giovedì 23 marzo 2023

Signore, colui che tu ami è malato

Gv 11, 1-45

Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, colui che tu ami è malato».
Il vangelo di questa domenica che precede la Settimana Santa è il culmine di un cammino che porterà alla vetta dell’immolazione del Figlio di Dio fino alla sua resurrezione. Lo stesso percorso è riassunto in questo episodio del vangelo di Giovanni: la sofferenza, la fatica, l’incomprensione, i dubbi, la rabbia, la morte e infine la morte che viene sconfitta.
Lo stesso viaggio lo stiamo affrontando faticosamente anche noi in questo tempo difficile. Se è vero che il Signore ci ama, ‘Signore, colui che tu ami è malato’ è l’invocazione che oggi sta salendo da molte delle nostre case e dei nostri ospedali.

All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 
Come nell’episodio del cieco nato, Gesù ripropone questa visione degli eventi nel mondo che noi facciamo fatica a considerare.  
è perché in lui siano manifestate le opere di Dio 
Il motivo di questa nostra difficoltà sta nel nostro modo di vedere noi stessi nel mondo: istintivamente partiamo dal presupposto che il mondo intorno a noi (e anche Dio stesso) dovrebbe essere come noi lo desideriamo, o almeno come noi ce lo aspettiamo. Quando le cose non vanno come vorremmo, lo prendiamo come un’ingiustizia, e tendiamo a darne la colpa a qualcuno. E in ultima analisi a Dio che non interviene. È il senso di ciò che rimproverano a Gesù Marta e Maria (se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto) e gli altri presenti (non poteva far sì che non morisse?). Noi pensiamo che la ‘glorificazione di Dio’ possa avvenire solo quando lui asseconda le nostre aspettative e il nostro modo di vedere le cose. Siamo disposti a dire ‘grazie Signore perché hai fatto come ti ho chiesto’, ma fatichiamo a dire ‘grazie Signore perché hai fatto come volevi tu’.

Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava.
Gesù in questo episodio continuamente fa e dice cose diverse da quelle che ci aspetteremmo. La prima l’abbiamo già vista: è l’affermazione che la malattia porti in sé la manifestazione della gloria di Dio. La seconda è questa decisione di attendere, appena avuta notizia della malattia di Lazzaro, ancora due giorni. Noi ci aspetteremmo, proprio perché ‘ama Marta, Maria e Lazzaro’, che si precipitasse da loro, anche se sono lontani. Anzi, proprio perché sono lontani dovrebbe muoversi ancora più in fretta.


Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». 
Marta e Maria desidererebbero che Gesù partisse e corresse subito da loro. I discepoli vorrebbero che rimanesse dov’è. Questo è uno dei motivi per cui non è una buona idea che il Signore esaudisca i nostri desideri e assecondi le nostre aspettative. Perché non abbiamo tutti gli stessi desideri e le stesse aspettative. Inoltre noi non conosciamo davvero come stanno le cose. Conosciamo solo ciò che vediamo noi. Gesù ha una visione delle cose molto più ampia, molto più completa della nostra.
…i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie – dice il Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Is 55, 8-9

Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 
La reazione di Marta è molto umana e comprensibile. È probabilmente la stessa che abbiamo avuto anche noi davanti a una morte che abbiamo vissuto come ingiusta e insensata. È la nostra reazione ogni giorno nel vedere quello che sta succedendo intorno a noi, di fronte a quelle bare accatastate a Bergamo o alle immagini degli ospedali in tutta Italia che non riescono più a far fronte alle richieste di soccorso. Marta rimprovera Gesù: tu potevi fare qualcosa ma non l’hai fatto, non c’eri quando c’è stato bisogno di te. Ed è vero, Gesù avrebbe davvero potuto impedire che morisse, come notano anche i presenti. Tanto più che la persona che ne aveva bisogno era un suo amico, una persona che lui amava. Tutti ci aspettiamo da Dio l’esaudimento delle nostre preghiere, ma in particolare noi che ci riteniamo più vicini a lui, noi che facciamo parte della sua famiglia, della sua chiesa.
…voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio. Ef 2, 19

Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 
Marta aggiunge alle sue aspettative e ai suoi desideri un atto di fiducia in Gesù. Un atto di fiducia ancora incompleto, ma che si apre già alla sua azione. Non hai fatto quello che desideravamo e ci aspettavamo, ma puoi ancora fare qualcosa.

Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».
Anche questa dichiarazione l’abbiamo espressa molte volte dicendo il credo: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Ma un conto è dichiararlo formalmente, un altro è sperimentarlo di persona.

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». 
La resurrezione è Cristo, e senza di lui non c’è vita. Quello che chiede Gesù a Marta (e a noi) non è se aderisce a delle verità di fede (so che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno), ma se si fida di lui fino in fondo.

Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».
Maria, che in altra occasione era stata capace di stare vicino a Gesù e ascoltarlo, questa volta è stata lontana, e quando arriva deve ancora cominciare quello che la sorella invece ha già vissuto e forse compreso. Non tutti camminiamo con gli stessi tempi e gli stessi ritmi. E non a tutti Dio fa capire le cose nello stesso modo. A Marta Gesù si era presentato come la resurrezione. Non la resurrezione espressa da una formale professione di fede ma la resurrezione in persona. Con Maria Gesù va oltre e non solo dice di essere la resurrezione, ma lo dimostra. Prima però vuole immedesimarsi fino in fondo nell’umanità che è venuto a condividere con noi.

Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. 


Ancora una volta Gesù stravolge le aspettative: proprio ora che sta per dimostrare di essere la resurrezione esprime tutta la sua umanità. Non è un supereroe, un uomo che ha più poteri degli altri, ma è Dio che si spoglia delle sue prerogative e si identifica con noi, provando le stesse nostre reazioni e gli stessi nostri sentimenti.
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Fil 2, 5-8
 
Gesù, il Figlio di Dio, il Signore del cielo e della terra, il cui regno non avrà fine, piange. E questo suo pianto si unisce al nostro, al pianto e al dolore di tutti coloro che in tutti i tempi, e in particolare oggi, hanno perso una persona cara.

Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Due considerazioni, entrambe vere. È vero che lo amava. Ed è vero che poteva far sì che non morisse. Ma sono due affermazioni fatte da fuori, come viste da spettatori. Gesù invece sta vivendo l’evento in prima persona, immedesimandosi fino in fondo; e così Marta e Maria. I Giudei, come li chiama Giovanni, sono presenti, non sono distanti e indifferenti, però non sono coinvolti. Stanno guardando, non vivendo, quello che succede.

Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.



giovedì 16 marzo 2023

l'acqua del pozzo



Nelle decisioni impegnative prese dalle autorità in questi giorni si sta cercando di salvaguardare ciò che è essenziale. Innanzitutto il cibo e la salute. Si può fare a meno dell’estetista ma non del negozio di alimentari né tantomeno dell’ospedale, e in questi giorni lo stiamo toccando drammaticamente con mano. Ma non c’è solo il corpo e le sue esigenze. Mangiare e bere sono essenziali per la vita terrena, ma di cosa c’è bisogno per la vita e la salute eterna? In questa domenica ci troviamo in una situazione davvero eccezionale: niente messa. Niente Eucarestia. Eucarestia che è certamente il cuore della vita cristiana, luogo e ambiente in cui possiamo incontrarci anche fisicamente con il Signore. Ma così come non possiamo toccarci e abbracciarci in questo periodo di pericolo, e ci manca, allo stesso modo non possiamo abbracciare e ricevere dentro di noi il Signore nella messa. E allora che si fa? I rapporti personali mica li perdiamo se non possiamo darci la mano o baciarci. Abbiamo altre strade. Possiamo continuare a parlarci. Bene, se non possiamo toccare il Signore nell’Eucarestia possiamo potenziare il dialogo con lui. Con la preghiera innanzitutto. Ma c’è un altro strumento ancora più efficace, che usiamo poco: la Parola di Dio e la Sacra Scrittura che la contiene. Allora proviamo anche noi ad andare ad attingere dal pozzo delle Scritture come la Samaritana.

