorge della mancanza di vino. È lei che prende l’iniziativa. È lei che provoca la reazione del figlio ed è da lei che arriva l’indicazione operativa che porterà alla soluzione del problema. Ma che ruolo simbolico ha Maria in questo quadro? C’è un testo che vale la pena di leggere e che può darci uno spunto:

Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito santo, ambedue danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo. Tutt'e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l'altra. Perciò giustamente nelle Scritture quel ch'è detto in generale della vergine madre Chiesa, s'intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d'una delle due, può essere inteso indifferentemente dell'una e dell'altra. Anche la singola anima può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l'anima fedele.
Dai «Discorsi» dell’abate Isacco della Stella (Disc. 51)

Isacco mette in relazione Maria con la Chiesa, mentre io ho sempre parlato dell’umanità come sposa. Diciamo che la Chiesa è la parte umana della sposa consapevole (con alti e bassi) del suo rapporto con lo sposo, mentre c’è una parte che è ugualmente sposa ma non lo sa, che sono tutti coloro che della Chiesa non fanno parte. Maria è la ‘donna’ (infatti così la chiama Gesù), la sposa perfetta e immagine della sposa totale che è la Chiesa e in ultima analisi l’umanità. Attraverso di lei cominciamo a capire qual è il nostro ruolo. Non siamo solo spettatori della salvezza, delle nozze. Se siamo la sposa abbiamo anche noi la nostra parte da svolgere.
Un matrimonio per essere valido ed efficace richiede la consapevolezza di entrambi gli sposi, la sposa deve essere attenta a quel che succede, a quel che c’è e a quel che manca, non solo spettatrice. E qual è la prima cosa che, se consideriamo la nostra vita, risulta evidente (a qualcuno di più e a qualcuno di meno)? Che manca la gioia. O meglio, ce n’è un po’ ma va e viene, e prima o poi finisce. E ci sono momenti in cui la gioia non riusciamo proprio a sentirla (come ho sentito dire l’altro ieri: ‘come si fa ad essere gioiosi di lunedì?’).
Non hanno vino’.

E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».

È vero che “Dio sa di quali cose abbiamo bisogno ancor prima che gliele chiediamo” (Mt 6,7), ma ugualmente ha senso che gliele chiediamo, se ci teniamo e se le riteniamo importanti e necessarie. Se la sposa ha veramente bisogno di qualcosa dallo sposo, non starà lì passiva ad aspettare, ma chiederà, e se necessario insisterà fino a ottenerlo.

Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza. Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Lc 11, 5-11

La sposa insiste, anche a costo di sentirsi rispondere male. Non è ancora l’ora, dice lo sposo. Che significa? L’ora del ‘matrimonio’ sarà quella in cui Gesù muore in croce per salvare/sposare l’umanità. È interessante notare come Giovanni citi Maria solo due volte nel suo vangelo, e tutte e due le volte lei è chiamata ‘donna’; e l’altro episodio che la vede protagonista è proprio il momento della morte di Gesù:

Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Gv 19, 26-27



Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Anche se non è ancora l’ora definitiva, la sposa può già permettersi di ottenere l’attenzione dello sposo. E in qualche modo può permettersi di costringerlo ad agire dando lei le istruzioni ai servi. Dopotutto Gesù non è venuto nel mondo per iniziare questa salvezza e preparare le condizioni per questo incontro? E Gesù non è Dio stesso fatto uomo proprio per facilitare l’incontro con lui?
‘fate quello che vi dirà’.

Ecco allora che abbiamo scoperto quali sono le cose che noi, la sposa, su suggerimento della sposa per eccellenza che è Maria, dobbiamo fare nonostante i nostri limiti: fargli la corte, suscitare il suo interesse e la sua attenzione, e se necessario insistere, ma soprattutto fare tutto quello che lui ci dice (non dire noi a lui cosa deve fare, come ahimè facciamo spesso).
E finalmente siamo arrivati all’intervento dello sposo.

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo.

