lunedì 28 febbraio 2011

Non preoccupatevi


Mt 6, 24-34

Stavolta lo riporto per intero, perché questo è davvero uno dei testi più spettacolari del vangelo. Altro che dichiararci credenti, qui c’è in ballo ben altro! Ci fidiamo o no di Dio?

Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

sabato 26 febbraio 2011

Cosa succede quando si incontra il Signore?



Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù,

Zaccheo è il protagonista di questo incontro. Proviamo a vedere quali sono le somiglianze tra noi e lui. Zaccheo ha alcune caratteristiche: è il capo dei pubblicani (ebrei che facevano gli esattori delle tasse per i romani, collaborazionisti e pure un po' ladri). Una sorta di lobby, di cui Zaccheo era il capo. Ovviamente per questo motivo era ricco. Probabilmente molti a Gerico conoscevano questo personaggio. Anche noi abbiamo ciascuno delle caratteristiche che tutti conoscono (spero non troppo simili a quelle di Zaccheo) e in base alle quali gli altri si fanno una loro idea di noi, buona o cattiva che sia. Ma Zaccheo aveva anche qualcos’altro, più segreto, meno evidente: desiderava vedere Gesù. Non sappiamo perché. Magari semplice curiosità.

non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura.

Ammesso che desideriamo vedere il Signore, è possibile però che ci si trovi circondati da una folla di cose che ci ostacola. E inoltre può essere che la nostra statura spirituale sia un po’ ridotta.

io Zaccheo me lo immagino così, con il volto, la statura e l’espressione di Danny De Vito
 
corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro,

Evidentemente Zaccheo ci teneva parecchio, perché fa di tutto per riuscire a vederlo. I sicomori sono alberi che hanno il tronco molto corto, è facile salirci sopra. Se voglio davvero vedere il Signore posso aver bisogno di ‘salire’ su qualcosa che mi permetta di vederlo meglio. A questo dovrebbe servire la parrocchia, credo.


perché doveva passare di là.

Precisazione interessante. Non basta che Zaccheo faccia tutto il possibile, occorre che in quel momento il Signore passi. Zaccheo va a cercare il posto dove il Signore passa, non aspetta che passi dove sta lui seduto ad aspettarlo.

Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».

Gesù non ha fatto ancora nulla, se non entrare a Gerico (cosa peraltro fondamentale). Finora abbiamo visto cosa ha fatto Zaccheo, in cui ci rispecchiamo un po' anche noi. Ora stiamo a vedere cosa fa Gesù. Lo guarda, lo chiama per nome, e poi gli dice una cosa inaspettata: oggi devo fermarmi a casa tua. Questa è la parola di Dio a Zaccheo. Ma in Zaccheo ci siamo anche noi. Oggi devo fermarmi a casa tua. E nessun rimprovero, nessuna accusa, ma un autoinvito. Davanti a una proposta del genere che facciamo? Zaccheo scende e lo accoglie pieno di gioia.

Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto.

Senza che Gesù gli chieda niente, Zaccheo si rende conto di cosa vuol dire avere il Signore in casa e agisce di conseguenza. Ecco cosa succede quando si incontra il Signore. Non è la Legge che impone a Zaccheo di comportarsi bene (Zaccheo da buon ebreo la Legge la conosceva bene. Ma non la rispettava), è lui stesso che in conseguenza dell’incontro con Gesù capisce e decide di cambiare quello che non va.

Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Gesù non minimizza, non dice ‘massì, in fondo sei una brava persona’. Dice chiaramente che Zaccheo era perduto. Ma lui è venuto a cercare e salvare proprio Zaccheo, proprio noi. E non quando siamo bravi e buoni, una pacca sulla spalla e via, ma proprio quando non lo siamo (pur senza essere forse al livello di Zaccheo). Meno male...


domenica 20 febbraio 2011

siate perfetti



credo che il migliore commento sia questo:

L'uomo è irragionevole, illogico, egocentrico
NON IMPORTA, AMALO

Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici
NON IMPORTA, FA' IL BENE

Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici
NON IMPORTA, REALIZZALI

Il bene che fai verrà domani dimenticato
NON IMPORTA, FA' IL BENE

L'onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile
NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO

Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo
NON IMPORTA, COSTRUISCI

Se aiuti la gente, se ne risentirà
NON IMPORTA, AIUTALA

Dà al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci
NON IMPORTA, DA' IL MEGLIO DI TE

Da una scritta sul muro a Shishu Bhavan, la Casa dei bambini di Calcutta

mercoledì 16 febbraio 2011

fidarsi

Più si moltiplicheranno, malgrado gli ostacoli, i momenti in cui mi cerchi e mi trovi per ascoltarmi, più la mia risposta diventerà sensibile. Davvero, allora, quello che dirai e farai sarà fruttuoso.

Io ti parlo nell’intimo dell’anima, in quelle regioni in cui la tua mentalità si arricchisce comunicando con la mia. Non è necessario che tu distingua subito e con chiarezza quello che ti dico. L’importante è che il tuo pensiero si impregni del mio, dopo potrai tradurre ed esprimere.

Sii maggiormente in ascolto. Soltanto io posso darti quella luce di cui hai in così urgente bisogno. Nella mia luce il tuo spirito si fortificherà, i tuoi pensieri si chiariranno, i problemi si avvieranno a soluzione.

Chiamami in aiuto, con dolcezza, con calma, con amore. Non credere che io rimanga insensibile alle delicatezze dell’affetto. Tu mi ami, certamente, ma provamelo di più.


Hai delle domande da farmi? Non esitare. Io sono la chiave di tutti i problemi. No ti darò la risposta immediatamente, ma se al tua domanda parte da un cuore che ama, la risposta verrà nei giorni successivi, sia per l’intervento del mio Spirito Santo, sia attraverso gli avvenimenti.
 
Chiamami. Amami. Lasciati invadere dalla certezza di essere amato con passione, così come sei, con tutti i tuoi limiti e le tue debolezze, per diventare quale io ti desidero. Allora penserai istintivamente a me e agli altri più che a te, vivrai naturalmente per me e per gli altri prima di vivere per te, nell’ora delle piccole decisioni quotidiane sceglierai per me e per gli altri invece che per te: identificato con me e al tempo stesso con gli altri. Allora mi consentirai di svolgere in modo migliore il collegamento tra il Padre nei cieli e i fratelli della terra.

Unisciti alla mia preghiera. Getta la tua preghiera nella mia. Tu stesso fatti preghiera con me. Io conosco le tue intenzioni meglio di te. Confidamele tutte assieme. Unisciti a ciò che chiedo io: unisciti come colui che non sa si rifugia in colui che sa, come colui che non può nulla si rifugia in colui che può tutto. Sii la goccia d’acqua sperduta nel getto potente della Fontana Viva che zampilla fino al cuore del Padre. Lasciati assumere, lasciati trascinare, e resta in pace. Tu operi il bene aderendo a me più che non con sforzi ripetuti e sterili, perché solitari. Rimarresti meravigliato al vedere quello che operi quando ti getti in me e ti unisci alla mia preghiera nell’oscurità della fede. 


Gaston Courtois, Quando il maestro parla al cuore 
 

domenica 13 febbraio 2011

legge o libertà?

Mt 5, 17-24

Se lui è venuto a compierla, la Legge divina non è completa. Ovviamente neppure la legge umana lo è.

Quindi sono libero di violarle, nel caso avessi dei motivi che io ritengo validi?

La domanda è forte, sia nel caso (serio) in cui la legge abbia delle lacune, o non sia chiara, o sia interpretabile in diversi modi; sia nel caso (comodo) in cui io semplicemente non abbia convenienza a osservarla.

