domenica 31 dicembre 2023

Subiaco e dintorni

 

Subiaco: sacro Speco interno


Subiaco: sacro Speco interno

Subiaco: sacro Speco

Montecassino: tomba di san Benedetto e santa Scolastica

abbazia di Casamari

abbazia di Fossanova

Anagni: sala dello schiaffo

Anagni

domenica 24 dicembre 2023

Natale

Lc 2, 1-20 

…lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

È facile rappresentarsi la scena della nascita di Gesù secondo il nostro immaginario occidentale, o secondo l’iconografia tradizionale che si è creata intorno al Natale (il presepe, la grotta, il bue, l’asinello…). Ma è sempre meglio cercare di attenersi al testo evangelico e, se vogliamo immaginarci la scena, almeno farlo in modo che sia il più realistica possibile. Allora scopriremo che nei testi evangelici ci sono delle sorprese interessanti: ad esempio non si parla né di grotta, né di bue, né di asino. A dire il vero non si parla neppure di una stalla, o almeno il richiamo a un posto dove ci sono degli animali porta con sé delle scene diverse da come ci potremmo immaginare. E a ben vedere non si dice neppure che la nascita di Gesù sia avvenuta di notte. Date un’occhiata al testo in modo attento e troverete delle sorprese. Io mi limito a fermarmi su un paio parole.

Alloggio
Nel testo originario in greco, la parola che usa Luca è katalyma. Il termine ha un significato riferito all’abitazione: può significare casa, camera, alloggio. Spesso in italiano è stato tradotto con ‘albergo’ o ‘locanda’, ma Luca, quando parla di locanda o albergo, usa un’altra parola: pandokeion (Lc 10, 34, parabola del buon Samaritano). La parola katalyma la usa in una sola altra occasione, e anche lì il riferimento è a un'abitazione privata: in 22,11 è la stanza in cui avverrà l’ultima cena. Le testimonianze archeologiche dimostrano come spesso le case della gente del popolo fossero divise in due locali, uno più in basso, usato come magazzino e ricovero per gli animali, e uno un po’ più rialzato destinato ad abitazione vera e propria. Quest'ultimo è il katalyma. Ho visto alcune di queste case in scavi archeologici in Israele. Giuseppe va con la moglie a Betlemme perché è il luogo di origine del suo casato, ed è credo realistico supporre che a Betlemme avesse qualche parente, per cui, tenendo conto anche dello stile mediorientale di aprire la propria casa a qualunque ospite, tanto più se parente, mi sembra poco credibile che i due sposi fossero andati a cercare un albergo o una locanda. È vero che è possibile che si fossero predisposti dei centri di accoglienza per i nuovi arrivati in occasione del censimento, ma mi sembra più credibile che i residenti a Betlemme avranno messo a disposizione le loro case ai parenti arrivati da lontano. Solo che questo portava a carenze di spazi, non c’era più posto nel katalyma, nella stanza principale, per cui si saranno utilizzati tutti i locali disponibili, anche i magazzini e i ricoveri degli animali. Che però non sono stalle, almeno non secondo la nostra accezione di ‘abitazioni degli animali’, ma locali in cui rinchiudere provvisoriamente gli animali stessi in caso di maltempo o durante la notte (cosa che non succedeva tra l’altro neppure sempre: nel racconto successivo alla nascita di Gesù i pastori vegliano all’aperto a guardia del gregge). Quindi, c’è poco spazio in casa dei parenti di Giuseppe, Maria sta per partorire, quindi che si fa? I due sposi vengono ospitati nel magazzino-stalla nella casa stessa, non in una grotta in mezzo alle montagne. Matteo, raccontando la visita dei Magi, in 2, 11 usa il termine oikian, cioè casa, non grotta, né stalla, né capanna.