Raramente Gesù fa le cose da solo e ci lascia a fare gli spettatori. Vuole che facciamo la nostra parte, fosse anche solo mettergli a disposizione dei pani e dei pesci (Lc 9, 12-17) o un nostro sforzo personale (Mt 18, 24-27. Lc 5-4-7). In questo caso tocca a noi mettere l’acqua.
È curioso però notare qual è l’acqua che Gesù chiede di usare. Le anfore di pietra a cui fa riferimento servivano ‘per la purificazione’. Contenevano cioè non l’acqua che veniva usata per bere, ma quella che veniva usata per lavarsi mani e piedi. È un po’ come se Gesù avesse chiesto di riempire d’acqua i lavandini dei bagni.
Insomma, fuor di metafora, Gesù ci sta chiedendo di mettergli a disposizione ciò che abbiamo, per quanto limitato (e anche sporco) sia: la nostra stessa vita. Non pulita, non limpida, non vino. Manca qualcosa che dia gusto, gioia e felicità. Abbiamo sì l’essenziale per sopravvivere, ma non per vivere felici. Allora lo sposo ci aggiunge quello che solo lui può dare:

Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.








giovedì 4 maggio 2023

acqua e vino


Gv 2, 1-11

Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 
Questo episodio è uno dei più strani di tutti i vangeli. Purtroppo chi di noi se lo ricorda in genere non porta con sé molto altro che ‘Gesù va a un matrimonio, manca il vino, lui risolve il problema e vissero tutti felici e contenti (e ubriachi)’. Eppure Giovanni lo conclude così: “Questo fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Nientemeno. E’ vero che noi non riusciremmo neppure a cambiare l’acqua in vino, ma insomma, avesse almeno fatto risorgere un morto…
E non è la sola stranezza. In queste nozze non ci sono gli sposi: della sposa non si parla e lo sposo compare solo di striscio. Poi Gesù fa l’antipatico e risponde male a sua madre. E trasforma in vino 600 litri d’acqua. E quasi nessuno si accorge che è lui che ha risolto il problema. E non sono le uniche stranezze.
Che senso ha questo episodio? Per capirci qualcosa occorre ripescare un paio di cose che noi che conosciamo poco la Bibbia e apparteniamo a una cultura diversa da chi l’ha scritta ci siamo persi per strada. La prima è il richiamo alle nozze. Molte volte, soprattutto nei testi profetici, il rapporto tra Dio e l’umanità viene espresso come uno sposalizio:
Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo gloria a Dio, perché sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente”. La veste di lino sono le opere giuste dei santi. Allora l'angelo mi disse: “Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!” Ap 19, 6-9
Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore. Is 54, 4-5
Va' e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: “Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. Israele era cosa sacra al Signore la primizia del suo raccolto". Ger 2, 2-3
Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Ap 21, 1-2
I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Mc 2, 18-20
Venuto a mancare il vino
La seconda cosa che occorre tener presente è che nella Scrittura il vino è simbolo di ciò che nella vita dà gioia.
Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare. Sal 4,8
Tu, Signore, fai crescere il fieno per gli armenti e l'erba al servizio dell'uomo, perché tragga alimento dalla terra: il vino che allieta il cuore dell'uomo; l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore. Sal 104, 14-15
Signore mio Dio, quanto sei grande! ... Fai crescere il fieno per gli armenti e l'erba al servizio dell'uomo perché tragga alimento dalla terra, il vino che allieta il cuore dell'uomo e l’olio che sostiene il suo vigore. Sal 104, 15
Ovviamente il vino è importante in quanto segno, non di per sé. I testi biblici (e anche la nostra esperienza personale) raccomandano che sia bevuto con moderazione.
Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini. Allegria del cuore e gioia dell'anima è il vino bevuto a tempo e a misura. Amarezza dell'anima è il vino bevuto in quantità, con eccitazione e per sfida. L'ubriachezza accresce l'ira dello stolto a sua rovina, ne diminuisce le forze e gli procura ferite. Sir 31, 27-28