Vado a chiedere:

Il fatto che la Legge non sia compiuta non vuol dire che non sia valida. Su questo Gesù è molto chiaro. Quello che è stato rivelato prima di lui non è da buttare via:

non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli.

Poiché la Legge è incompiuta va superata. Come? I farisei vantavano l’osservanza di tutte le norme della Legge, i 613 mitzvot (precetti) fin nel minimo dettaglio. Qui Gesù dice una cosa molto forte:

se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Osservare la Legge non basta. Una giustizia intesa come sola osservanza delle norme e delle regole non assicura l’ingresso nel regno dei cieli.

La Legge va superata. Non basta fare il minimo indispensabile. Devo andare oltre e completare quel minimo che la Legge mi impone ed estenderlo a tutto il suo significato.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Gesù invita a passare dall’osservanza della legge al significato della legge. Questo vale per la Legge divina, ma credo sia applicabile anche alla legge umana.


La Legge dice ‘non uccidere’. Se mi limito a prenderla alla lettera, basta che non commetto omicidi e sono a posto. Se invece ne colgo il senso in tutta la sua profondità starò attento a non fare qualunque cosa che possa in qualche modo uccidere l’altro. Se io considero stupida una persona, in qualche modo la uccido, nel senso che la sminuisco, per me vale poco, non la considero. Se la dichiaro pazza non è per me quasi più una persona, quindi la uccido ancora di più.
Nel nostro linguaggio quotidiano usiamo una serie di epiteti che in sé si avvicinano molto agli stessi termini che usa Gesù nei suoi esempi: Ma sei scemo? Ma sei matto? Ma solitamente nel nostro parlare non sono intesi come insulti e non vogliono sminuire la dignità e l’identità della persona che abbiamo davanti. Credo però che sia una buona idea quella di fare un po’ più attenzione al nostro modo di parlare, per due motivi: intanto perché a volte un termine detto con leggerezza può offendere (credo che lo abbiamo sperimentato tutti), e poi perché abituarsi a controllare il proprio linguaggio è sempre una cosa saggia, come pure controllare i propri comportamenti. Abituarsi a un linguaggio da bimbominkia, dove gli altri sono sempre considerati come imbecilli, fa perdere la sensibilità verso gli altri, oltre a farla perdere verso se stessi.

Allora qual è il criterio da usare nell’applicare la Legge? Qual è il metodo da usare per completarla in modo che non sia distorta a nostro comodo ma intesa in tutto il suo significato? C’è un testo della lettera di Giacomo che ci può aiutare:

Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio. Gc 2, 12-13

Giustizia e Misericordia. Legge e Libertà.

Sono conciliabili? Spesso salvando una si perde di vista l’altra.
 
Semplificando molto, ma molto, ma moltissimo, mi sembra che anche nella realtà sociale, culturale e politica si realizzino diversi tentativi di conciliare le due realtà. E in questi tentativi una delle due in qualche modo finisce per prevalere:

Legge senza libertà, giustizia senza misericordia = destra
Libertà senza legge, misericordia senza giustizia = sinistra

Tra i miei venticinque lettori (cit.) ci sarà sicuramente chi si sta strappando i capelli davanti a una semplificazione così becera, ma a me sembra sia utile.
La stessa contrapposizione o lacerazione è visibile anche all’interno della realtà ecclesiale, forse ancora più marcata: integralisti contro relativisti, dogmatici contro lassisti, tradizionalisti contro progressisti, etc.

Lascio immediatamente il terreno politico, sul quale non ho competenze, e torno al ruolo della legge nella nostra vita. Di cristiani ma anche di cittadini. Paolo dice che la Legge (si parla sempre della Legge divina) è stata per noi un pedagogo (Gal 3, 23)

Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo.

