Mc 8, 27-35
Gesù
partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo
Domenica scorsa abbiamo assistito alla guarigione del sordomuto,
e facevo notare che in quel sordomuto siamo presenti anche noi, nella nostra
fatica ad ascoltare Dio, e di conseguenza a parlarne in modo corretto.
Tra l’episodio del sordomuto e quello narrato nel vangelo di
questa domenica, Marco descrive alcuni altri fatti su cui vale la pena di
soffermarsi almeno un momento:
-
il segno della
moltiplicazione dei pani e dei pesci, a cui segue una richiesta da parte dei
farisei di un segno, segno che Gesù nega.
-
Una discussione con
i discepoli che si preoccupano del pane proprio dopo che Gesù ha dimostrato che
non è di quello che devono preoccuparsi.
-
La guarigione del
cieco, che ho già citato nel commento del vangelo di domenica scorsa, perché speculare
nel suo svolgersi con la scena del sordomuto.
Riporto qui le parole di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e
pesci perché sono molto significative.
«Perché discutete
che non avete pane? Non capite ancora
e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?». Mc 8,
17
Ho evidenziato le parole che riassumono, a mio avviso, tutto
quello che sta accadendo in questa successione di eventi: Gesù sta facendo
notare ai suoi che sono ciechi e sordi. E finchè lo saranno non sapranno vedere
le cose come sono veramente, non potranno quindi né imparare né vedere la
strada. E a proposito di strada…
per
la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io
sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri
uno dei profeti».
Cominciamo a capire quali sono le conseguenze del non vedere e
non udire: alla domanda ‘chi è Gesù?’ il sondaggio rivela molte risposte, tutte
diverse e tutte sbagliate. Chi non ha capito, che è ancora sordo e cieco, anche
se ha voce per rispondere, non sa però rispondere nel modo giusto. Al sordomuto,
dopo l’intervento di Gesù
‘si sciolse il nodo
della sua lingua e parlava correttamente’
Alla gente a cui è stata rivolta la domanda sull’identità di
Gesù il nodo non è ancora sciolto, non sono in grado di parlare
‘correttamente’.
Ed
egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu
sei il Cristo».
Pietro risponde correttamente alla domanda di Gesù. Perché?
Perché, nonostante i difetti e i limiti che ha, non ha solamente incrociato
Gesù per un momento, non ne ha solo sentito parlare, come presumibilmente aveva
fatto la folla a cui era stato rivolto il sondaggio. Pietro Gesù lo ha seguito,
è stato con lui ‘in disparte’, lo ha frequentato, ha accettato di seguirlo, e
per fare questo ha lasciato molte cose. Pietro ha ascoltato e ora conosce, e
quindi sa riconoscere chi è davvero chi è Gesù.
E
ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
Ancora una volta, come già abbiamo visto nell’episodio del
sordomuto, Gesù ordina di tacere. Proprio adesso che saprebbero dire le cose
giuste. Ma questo per Gesù basta. L’episodio di Cesarea ci rivela che ora gli
apostoli devono fare un passo in più. Loro compito non sarà quello di fare una
campagna pubblicitaria a Gesù, ma di annunciarlo. Per pubblicizzarlo basta raccogliere
informazioni e presentarle bene. Per annunciarlo occorre averlo conosciuto,
aver passato tempo con lui, aver interiorizzato le sue parole e la sua persona,
facendolo diventare vitale. E questo richiede tempo, molto tempo. Bisogna
adesso continuare ad ascoltare cosa Gesù ha da rivelare. Riconoscerlo come
Messia e poi non starlo a sentire sarebbe un’assurdità. Una volta compreso che
Gesù è il Cristo, bisogna lasciarlo parlare e agire. E qui Pietro inciampa.
E
cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed
essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire
ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e
guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me,
Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Di questa espressione di Gesù è rimasta nel linguaggio parlato
la versione latina, ‘vade retro!’, intesa nel senso di ‘vattene!’,
‘allontanati!’. Ma la traduzione italiana riprende meglio il senso originario:
Gesù non ordina a Pietro di allontanarsi, di stare indietro, ma di tornare
dietro a lui. Pietro infatti sta dando delle indicazioni a Gesù su cosa sia
meglio (secondo Pietro) fare. Certamente il rimprovero di Pietro nasce da
affetto, Pietro non vuole che Gesù soffra e sia ucciso. Ciononostante Pietro
passa dalla parte di satana, del nemico di Gesù, cioè appunto dalla parte di
chi inverte l’ordine di marcia, inverte i ruoli: invece che Gesù davanti a
guidare e Pietro dietro a seguire, Pietro (pur con tutto l’affetto e la buona
fede) vuole mettersi davanti, al posto di Gesù.
Quando noi parliamo di male, di peccato, spesso ci facciamo
sviare dal concetto umano di male, che corrisponde a qualcosa di violento, di
cattivo, di dannoso perché fa soffrire. Certamente un criterio per valutare il
male è anche questo, ma c’è un altro tipo di male, altrettanto dannoso se non
di più, che però a volte ci sfugge. Tornando a noi e alle parole di Gesù, cosa
c’è di male in Pietro che non vuole che Gesù muoia? Non solo non vediamo del
male, ma potremmo affermare che Pietro ha una intenzione di bene
nell’intervenire. Eppure Gesù lo chiama Satana. Parola che messa in bocca a
Gesù assume un peso e un significato terribile. Cos’ha fatto di male Pietro? Di
male nel senso umano, nulla. Però sta impedendo a Gesù di svolgere il suo
compito di salvezza, che Gesù sa dipendere dalla sua morte in croce. Il male in
questo caso non è un gesto di violenza, ma paradossalmente un gesto di affetto.
Ma affetto umano, che in questo caso ostacola l’intervento divino. Il male sta
anche (e soprattutto) nel rovesciamento dell’ordine gerarchico tra Dio e
l’Uomo. Quando l’uomo dice a Dio cosa deve o non deve fare lo schema salvifico
viene violato, l’uomo si mette al posto di Dio. Ecco il peccato originale, che
richiama chiaramente la ribellione dell’Eden. Non è un peccato di violenza
fisica, che causa dolore. Ma è un peccato che distrugge l’identità di Dio e
quindi anche quella dell’uomo. Se non è il peggiore dei peccati questo…
Ecco che l’abbinamento peccato-satana, quello della Genesi,
rispunta fuori.
Il serpente disse
loro: ‘…si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il
bene e il male’. Gen 3,5
Diventare come Dio significa ritenersi autoreferenziali, autoassolutori,
autosalvifici. Infatti Gesù continua…
Convocata
la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole
salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia e del Vangelo, la salverà».