lunedì 24 giugno 2013
giovedì 13 giugno 2013
sabato 8 giugno 2013
mercoledì 5 giugno 2013
i malati e il medico
Lc 5, 27-39
Gesù
vide un pubblicano di nome Levi,
I
pubblicani erano gli esattori delle tasse. Ebrei che lavoravano per i Romani
(la Palestina era provincia romana) e quindi erano malvisti dai loro
conterranei, sia perché al soldo degli invasori, sia perché il lavoro di
esattori delle tasse ovunque non è uno dei più amati.
seduto
al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si
alzò e lo seguì.
Una
frase molto lapidaria, sbrigativa. Levi viene chiamato e subito segue Gesù
lasciando tutto. È difficile valutare se questa frase vuole descrivere quello
che davvero è successo (Levi che appena convocato lascia tutto e segue
immediatamente Gesù), oppure se vuole sintetizzare qualcosa che ha richiesto
più tempo (Gesù che invita Levi a seguirlo, Levi che ci pensa e valuta e poi
decide di accogliere la richiesta). In ogni caso anche in questa occasione si
sottolinea come una richiesta di Gesù sia tenuta in particolare considerazione.
Poi
Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa
di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola.
Che
Levi si sia lasciato entusiasmare velocemente dalla richiesta di Gesù può
essere colto da quello che succede dopo: Levi non si chiede se il suo lavoro
sia in contrasto con quello che Gesù dice, ma per prima cosa lo invita a casa,
insieme ad altri pubblicani.
I
farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai
mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro:
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto
a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».
L’atteggiamento
di Gesù è interessante. Non tiene le distanze dai ‘pubblicani e peccatori’, ma
nello stesso tempo non fa finta di niente, e neppure giustifica il loro stile
di vita. Anzi, li conferma come
peccatori e malati, e dichiara la sua volontà di portarli alla conversione.
È
una posizione interessante, perché cambia l’atteggiamento da tenere rispetto
alla scelta fatta dai farisei. Loro hanno deciso di tenere le distanze da chi
considerano ‘peccatore’. I motivi possono essere diversi, ma non dimentichiamo
che i farisei davvero erano persone che volevano mettere in pratica la legge
che Dio aveva dato attraverso Mosè. Noi li identifichiamo con gli ipocriti e i
‘cattivi’, ma non lo erano. Piuttosto erano una categoria di persone che aveva
scelto di fare della Legge un criterio assoluto, la cui osservanza senza se e
senza ma era il fine della loro vita. Gesù non rinnega la Legge, ma la presenta
come un mezzo, non un fine da raggiungere.
Gesù gridò a gran
voce: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi
vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo,
perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le
mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per
condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le
mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà
nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha
mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so
che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come
il Padre le ha dette a me”. Gv 12, 44-50
Questo
i farisei non erano riusciti a capirlo. Probabilmente anche per un altro
motivo: mentre l’osservanza legale e assoluta della Legge è magari difficile da
attuare ma è molto chiara e definita (faccio quello che la Legge dice e sono a
posto), l’uso della Legge come strumento da adattare al fine che è rapporto
dell’uomo con Dio richiede una flessibilità e una continua attenzione che
pochissime persone sono in grado di praticare. Il grande rischio è che ciascuno
pieghi la Legge (o la ignori, o la infranga) non perché ha saputo vedere il
fine ultimo a cui la Legge deve servire, ma semplicemente perché gli conviene.
Questo
grande dilemma è molto attuale. Ne possiamo vedere due realizzazioni opposte
nell’Islam e nella Chiesa Cattolica. L’Islam è tendenzialmente di stile
formalistico: quello che conta è osservare la legge islamica nei suoi
particolari. Una volta fatto questo il musulmano è a posto. Non ha bisogno di
valutare caso per caso se e come applicare la legge. Basta che la applichi. È
una modalità che dà molta sicurezza.
Anche
i Testimoni di Geova seguono questa modalità.
