Mio caro Malacoda,
avevo notato, naturalmente, che gli
esseri umani avevano avuto un periodo di stasi nella loro guerra europea (in
quella che con molto candore chiamano La Guerra!) e non mi sorprende che vi sia una stasi
corrispondente nelle preoccupazioni del paziente. Dobbiamo incoraggiarlo in
ciò, oppure mantenerlo continuamente sottosopra? Tanto una paura torturante
quanto una sciocca confidenza sono posizioni mentali da desiderare. La scelta
che dobbiamo fare tra i due dà luogo a importanti problemi.
Gli esseri umani vivono nel tempo, ma il
nostro Nemico li destina all’eternità. Perciò, credo, egli desidera che essi si
occupino principalmente di due cose: dell’eternità stessa e di quel punto del
tempo che essi chiamano il presente. Il presente è infatti il punto nel quale
il tempo tocca l’eternità. Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri
umani hanno un’esperienza analoga all’esperienza che il nostro Nemico ha della
realtà intera, soltanto in esso viene loro offerta la libertà e la realtà. Egli
vorrebbe perciò che essi fossero continuamente occupati o con l’eternità (il
che vuol dire essere occupati di lui) o con il presente, o che meditino sulla
loro unione eterna con lui, o sulla separazione da lui, oppure che obbediscano
alla voce presente della coscienza, portando la croce presente, ricevendo la
grazia presente, offrendo azioni di grazie per il piacere presente.
Il nostro lavoro è di allontanarli sia
dall’eterno, sia dal presente. A questo fine talvolta tentiamo un essere umano
(una vedova, ad esempio, o uno studioso) a vivere nel passato. Ma ciò vale
soltanto limitatamente, poiché essi hanno una conoscenza determinata del
passato e il passato ha una natura determinata, e sotto questo aspetto
assomiglia all’eternità. È molto meglio farli vivere nel futuro. Le necessità
biologiche vi dirigono già tutte le loro passioni, cosicché il pensiero del
futuro infiamma la speranza e il timore. Inoltre esso è sconosciuto, e quindi
facendoli pensare ad esso li facciamo pensare a cose irreali. Insomma, il
futuro è, tra tutte, la cosa meno simile all’eternità. È la parte più
compiutamente temporale del tempo, poiché il passato è ghiacciato e non scorre
più, e il presente è tutto illuminato dai raggi dell’eternità. Da cui l’incoraggiamento
che noi abbiamo dato a tutti quegli schemi di pensiero come l’evoluzione
creatrice, l’umanesimo scientifico o il comunismo, che fissano l’affetto
dell’uomo nel futuro, nel centro stesso della temporalità. Quasi tutti i vizi
sono radicati nel futuro. La gratitudine riguarda il passato e l’amore al
presente. Il timore, l’avarizia, la lussuria e l’ambizione guardano avanti. Non
pensare che la lussuria sia un’eccezione. Quando il piacere presente arriva, il
peccato (che è la sola cosa che ci interessa) è già finito. Il piacere è
appunto la parte del processo che ci dispiace e che escluderemmo, se lo
potessimo fare senza perdere il peccato. È la parte che viene offerta dal
Nemico, e quindi sperimentata nel presente. Il peccato, che rappresenta il nostro
contributo, guarda avanti.
Si sa, anche il nemico vuole che gli
uomini pensino al futuro, ma solo quel tanto che è necessario per stabilire ora
i piani e gli atti di giustizia e di carità che forse saranno il loro dovere
domani. Il dovere di stabilire i piani del lavoro di domani è un dovere di
oggi. Benché il suo materiale sia preso a prestito dal futuro, il dovere, come
ogni dovere, è nel presente. Questo non è spaccare un capello in quattro. Egli
non vuole che gli uomini diano il loro cuore al futuro, che ripongano in esso
il loro tesoro. Noi sì. Il suo ideale è un uomo che, avendo lavorato tutto il
giorno per il bene della posterità (se tale è la sua vocazione), si libera la
mente da ogni pensiero di quel lavoro, lascia le conseguenze al Cielo, e ritorna
senza indugio alla pazienza e alla gratitudine che il momento che passa su di
lui gli richiede. Noi invece vogliamo un uomo che sia stregato dal futuro,
invasato da visioni di un cielo o di un inferno imminenti sulla terra, pronto a
rompere i comandi del Nemico nel presente, se così facendo lo facciamo pensare
che sarà in grado di raggiungere il primo o di schivare il secondo, dipendente
per la sua fede dal successo o dal fallimento di schemi dei quali non vivrà
fino a vedere la fine. Noi vogliamo tutta una razza che persegua perpetuamente
la fine dell’arcobaleno, mai onesta, mai gentile, né felice ora, ma che usi
continuamente come pura esca da collocare sull’altare del futuro ogni vero dono
che le viene offerto nel presente. Ne segue dunque, in generale, e a parità di
ogni altra cosa, che è meglio per il tuo paziente essere pieno di ansietà e di
speranza (non importa quale) intorno a questa guerra, che non vivere nel
presente. Ma la frase ‘vivere nel presente’ è equivoca. Può essere usata per
descrivere un processo che in realtà si può occupare del futuro come l’ansietà
stessa. Il tuo uomo può essere indifferente intorno al futuro, non perché si
occupa del presente, ma perché è giunto alla convinzione che il futuro sarà
piacevole. Se la sua tranquillità seguirà questa linea, tale sua tranquillità
ci sarà utile, perché non farà altro che accumulare sempre maggior disappunto,
e quindi maggiore impazienza, per lui, quando le sue false speranze saranno
svanite. Se, d’altra parte, egli è consapevole che gli possono essere riservati
degli orrori, e prega per ottenere le virtù con le quali affrontarli,
occupandosi nel frattempo del presente, perché là e soltanto là si trovano
tutto il dovere, tutta la grazia, tutta la conoscenza e tutto il piacere, il
suo stato è indesiderabile e dovrebbe essere attaccato senza indugio. Anche qui
il nostro ramo filologico ha fatto un buon lavoro. Tenta la parola
‘compiacimento’ con lui. Ma naturalmente è probabilissimo che egli stia
‘vivendo nel presente’ per nessuna di queste ragioni, ma semplicemente perché
la sua salute è buona ed egli sta godendo del suo lavoro. In questo caso il
fenomeno sarebbe unicamente naturale. Ma io lo troncherei lo stesso, se fossi
in te. Nessun fenomeno naturale è in realtà in nostro favore. E del resto,
perché mai la creatura dovrebbe essere felice?
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche
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