Gv 4, 5-42

Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».

Un incontro tra Gesù e una donna in cui possiamo intravvedere l’incontro tra Dio e l’umanità. Gesù nella sua incarnazione assume tutte le nostre caratteristiche. Quella che accade alla samaritana non è una visione, un’apparizione mistica. È un vero incontro da uomo a donna. Nella Bibbia inoltre il pozzo è il luogo dove le persone si incontrano, e in particolare è il luogo dove nascono gli amori. È al pozzo che Giacobbe si incontra con Rachele, ed è al pozzo che Mosè incontra quella che diventerà sua moglie.
Gesù è stanco e ha sete. Credo abbia anche caldo, vista l’ora. Proprio perché questa presenza di Dio non è né celestiale né miracolosamente divina, non è neppure una presenza schiacciante, intimorente e spaventosa per la donna. Dio si fa uomo al punto di aver bisogno dell’uomo: ‘dammi da bere’.

I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.

Acqua, cibo. Le cose fisiologicamente essenziali. Per la vita terrena. E per la vita eterna? La samaritana seguendo le sue necessità incontra Gesù. Paradossalmente i discepoli seguendo le loro necessità se ne allontanano. Più volte Gesù aveva loro detto di non preoccuparsi di quelle cose, ma loro non hanno ancora capito.

Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? ... Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Mt 6, 25-33

Giovanni inserisce qui questo piccolo inciso riguardante i discepoli che genererà una situazione ironica più avanti. Ma al di là di questo possiamo notare una cosa più importante: ciò che spinge sia la donna che i discepoli (e anche ciascuno di noi) a muoversi, ad andare a cercare, sono per prima cosa le esigenze fisiche e materiali. Lei viene a cercare acqua, loro vanno a cercare cibo. Anche Gesù ha sete, e le chiede da bere. Ma quello che potrebbe essere una prima occasione di incontro e di conoscenza trova un primo ostacolo:

«Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Prima ‘polemica’. Alle situazioni di vita essenziali si aggiungono le nostre questioni personali. A volte sono importanti, a volte no, ma solitamente sono gli aspetti della nostra vita su cui ci scaldiamo di più. Sull’importanza del cibo, dell’acqua, del tempo non abbiamo molti dubbi, sugli altri aspetti le cose si complicano, soprattutto perché questi aspetti su cui cominciano a crearsi questioni, discussioni, contrapposizioni e contrasti sono aspetti insieme rilevanti e opinabili. Perché i giudei ce l’hanno con i samaritani? Per motivi di pane e di acqua? No, per questioni religiose e culturali, cioè per questioni certamente importanti ma meno definibili, più personali, questioni su cui ciascuno può avere idee diverse dagli altri. La richiesta di Gesù di per sé non c’entra con questioni religiose, culturali, sociali, personali. È una richiesta semplice: dammi da bere. La donna che parla con lui sposta subito l’attenzione su questi aspetti controversi: ‘come mai tu…?’. Quanti possibili incontri sono stati impediti da pregiudizi come questo! E non solo tra persone. Anche il nostro rapporto con Dio può essere ostacolato da valutazioni superficiali, etichette, idee distorte. Se mi faccio un’immagina sbagliata di Dio poi questa rimarrà sempre come filtro, se non come muro, tra me e lui.

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».

