lunedì 15 aprile 2013

vedente e credente


Gv 20, 19-31

Il vangelo di domenica 7 aprile (puff… puff… sto invecchiando, perdo colpi) contiene un’affermazione molto interessante, suscitata dalla presa di posizione di Tommaso: ‘se non vedo non credo’.

Gesù …disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Dichiarazione strabiliante, se valutata con l’ottica che vede il credente come uno che ‘crede’ in qualcosa che non è dimostrabile, visibile o verificabile: il credente è uno che non vede, se vedesse non sarebbe più credente.
Invece Gesù dice esattamente il contrario: il credente è colui che ha potuto toccare, vedere, sperimentare. Solo così può definirsi credente. Da Gesù in poi la definizione di credente si è completamente ribaltata, anche se ahimè ancora molti cristiani, che pure a Gesù fanno riferimento, intendono la propria fede come un qualcosa di esclusivamente irrazionale, emotivo, fondamentalmente immotivato: credo senza capire.

L'incredulità di san Tommaso - Caravaggio

Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Beato davvero chi riesce a credere senza vedere. Non so come faccia. Io ho bisogno di verificare, di capire e per quanto possibile vedere con i miei occhi. Ho bisogno di verificare l’attendibilità dei vangeli. Ho bisogno delle ricerche storiche, archeologiche e letterarie. Ho bisogno di qualcuno che ne sappia più di me, che abbia visto e toccato e che mi aiuti a capire senza sbagliare.

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Un libro scritto da un testimone oculare, che riferisce di testimoni oculari e che è lì a disposizione per essere verificato, criticato, approfondito, messo in discussione. E dopo tutte queste verifiche rimane in piedi, ulteriormente verificabile da chiunque voglia prendersi la briga di farlo.

lunedì 8 aprile 2013

Dio e Uomo

Dalla Maestà divina fu assunta l'umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno la nostra mortalità; e la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l'altro, ad essa soggetto. Vera, integra e perfetta fu la natura umana nella quale è nato, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c'è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il Signore di tutte le cose. Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e Signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà e prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non disdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.


Gesù Risorto - cappella antica, santuario di san Magno (CN)

Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana e la sublimità della natura divina. Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinuncia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie.
Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. E' Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). E' uomo, perché: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

 san Leone Magno, papa - Lettera a Flaviano