Nella
Chiesa Cattolica (ma credo che in generale nelle tre confessioni cristiane sia
così) la necessità di imitare Gesù porta a diversi atteggiamenti contrapposti.
Da un lato in alcuni momenti e per alcune persone la tendenza è quella di
essere molto legalistici: bisogna applicare le regole della Chiesa alla
lettera. D’altro lato si riconosce che è fondamentale anche adattare le regole
alle diverse situazioni, sia di se stessi che di altri, e questo porta a
decisioni difficilmente inquadrabili in una casistica legale precisa. Però esasperando
questo adattamento delle leggi della Chiesa, spesso di finisce nell’arbitrio
totale, dove ciascuno fa quello che preferisce, anche violando le leggi più
fondamentali.
La
cosa curiosa è che la Chiesa non può imporre le proprie regole in modo drastico,
perché sa che leggi e regole sono a servizio dell’uomo, e non viceversa.
Allora
gli dissero: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così
pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose
loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con
loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni
digiuneranno».
Gesù
centra il comportamento dei suoi su se stesso, non sul rispetto della Legge. In
questo modo mette Dio al centro, come origine della Legge, e non la Legge al
centro. Questo è uno dei testi in cui si intravede che Gesù si pone come
proveniente da Dio stesso. Se c’è lui i discepoli devono seguire lui prima
ancora della Legge. È un cambiamento di prospettiva enorme, che comincia solo
ora a porsi. Ma questo genera un grande problema per i farisei: la Legge
rischia di venire superata (e in effetti è quello che vuole Gesù), e questo può
causare una scivolata verso l’arbitrio più totale. Non credo sia questo che
vuole Gesù, ma lui è disposto a correre il rischio, i farisei no. Probabilmente
a questi aspetti religiosi per i farisei si sovrappongono anche delle questioni
politiche e di potere. In fondo i farisei con il loro compito (legittimo, Gesù
non lo contesta mai) di guide del popolo di Israele si trovano in un grande
dilemma: mantenere la rigidità delle regole o lasciare a ciascuno la
possibilità di essere norma a se stesso guidato dalla Legge di Mosè? I farisei
non se la sentono, o non sono capaci, di scegliere questa seconda opzione. Come
si vede questo grande dilemma è presente in tutta la storia del cristianesimo,
anche oggi. Qual è il compito della Chiesa cattolica? Stabilire delle regole che
realizzino il Vangelo, con il rischio di aggiungere altre regole alla Legge,
oppure fidarsi delle capacità di discernimento di ciascun cristiano, con il
rischio che ognuno si crei una propria ‘legislazione’? Ogni cattolico è in
grado di conoscere tutti i risvolti teologici, spirituali, scritturistici delle
proprie decisioni? O non corre il rischio di seguire le proprie valutazioni
personali, i propri sentimenti, la propria limitata esperienza (o inesperienza)
dimenticando degli aspetti fondamentali? Non si corre il rischio di finire nell’anarchia
totale?
Qui
si apre la grande questione della coscienza, che nella Chiesa è ritenuta sempre
come il criterio ultimo nelle proprie valutazioni, anche davanti a Dio. Ma quando
la coscienza, la propria valutazione personale, la propria opinione va contro
le indicazioni di Gesù stesso che si fa?
Diceva
loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo
su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si
adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi;
altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno
perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il
vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».
Gesù
per ora si limita a sottolineare la necessità di un nuovo modo di valutare le
cose. Non nuovo nel senso di diverso e contrastante con la Legge di Dio, ma
nuovo nel senso di essere diverso dalla visione farisaica. Però chi cerca il
nuovo, il ‘moderno’ ad ogni costo rischia di demolire tutto il precedente. E d’altra
parte chi si sente rassicurato dalla vecchia visione non vuole lasciarla. Come risolvere
il dilemma?
Nel Gesù di Nazaret di Zeffirelli c'è una scena che collega la chiamata di Levi con la parabola del Figliol Prodigo e che mi sembra possa spiegare bene la contrapposizione tra le due posizioni:
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