Mangiatoia
Il termine che Luca usa è fatne. La traduzione è mangiatoia. Ma cosa si intende per mangiatoia? Da noi la mangiatoia o greppia è la parte della stalla che contiene il fieno o il mangime dato gli animali perché possano mangiare. Ma noi abbiamo inverni lunghi, e gli animali hanno bisogno di un posto fisso che li protegga e di un posto fisso per mangiare. Nell’ambiente mediorientale questo vincolo è molto meno forte. Gli animali hanno bisogno al più di un ricovero dove passare la notte, ma non necessariamente di una greppia da riempire di fieno. Inoltre la necessità di far seccare l’erba in estate per conservarla come fieno per l’inverno c’è solo in luoghi con inverni freddi come i nostri. A Betlemme e dintorni non si usava, per quel che ne so, seccare il fieno e darlo agli animali. Quindi non serviva neppure una greppia dove metterlo perché gli animali mangiassero. Quindi cosa sarà mai allora questa mangiatoia? Padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, ha fatto notare una cosa che mi sembra interessante. È possibile che più che la mangiatoia degli animali quello di cui si parla qui fosse la ‘mangiatoia’ degli abitanti della casa, un posto pulito usato per contenere o conservare i cibi o il pane; oppure ancor meglio qualcosa di mobile, la bisaccia, il sacco, usato per metterci la scorta di cibo per il viaggio. Non dimentichiamo che Giuseppe e Maria arrivano da Nazareth, che è a circa 130 km da Betlemme. Allora perché non pensare la possibilità che il bambino sia stato messo nel posto più pulito che avevano a disposizione in quel momento, mentre erano stipati in quella stanza usata come magazzino e ricovero degli animali? Giuseppe o Maria prendono la cesta, la bisaccia, il sacco delle provviste, del pane (che ormai arrivati a Betlemme erano finite), e ci mettono dentro il bambino. Poteva essere anche una cassa o un contenitore per cibi, ma c’era il problema dell’impurità del parto, che si estendeva a tutto ciò che Maria avesse toccato, per cui mi sembra più plausibile che i genitori del bambino scegliessero qualcosa di loro proprietà, piuttosto che contaminare una parte della casa che li stava ospitando. Questa lettura della mangiatoia come sacco o cesta o contenitore del cibo, in particolare del pane, porta con sé una serie di suggestioni spirituali interessanti. Dio che si fa uomo, nasce in un minuscolo paesino che si chiama Betlemme, che significa ‘casa del pane’, e viene messo forse dentro la bisaccia del pane, lui che si donerà agli uomini come Pane nell’Eucarestia. Quella stessa Eucarestia che nella messa viene riproposta e messa a disposizione dei fedeli ogni domenica perché l’Emma-nu-el, il Dio-con-noi lo possano incontrare e vedere e anche mangiare per portarlo con sé nella vita di tutti i giorni.

Buon Natale a tutti!

Avvento: risposta

Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall'uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe.
Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il Signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell'uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l'unico e medesimo Salvatore.


Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e Signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.
Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina.
Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie.
Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. E' Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). E' uomo, perché: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa (Lett. 28 a Flaviano, 3-4)

domenica 17 dicembre 2023

Avvento: voce

Giovanni Battista è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio. Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce l'udito, ma non edifica il cuore. Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti porta il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.  Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.

sant'Agostino di Ippona, Discorso 293

domenica 10 dicembre 2023

Avvento: regalo

Atteso delle genti, non saranno delusi tutti coloro che ti aspettano. Ti hanno atteso i nostri padri; tutti i giusti, dall'origine del mondo, hanno sperato in te e non sono stati confusi. Già, allorché fu ricevuta la tua misericordia nel cuore del tuo tempio, cori gioiosi fecero sentire le loro lodi e cantarono: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Poi, riconoscendo nell'umiltà della carne la maestà divina, dissero: «Ecco, è il nostro Dio! Noi l'abbiamo atteso; egli ci salverà! È lui il Signore; noi l'abbiamo atteso con pazienza, esulteremo e ci rallegreremo nella sua salvezza!». Mentre altri si  affannano a cercare quaggiù la loro felicità e, senza attendere che si adempia il disegno del Signore, si precipitano per accaparrare il bottino che loro offre il mondo, l'uomo beato che ha posto la sua speranza nel Signore e che non ha fissato il suo sguardo sulle vanità e sulle ingannevoli follie si tiene alla larga dalle loro strade. E parlando a se stesso, si consola con queste parole: «Mia eredità è il Signore, ha detto la mia anima: ecco perché io l'aspetterò».
sant’Ilario di Poitiers, Discorso primo




domenica 3 dicembre 2023

Avvento: attesa

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi. Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti. Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria. Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda.

san Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 15