Quindi ha la sua importanza, ma occorre andare oltre. Un bambino ha bisogno di regole chiare, ma crescendo deve soprattutto capirne il senso per intendere la legge non come una gabbia ma come un aiuto.

dal sito della pastorale giovanile di Vicenza

Arrivato Cristo non posso più accontentarmi di osservare formalmente i comandamenti. Devo averli capiti e colti nel loro significato. Nel nostro caso Gesù è molto chiaro.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Non posso accontentarmi di non aver tolto la vita a qualcuno, ma dovrò cercare di fare tutto il possibile per non privarlo di nessun aspetto della vita. 


Gandalf, il più caro e sincero tra i miei amici, che devo fare? Che peccato che Bilbo non abbia trafitto con la sua spada quella vile e ignobile creatura quando ne ebbe l'occasione».
«Peccato? Ma fu la Pietà a fermargli la mano. Pietà e Misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto, Frodo. Stai pur certo che se è stato grandemente risparmiato dal male, riuscendo infine a scappare ed a trarsi in salvo, è proprio perché all'inizio del suo possesso dell'Anello vi era stato un atto di Pietà».
«Mi dispiace», disse Frodo; «ma sono terrorizzato e non ho alcuna pietà per Gollum».
«Non l'hai visto», interloquì Gandalf.
«No, e non ne ho alcuna intenzione», disse Frodo. «Non riesco a capirti; vuoi dire che tu e gli Elfi l'avete lasciato continuare a vivere impunito, dopo tutti i suoi atroci crimini? Al punto in cui è arrivato è certo malvagio e maligno come un Orchetto, e bisogna considerarlo un nemico.  Merita la morte».
«Se la merita? Eccome! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita.  Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.  Ho poca speranza che Gollum riesca ad essere curato ed a guarire prima di morire. Ma c'è una possibilità. Egli è legato al destino dell'Anello.  Il cuore mi dice che prima della fine di questa storia l'aspetta un'ultima parte da recitare, malvagia o benigna che sia; e quando l'ora giungerà, la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il corso di molti destini, e soprattutto del tuo.
J.R.R.Tolkien – il Signore degli Anelli


venerdì 11 febbraio 2011

un saggio

Il povero in spirito è colui che non ha le ricchezze nel cuore né il cuore nelle ricchezze. Se possiedi delle ricchezze fa’ in modo da dominarle sempre, e pur essendo in mezzo ad esse comportati come se ne fossi senza. Possedere del veleno e essere avvelenati non è la stessa cosa. I farmacisti possiedono quasi sempre del veleno, ma non per questo sono avvelenati: non hanno il veleno nel corpo, ma nel laboratorio. Allo stesso modo le tue ricchezze siano in casa o nel portafoglio, ma non nel cuore. Pur essendo ricca di fatto non esserlo di affetto, ma sii povera di spirito e quindi felice, perché il Regno dei Cieli è tuo.



Filotea, tutto quello che possediamo non è nostro: Dio ce l’ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso e utile. Deve essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per i propri beni: essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece lavoriamo per amore di Dio. E poiché l’amore di Dio è dolce, sereno e tranquillo, la cura dei beni fondata su di esso sarà serena, dolce e tranquilla. Ma per impedire che la cura dei beni si tramuti in avarizia, dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato. 
Comincia col disfarti di un po’ dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri, questo è il primo passo: ‘Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere...’.
C’è poi un’altra possibilità di verificare se sai essere distaccata dalle ricchezze: tutti, prima o poi, incontriamo situazioni nelle quali sperimentiamo la mancanza di qualche comodità e ne sentiamo il peso. Quando ti capiteranno rovesci che ti impoveriranno, o poco o molto, quali la grandine, il fuoco, le inondazioni, la siccità, le ruberie, i processi, allora sì che è tempo di praticare la povertà. Quando i nostri beni sono legati al cuore, se la grandine, i ladri o gli imbroglioni ce ne strappano una parte, che urla, che agitazione, che tormento ne abbiamo! Ma se i nostri beni sono attaccati a noi solo per la cura che Dio vuole che ne abbiamo e non sono attaccati al cuore, se ce li strappano non sarà per quello che daremo in smanìe e cadremo in svenimento.
I vestiti degli uomini e degli animali differiscono proprio in questo: i vestiti delle bestie fanno parte della loro carne, quelli degli uomini sono soltanto sovrapposti, per poterli togliere e indossare quando si vuole.