Mi sembra che Gesù cerchi subito di andare alle cose importanti (che non sono le necessità fisiologiche). Non entra nella questione giudei-samaritani, non si lascia sviare dalle discussioni. Comincia a svelare qualcosa di nascosto che però è più importante di qualunque altra questione, più importante dell’acqua stessa: un’altra acqua, un altro pozzo. Un pozzo che dà acqua viva. È come se Gesù le stesse dicendo: qui c’è qualcosa di più dell’acqua.

  
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

Ancora una volta Gesù propone qualcosa di più, e la samaritana continua a fermarsi alle proprie esigenze materiali. C’è bisogno di una spinta.

«Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Questa donna sta cercando l’amore della sua vita e non l’ha ancora trovato, nonostante abbia i suoi sei uomini. E come prima Gesù le si è presentato come la fonte di acqua viva, colui che può dissetarla per la vita eterna, così ora si svela come il vero amore, l’uomo da sempre cercato ma non ancora trovato. Ma siccome la discussione si va facendo un po’ troppo personale, la donna vira verso un’altra polemica.

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

Ancora una volta, nonostante Gesù si sia presentato in modo più convincente, parte un’altra polemica religiosa. Invece di chiedersi chi è colui che ha davanti, la samaritana tira fuori un’altra delle questioni opinabili che tanto ci fanno discutere e perdere tempo a scapito delle cose essenziali.

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.
Gesù non si fa prendere dalla discussione. Non è una questione di religioni (anche se non cade nel relativismo religioso: non sono tutte uguali: ‘voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai giudei’), ma di cercare la verità.

«So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

Non so se per aprire un’altra discussione o se perché davvero la donna vede nell’arrivo del messia una soluzione alle sue questioni, in ogni caso lei comincia a puntare l’attenzione su ciò che è essenziale. Non si parla più di acqua ormai da un po’. Pur nella confusione generata dalle varie beghe e questioni, comincia a intravedere ciò che è importante. E Gesù glielo conferma: ‘sono io!’. Insomma, pur con molta delicatezza, Gesù si propone alla donna come il compimento delle sue attese: è lui l’acqua viva di cui lei ha sete. È lui il vero uomo che lei non ha ancora trovato. È lui il Messia che lei sta aspettando.

Giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».

Poveretti... si sono persi tutto l’incontro e non capiscono niente. Mentre nonostante tutto la samaritana, pur partendo da necessità fisiche come la ricerca d’acqua e pur passando anche lei attraverso i suoi bravi pregiudizi, è arrivata a percepire in Gesù il Messia, loro sono ancora al punto di partenza. La loro preoccupazione riguardo al cibo li ha impegnati troppo in cose materiali e hanno perso il treno, come già successo un’altra volta:

Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?». Mc 8, 14-21


La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

La samaritana ha finalmente conosciuto Gesù, ora l’acqua non è più importante. Lascia perfino l’anfora e va a raccontare agli altri cosa le è successo. Come Bartimeo, che chiamato da Gesù lascia il mantello:

…gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Mc 10, 50

Come i due discepoli di Emmaus che riconosciuto Gesù tornano a Gerusalemme per raccontarlo agli altri:

…dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme… Lc 24, 32-33

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?».

La situazione Gesù-discepoli diventa ulteriormente ironica. Loro pensano a mangiare, ma Gesù pensa a qualcosa di ben più importante. Lui ha già mangiato!

Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.

Voi che guardate solo il grano, dite che mancano ancora quattro mesi al raccolto; io che guardo il grano vero, le persone, vedo che sono già mature per riconoscermi. Un po’ come dire: voi che pure siete miei discepoli ci metterete ancora molto tempo a maturare, mentre altri sono già maturi. Se foste restati qui con me avreste visto maturare il grano vero, irrigato dall'acqua viva.

Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

Gesù dice in pratica: ‘io ho faticato a seminare, ora voi potere mietere’.
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Davvero Gesù ha fatto un gran raccolto, mentre i suoi operai (i discepoli) sono stati a guardare. Speriamo almeno che i discepoli abbiano capito.

Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Gv 7, 37-38