Ora che abbiamo ripescato questi due aspetti possiamo forse capire qualcosa in più. Nella visione che Dio ha della creazione lui è lo sposo e noi siamo la sposa. La sposa però ha un po’ di problemi. Innanzitutto non è sempre consapevole di come Dio intende il rapporto con lei e anche quando lo è lo tradisce spesso oppure lo dimentica. Tradendolo e dimenticandosi di lui va a cercare la gioia e la felicità altrove, ma anche quando la trova si accorge presto o tardi che è effimera. Cercandola poi fuori da sé trova sempre dei surrogati provvisori (il vino stesso in quanto tale, come qualsiasi droga, lo è). Ma lo sposo non smette di correrle dietro e di cercarla, fino ad essere disposto a dare la vita per lei anche se lo tradisce e lo dimentica (non escludendo di arrabbiarsi con lei qualche volta, eh…):
Accusate vostra madre, accusatela,
perché lei non è più mia moglie
e io non sono più suo marito!
Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni
e i segni del suo adulterio dal suo petto;
altrimenti la spoglierò tutta nuda
e la renderò simile a quando nacque,
e la ridurrò a un deserto, come una terra arida,
e la farò morire di sete.
I suoi figli non li amerò,
perché sono figli di prostituzione.
La loro madre, infatti, si è prostituita,
la loro genitrice si è coperta di vergogna,
perché ha detto: “Seguirò i miei amanti,
che mi danno il mio pane e la mia acqua,
la mia lana, il mio lino,
il mio olio e le mie bevande”.
Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine,
la sbarrerò con barriere
e non ritroverà i suoi sentieri.
Inseguirà i suoi amanti,
ma non li raggiungerà,
li cercherà senza trovarli.
Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima,
perché stavo meglio di adesso”.
Non capì che io le davo
grano, vino nuovo e olio,
e la coprivo d’argento e d’oro,
che hanno usato per Baal.
Perciò anch’io tornerò a riprendere
il mio grano, a suo tempo,
il mio vino nuovo nella sua stagione;
porterò via la mia lana e il mio lino,
che dovevano coprire le sue nudità.
Scoprirò allora le sue vergogne
agli occhi dei suoi amanti
e nessuno la toglierà dalle mie mani.
Farò cessare tutte le sue gioie,
le feste, i noviluni, i sabati,
tutte le sue assemblee solenni.
Devasterò le sue viti e i suoi fichi,
di cui ella diceva:
“Ecco il dono che mi hanno dato i miei amanti”.
Li ridurrò a una sterpaglia
e a un pascolo di animali selvatici.
La punirò per i giorni dedicati ai Baal,
quando bruciava loro i profumi,
si adornava di anelli e di collane
e seguiva i suoi amanti,
mentre dimenticava me!
Perciò, ecco, io la sedurrò,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acor
in porta di speranza.
Là mi risponderà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto.
E avverrà, in quel giorno mi chiamerai: “Marito mio”,
e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”.
Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal
e non saranno più chiamati per nome.
In quel tempo farò per loro un’alleanza
con gli animali selvatici
e gli uccelli del cielo
e i rettili del suolo;
arco e spada e guerra
eliminerò dal paese,
e li farò riposare tranquilli.
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nell’amore e nella benevolenza,
ti farò mia sposa nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore. Os 2, 4-24
Bene, ora abbiamo le informazioni che ci permettono di capire qualcosa in più di questo testo. Il vino è simbolo di ciò che dà gioia e le nozze umane richiamano il rapporto sentimentale che Dio ha verso di noi. Noi siamo la sposa e Dio è lo sposo.
Ma noi siamo una sposa imperfetta e mancante. Cosa deve succedere perché il matrimonio vada a buon fine nonostante questi limiti? Verrebbe da pensare che ora sia lo sposo, Dio, a intervenire per risolvere il problema. Un po’ come succede spesso nella nostra vita, quando ci troviamo in difficoltà e chiediamo che Dio ci aiuti.

Continua…