  Da ‘Filotea’ di San Francesco di Sales - capp. XIV e XV


domenica 6 febbraio 2011

siete la luce del mondo


Addirittura!

Stupito da questa mirabolante affermazione, ho provato a chiedermi cosa voglia dire e come sempre, per non dire idiozie e eresie, mi sono fatto dare una mano dagli altri testi delle Letture di oggi. E li ho collegati al primo oggetto che mi è venuto in mente.


Sono andato a prendere una lampadina, di quelle vecchie a incandescenza in cui si può vedere dentro, e come è successo all’illustre Archimede mi si sono accese alcune lucine.
Cosa deve fare una lampadina per illuminare? Prima di tutto deve avere tutte le parti al posto giusto e funzionanti. 

Questa non va bene.


 Ora va meglio.

Però non basta che sia intatta. La lampadina da sola rimane spenta.
Deve essere collegata alla corrente. Quindi se voglio essere luce devo inserire la spina


E devo inserirla in una presa che abbia corrente. Insomma, sarò luce solo se sono collegato alla Luce:

“Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

E non è importante che la lampadina sia bella e attraente. Il suo scopo non è quello di farsi vedere, di attirare l’attenzione, ma di fare luce.

Io, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. I Cor 2, 1-5

E per essere trasparente il vetro deve essere pulito.

Così non va bene.

Bisogna togliere quello che non va:

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Is 58, 7-10



giovedì 3 febbraio 2011

tic tac

Come ti chiami, ragazzo che non vuole andare mai a scuola?
- Mi chiamano Lupetto
- Piccolo lupo del bosco – dice il Dio – mettiti sotto quel nocciolo umido di brina, e fai in modo di ascoltare il rumore delle stille che cadono. Fatto? Ora ti spiegherò una cosa fondamentale. Questo – dice – è un orologio per il mondo di fuori.
E tira fuori una cipolla meravigliosa, di acciaio brunito con un disegno di stelle e di pesci …
- È meraviglioso – dico io.
- Il diavolo ne ha di più belli … ma anche questo non è male. Questo è l’orologio che segna il tuo giorno cosiddetto normale: quello del far tardi a scuola, dell’alzarsi presto, delle ore che non passano mai, dei calendari, del lei guarirà in dieci giorni, del lei morirà tra sei mesi, sei moti stellari, delle maree e delle partite di calcio. Ma attenzione!
Il signor Dio ingoia l’orologio in un boccone


- Ora ascolta
E io ascoltai il ticchettio delle gocce che cadevano dal nocciolo.
- Ecco, questo è il rumore dell’orologio dentro. Questo misura un tempo che non va diritto, ma avanti e indietro, fa curve e tornanti, si arrotola, inventa, si rimette in scena. È un tempo che non puoi misurare né coi cronometri, né col più sofisticato astromacchinario. È il tempo tuo, misura la tua vita che è unica, e quindi è diverso dal mio e da quello di Gabriele, il mio emerito cane.
Il cane si inchinò e vidi che aveva un orologio alla zampa.
- Non ti spaventare, ma tu vivrai sempre con due orologi, uno fuori e uno dentro. Quello fuori ti sarà utile per non fare tardi a scuola, quando aspetti la corriera e il giorno che muori, per calcolare quanto hai vissuto. L’altro, che comprende centosettantasei tempi protologici, novanta escatologici, e trentasei tempi romanzati caotici, l’hai ingoiato da piccolo, anche se non ricordi…
Stefano Benni - Saltatempo