venerdì 21 aprile 2023

I due di Emmaus


Lc 24, 13-34

In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.

Siamo sempre nel giorno della resurrezione, nel grande ‘oggi’ al di fuori dei calendari nel quale ci troviamo anche noi. Quello che è accaduto, e che riassumeranno tra poco, è la vicenda di Gesù, soprattutto i suoi ultimi giorni. Una storia tragica che i due hanno visto da vicino.
Anche noi stiamo vivendo da vicino un momento drammatico e difficile, e di quello che è accaduto e sta accadendo conversiamo tra di noi e se ne parla ovunque, talmente tanto che anche nei giornali e telegiornali praticamente non si sente altro.

Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

Ancora una volta, come già abbiamo visto in tutti gli episodi dopo la resurrezione di Gesù, nei protagonisti la percezione della realtà è limitata alle loro conoscenze immediate. I due ritengono che le cose siano in un dato modo e reagiscono di conseguenza, mentre le cose stanno diversamente, non solo per il fatto che Gesù sia nel frattempo risorto. Questo lo sappiamo noi, loro potevano anche non saperlo (nonostante alcune cose che diranno tra poco). È diverso da come lo percepiscono loro anche tutto quello che è successo prima. Gesù stesso è diverso dall’idea che loro si sono fatti di lui. Lo vedremo tra poco quando i due riveleranno le loro aspettative nei suoi confronti. Ma andiamo con ordine.

Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».

Il loro volto triste rispecchia il nostro in questi giorni. Nelle nostre preghiere stiamo anche noi raccontando al Signore quello che sta accadendo. Ed è anche possibile che ci venga il pensiero che Dio sia lontano, estraneo, forestiero, distante. Molte volte nei commenti agli articoli dei giornali in questo periodo è venuta fuori l’obiezione ‘Dio se esiste dovrebbe fare qualcosa’. Obiezione peraltro non nuova; ci eravamo imbattuti in qualcosa di simile proprio nei giorni della crocifissione:

I passanti insultavano Gesù e, scuotendo il capo, esclamavano: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”. Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: “Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.  Mc 15, 29-32


Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.

Per noi che in questo momento stiamo leggendo, questo dialogo ha un che di surreale: Gesù, che ha vissuto quegli eventi in prima persona, sulla propria pelle, chiede ai due che sono stati solo spettatori (e non sappiamo neppure con quale grado di vicinanza con gli eventi) di descrivere cosa gli è successo. I due riassumono correttamente gli eventi storici per come si sono succeduti, ma quello che non sanno dire è il significato di tutto questo. La ricerca di senso la esprimono così:

Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele;

I fatti sono una cosa, trovarne il senso è ben diverso. E questa ricerca di senso generalmente anche noi (come i due di Emmaus) la mescoliamo o la identifichiamo con le nostre aspettative. Atteggiamento assai comprensibile ma che complica ancora di più le cose. Noi non siamo estranei a ciò che vediamo (specialmente se questo ci tocca in prima persona, come in questi giorni), ma rischiamo di non distinguere tra le nostre impressioni e i nostri desideri. Questo è ancora più complicato per chi è credente e cerca di collegare gli eventi, le impressioni, le aspettative e, in tutto questo, la presenza di Dio. Nel caso dei due di Emmaus, Gesù ha fatto una fine che non si aspettavano e non ha realizzato le loro speranze, quindi sono doppiamente delusi. Ma questo è proprio uno dei motivi per cui non lo sanno riconoscere: erano disposti a vedere in lui il Messia solo se avesse fatto quello che loro si aspettavano. In fondo è la stessa cosa che era successa (più in grande) per tutto il tempo della vita pubblica di Gesù: la gente, i sacerdoti e gli scribi, le autorità e gli stessi discepoli fanno una fatica terribile a riconoscere in Gesù il Messia, perché loro si erano fatti un’idea a cui Gesù non si adatta. Credo che anche a noi succeda spesso la stessa cosa.

con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Ancora una volta si gioca sul ‘vedere’. Abbiamo visto, abbiamo sperato, altri hanno visto qualcosa ma non hanno visto lui. E tutto questo lo stanno dicendo proprio a lui che è lì, accanto a loro.
Tutto questo però non scaccia una nostra obiezione che credo sia legittima: se non vediamo non è anche un po’ colpa del Signore stesso, che tutti questi nostri limiti e difetti di valutazione li conosce, e potrebbe anche mostrarsi in modo un po’ più evidente?
Vediamo cosa fa con questi due:

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Bisognava: era necessario che le cose andassero in un certo modo, anche se non è quello che avremmo voluto o sperato noi. In questo ‘bisognava’ è contenuto tutto il modo di Dio di vedere le cose, che è immensamente più vasto, nello spazio, nel tempo e nel senso, del nostro. Noi possiamo vedere dei fatti, degli eventi, ma non tutti i fatti e tutti gli eventi e soprattutto non siamo in grado di vederne né le conseguenze né il loro significato profondo. Gesù allora lentamente aiuta i due ad allargare il proprio sguardo. E lo fa non rivelando loro segreti divini o misteri sconosciuti, ma aiutandoli a conoscere e a capire ciò che loro avevano già a disposizione: le Scritture.
Cominciamo a intravvedere qualcosa del metodo di Gesù. Non si rivela ...perchè si era già rivelato. Non si fa vedere ...perchè si era già fatto vedere. Lo comprenderemo ancora meglio tra poco.
Non dimentichiamo tra l’altro le parole di Gesù stesso in un’altra occasione:

Se non credono a Mosè e ai profeti, neanche se uno risorgesse dai morti sarebbero persuasi

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.


Come già aveva fatto prima con le Scritture, Gesù completa il proprio svelamento non mostrando qualcosa di nuovo apposta per loro, ma rifacendo quello che aveva già fatto in precedenza: spezzando il pane, come nell’ultima cena. E i due scoprono che avevano già tutto il necessario per vedere, ma non se n’erano resi conto. Gesù aiuta i due a vedere quello che avevano già sotto gli occhi. Che sono le stesse cose che abbiamo anche sotto gli occhi noi: le Scritture e l’Eucarestia. Non ci serve altro. Tanto è vero che...

Ma egli sparì dalla loro vista.

Ma come? Proprio adesso che lo riconoscono sparisce? E perché? Credo sia proprio perché non c’è più bisogno della sua presenza fisica, che è quella che noi desideriamo di più ma paradossalmente è anche quella che serve di meno. Serve di meno perché è limitata nello spazio e nel tempo. Quando Gesù si è fatto uomo ha ridotto, non aumentato la sua presenza. Nella Scrittura c’è molta, ma molta più parola di Dio che in tutte le cose che Gesù ha detto nella sua vita. Nell’Eucarestia c’è molta, ma molta più presenza di Cristo in tutti i tempi e in tutti i luoghi che nei pochi anni e nel poco spazio in cui Gesù è stato in terra.
Non dimentichiamo poi che molti altri hanno visto e toccato fisicamente Gesù eppure non lo hanno riconosciuto e non hanno creduto in lui.
C’è poi un altro motivo per il quale Gesù sparisce dalla loro vista, ed è un motivo insito nella realtà stessa dell’Eucarestia: se l’Eucarestia è il pane che diventa il corpo di Cristo, il pane non rimane sulla tavola per essere guardato. Gesù sparisce perché l’hanno mangiato. Non è più davanti a loro perché è dentro di loro.

Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

Ora che i due hanno capito di avere dentro di sé sia la comprensione delle Scritture che la presenza del Signore, dopo che tristi hanno fatto undici chilometri a piedi verso Emmaus ora rifanno la stessa strada di corsa verso Gerusalemme per dirlo agli altri, che a loro volta hanno avuto la stessa esperienza. Inizia il tempo dell’annuncio, che non è propaganda o proselitismo, ma raccontare la propria esperienza di incontro con il risorto.


martedì 18 aprile 2023

Tommaso

Gv 20, 19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei,

La domenica dopo Pasqua viene letto ogni anno questo testo, che si svolge in due tempi. Inizia la sera del giorno della resurrezione e si conclude la domenica successiva.
La sera del giorno di Pasqua i discepoli sono chiusi in casa per paura. E lì li raggiunge il risorto.
Quest’anno il testo di Giovanni ha dei forti richiami anche per noi, per quello che stiamo vivendo. I discepoli sono chiusi in casa, come noi. E anche loro come noi hanno timore di qualcosa. Intanto Gesù è già risorto, per loro come per noi. Ma il fatto che sia risorto non vuol dire automaticamente che siamo in grado di vederlo e incontrarlo. Inoltre le nostre paure e le nostre insicurezze possono portare la nostra attenzione lontano da lui, nonostante le nostre convinzioni e la nostra fede. Avere delle convinzioni (nel caso degli apostoli ancora abbastanza limitate e fragili, dopo la mazzata della morte del maestro) non elimina la paura per quello che può succederci. Possiamo essere motivati e credenti fin che si vuole, ma avere paura lo stesso. Teniamo anche conto che la paura dei discepoli in questo caso è quella di fare la stessa fine di Gesù, quindi non una paura da poco. Così come non è poca cosa per noi la paura di venire contagiati o di contagiare qualcuno.
La paura poi, se non combattuta, genera chiusura e diffidenza, e spesso rischia di creare nemici, anche dove in realtà non ce ne sono, con il risultato di peggiorare ancora di più i nostri rapporti sociali:


Siamo in una situazione di timore. Ed è in questa situazione di timore e chiusura, per i discepoli e per noi, che entra Gesù.

venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».

Gesù, che non ha più limitazioni fisiche dopo la resurrezione (ma come vedremo non ha lasciato il suo corpo), entra nella nostra vita, proprio in mezzo, proprio dentro:

dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Mt 18, 20
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.  Mt 28, 20

Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.

Perché le mani e il fianco? Cos’hanno di particolare? E cosa possono comunicare ai discepoli? Sulle mani e sul fianco ci sono le ferite della crocifissione. Il risorto ha ancora quelle ferite. È un corpo rinnovato il suo (entra a porte chiuse) ma è sempre il suo corpo, e le ferite ne fanno parte. La resurrezione è il superamento della morte, non la sua cancellazione.

Il Signore non salva dalla morte (non ha salvato neanche sé stesso), ma nella morte. (P. Silvano Fausti)

Tra le altre cose questi buchi nel corpo di Gesù mi hanno richiamato alla mente in questi giorni gli innumerevoli buchi delle flebo e dei prelievi nelle braccia dei malati nei nostri ospedali e dei morti nei nostri cimiteri.

E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Ora comincia una fase nuova per i discepoli. Non solo perché finalmente incontrano il risorto, ma perché il risorto stesso li coinvolge. La salvezza portata da Cristo non è un evento a cui assistere da spettatori. Ma certo con la paura addosso non si va molto avanti. C’è bisogno di qualcosa, anzi, di qualcuno in più. Mentre finisce l’opera del Figlio mandato dal Padre ora inizia l’opera dell’Altro inviato, come Gesù stesso aveva annunciato:

Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Gv 14, 15-17

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà. Gv 16, 12-15

Cristo risorto risveglia la speranza e porta la pace, ma non si sostituisce a noi.
‘Come il Padre ha mandato me, ora io mando voi’.
Ora è il nostro momento, ma non ce la possiamo fare da soli. È lo Spirito Santo che entrando in noi continuerà l’azione di Cristo. Sta iniziando il tempo della chiesa.

E a proposito di chiesa, questo dono dello Spirito Santo che fa Gesù ai discepoli mi ha richiamato una situazione che stiamo vivendo oggi noi cristiani: siamo senza la messa. Dobbiamo accontentarci di guardarla in tv o sui social, con tutti i limiti che questo comporta, primo tra tutti quello di non poter fare la Comunione. E mancando la messa abbiamo scoperto che a molti di noi non resta più molto della nostra fede. Abbiamo scoperto che non siamo tanto capaci di pregare da soli o in famiglia. Abbiamo scoperto che non possiamo più celebrare i funerali per i nostri morti, e se manca il funerale in chiesa noi non siamo più capaci neanche di pregare in casa per loro. Come se ci fosse stato tolto tutto. Eppure, anche se l’Eucarestia è fondamentale per la nostra vita di cristiani, non è l’unica risorsa che abbiamo a disposizione. A pregare, e a pregare bene, dovremmo essere capaci da tempo. Nessuno ce lo ha mai impedito. E anche a leggere e a meditare il vangelo e il testo biblico dovremmo essere degli esperti ormai. Invece molti di noi si trovano impreparati. Soprattutto qui in Italia dove da secoli abbiamo chi ci fa tutto: chi celebra per noi, chi prega per i nostri morti, chi medita per noi la Parola di Dio, chi prega al nostro posto, chi sostituisce i genitori nella formazione cristiana dei bambini, chi si occupa per noi dell’attenzione ai poveri e ai bisognosi…
Queste carenze spirituali che stiamo scoprendo in noi e nelle nostre comunità però ci dovrebbero anche far tornare alla mente e prendere coscienza che appunto non c’è solo il sacramento dell’Eucarestia. Ci sono anche la preghiera e la Scrittura, abbiamo visto, ma c’è ben di più: i sacramenti sono sette. Se manca l’Eucarestia restano ancora gli altri. Il dono dello Spirito Santo che in questo episodio Gesù fa ai discepoli è lo stesso che anche noi abbiamo ricevuto. Ci è stato donato nel Battesimo. Ci è stato rinnovato nella Cresima. E questi sacramenti sono ancora in noi. Sono sempre operativi. E sono talmente potenti che basta riceverli una sola volta nella vita, poi funzionano sempre. E noi li abbiamo dentro da anni, da decenni. E poi c’è il sacramento del matrimonio per chi lo ha celebrato in chiesa. E c’è il sacramento dell’unzione dei malati per chi lo è stato e lo ha ricevuto.
Insomma, abbiamo in noi davvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno per una vita cristiana pienamente operativa, anche se incompleta, senza la messa.
E se anche questa presenza sacramentale dello Spirito Santo in noi si fosse atrofizzata, questo periodo potrebbe permetterci di fare un po’ di fisioterapia per riattivare questi muscoli spirituali. È tempo di allenarci un po’, di fare, come diceva Ignazio di Loyola, un po’ di esercizio spirituale, avendo anche forse più tempo a disposizione.


Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.

Dei Dodici ne mancano due. Giuda, che ha scelto di tradire ed è uscito dalla comunità degli apostoli, e Tommaso. Tommaso è importante per noi. Innanzitutto il suo nome significa ‘gemello’. Ma gemello di chi? Di suo fratello, certo, ma questo gemellaggio può essere inteso anche in senso più ampio e spirituale: il gemello di Tommaso è ciascuno di noi. Le reazioni e gli atteggiamenti di Tommaso in questa situazione sono anche i nostri. Chi di noi non ha desiderato, o magari anche preteso di vedere per credere?

Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Da un lato la sua richiesta è molto condivisibile, ci siamo passati anche noi. Ma nello stesso tempo è anche presuntuosa: il Signore non è disponibile a un nostro comando. Va ricevuto e va colto quando si presenta, non quando vogliamo noi. Tommaso è uno scettico, e questo va bene (la risposta di Gesù lo inviterà proprio a toccare, non a credere ciecamente), ma è anche assente quando Gesù si fa vedere. Il primo a essere assente non è Gesù, è Tommaso.
A differenza di Zacchèo, che fa di tutto per vedere Gesù

un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Lc 19, 2-4

Tommaso non solo è assente quando Gesù ‘passa di là’, ma pretende. Se non vedo e non metto il dito, io non credo

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso.

È nella comunità dei discepoli che avviene l’incontro con il Signore, nella comunità che lui stesso a formato. L’incontro con lui non avviene grazie ai nostri sforzi, al nostro impegno e alla nostra cocciutaggine solitaria. È un dono che va ricevuto nel modo che Cristo ha scelto, cioè il passaggio attraverso la comunità e la testimonianza degli altri.

Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Per fortuna di Tommaso, Gesù non lo rimprovera per la sua assenza, ma risponde alla sua richiesta paradossalmente non invitandolo ad avere fede, ma invitandolo a toccare. Non solo, inaspettatamente Gesù lega l’invito a essere credente fatto a Tommaso proprio con l’aver potuto toccare. Ancora una volta veniamo messi di fronte da parte di Gesù a un modo di intendere la fede che è molto diverso da quello comune. Solitamente la fede è intesa come abbandono della razionalità, un salto nel buio senza capire e senza conoscere, tanto che credere e conoscere sono considerati in antitesi: se credo non ho bisogno di conoscere, se conosco non ho più bisogno di credere. Per Gesù invece la fede un atto di fiducia personale in lui, ma un atto che parte da una esperienza di incontro, e anche di contatto. A Tommaso Gesù dice di essere credente proprio perché ha toccato.

Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».

Il vangelo non dice se Tommaso ha toccato sul serio o no. Ma credo che aver visto Gesù davanti a sé sia stato più che sufficiente. È la prima volta nei vangeli che Gesù viene chiamato Dio.

Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Indubbiamente credere dopo aver visto (e magari toccato) è certamente più facile che credere senza aver visto, ma Gesù non invita qui a chiudere gli occhi e a credere senza capire. Quello che fa con Tommaso è molto importante per noi per perfezionare il nostro credere. Gesù avrebbe potuto farsi vedere da Tommaso in qualunque momento, a tu per tu, per recuperare il mancato incontro della sera di Pasqua. Invece ha voluto incontrarlo quando era insieme agli altri. Ancora una volta per sottolineare che è all’interno della comunità dei fratelli che si può vivere l’esperienza dell’incontro con Dio, non grazie a una ricerca solitaria e isolata.
Sarà anche il fondamento del cammino successivo della chiesa, che qui è ancora composta dai testimoni oculari, ma nel tempo questi spariranno, e bisognerà trovare un legame continuo con loro e con coloro che hanno prima di noi vissuto l’esperienza di incontro con il Signore. Solo i Primi hanno visto (e tra loro anche Tommaso), ma grazie a loro anche quelli che non hanno visto potranno fidarsi della loro testimonianza e credere.
Loro sono stati la sorgente, ma anche noi che siamo lontani dalla sorgente possiamo comunque bere l’acqua del fiume che da loro si è generato. Anzi, mentre la sorgente è piccola e limitata, il fiume con la distanza e il tempo si è ingrandito, e non solo possiamo bere, ma possiamo farci portare dalla sua corrente.

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Un altro dei 12 ha visto, Giovanni, l’autore del vangelo, ed è grazie alla sua testimonianza e ai segni da lui riportati che anche noi possiamo fidarci e credere.

Caravaggio - l'incredulità di san Tommaso