I Cor 13, 1-13
Se
parlassi
Quest’anno ho proposto per le mie parrocchie il tema della
Carità. In questa domenica, nelle messe che ho celebrato, abbiamo utilizzato come seconda lettura della messa
questo bellissimo inno di san Paolo. Rileggendolo e meditandolo ho notato due
cose in particolare, riferite alla Carità: la prima è che per tre volte parla
dell’ ‘avere’ la Carità. Curioso. La seconda è che le caratteristiche della
carità hanno un risvolto riferito all’ ‘essere’ di cui dirò tra poco.
A questi due verbi, ‘avere’ e ‘essere’, ne ho aggiunti io altri
due a mo’ di introduzione, innanzitutto partendo dal termine più consueto usato
in abbinamento alla parola carità: ‘fare’: fare la carità. Ho poi aggiunto
anche il verbo ‘parlare’, come primo gradino di una scala che porti verso
l’alto.
Parlare.
Ho aggiunto ‘parlare’, come scalino più basso, perché di
qualunque argomento è la prima cosa che di solito facciamo. Ne parliamo. A
volte ci fermiamo solo lì e non andiamo oltre. In merito alla Carità verrebbe
subito, credo, la tentazione di passare ai fatti, al ‘fare la carità’ appunto,
ma anche se quello deve essere certamente l’obiettivo da raggiungere, è
importante fermarsi anche a parlarne, a ragionarci su. Perché se non so cosa
fare, come faccio poi a farlo?
Allora è importante anche parlare della Carità, per capire qual
è il suo significato, il suo senso, le modalità della sua realizzazione.
Fare.
Ma poi bisogna passare all’azione. Carità senza azione non ha
senso. Bisogna farla, la Carità.
Ma cosa si intende per carità? La Treccani riporta tra le altre
queste definizioni:
…amore attivo per il
prossimo che si esplica soprattutto attraverso le opere di misericordia: avere spirito di c.; uomo acceso di c., mosso da c., pieno di c.
Sentimento umano che dispone a soccorrere chi ha bisogno del
nostro aiuto materiale: avere, mostrare c. verso i poveri; istituti,
ospizî di c., che hanno lo
scopo di soccorrere gli indigenti..
‘Amore attivo’, ‘sentimento umano’, ‘soccorrere chi ha bisogno
del nostro aiuto materiale’. Ma anche chi non è cristiano, anche chi non è
credente può fare queste cose. In che cosa si distingue la carità cristiana
dalla carità umana? (se una distinzione c’è).
Avere.
Se
parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità, sarei
come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E
se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta
la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non
avessi la carità, non sarei nulla.
E
se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne
vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
Ecco che entra in campo Paolo. Per tre volte parla di ‘avere’ la
Carità. Per Paolo, senza questo possesso qualunque azione, qualunque impresa,
qualunque opera umana, anche la più altruistica, anche la più strabiliante, rischiano
di essere nulla.
Bisogna avere la Carità. Ma come si fa? Dove la si va a prendere?
Dove la posso trovare?
Per capirlo bisogna salire l’ultimo gradino.
Essere.
La
carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si
gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non
si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Paolo elenca cosa è Carità. Ma ancora potrebbero essere
un elenco di caratteristiche della persona buona, non necessariamente della
persona cristiana. Però le ultime quattro aprono un nuovo orizzonte. Se già è
difficile che una persona possa avere tutte quelle precedenti
contemporaneamente, queste ultime, con il ‘tutto’ ripetuto per quattro volte,
fanno uscire dal possibile e dall’umano. L’uomo può scusare qualcosa, ma non
tutto, credere qualcosa, ma non tutto, sperare qualcosa, ma non tutto, sopportare
qualcosa, ma non tutto. Chi è l’unico che può fare e ha fatto questo? Cristo. Ecco la
sorpresa. Ecco dove vuole portarci Paolo. La Carità è Cristo. L’elenco di Paolo
non è altro che la descrizione di Cristo, il suo identikit.
Certamente chiunque può tentare di imitarlo facendo qualcosa di
quello che Cristo ha fatto. Anche un non cristiano, anche un non credente. Ma
il cristiano può fare di più. Può avere Cristo, che a sua volta è la Carità.
Se Cristo è la Carità fatta carne, il cristiano lo possiede, lo
ha in sé. Ecco allora la risposta alle domande fatte poco fa: come si fa ad
avere la Carità? Ecco che l’ho trovata. E attraverso i Sacramenti, fatti
apposta per comunicare la presenza di Cristo, io possiedo Cristo, che a sua
volta è la Carità. Allora il mio fare e il mio parlare diventano non solo più
azioni e parole umane, ma portano Cristo in sé.
Ecco perché…
…la
carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue
cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e
in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello
che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da
bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da
bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora
invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora
conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono
queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è
la carità!
È l’unica delle tre virtù cardinali che supererà la morte e
continuerà anche dopo. Della fede non ci sarà più bisogno, vedremo ‘faccia a
faccia’. La speranza diventerà conoscenza perfetta. Ma la Carità continuerà a
essere esercitata e realizzata. Finalmente in modo totale e completo. Anche
perché Cristo è risorto per sempre, e lui sarà tutto in tutti.
Ripropongo come conclusione un racconto che ho già inserito da qualche parte, perchè mi sembra proprio bello:
Dopo una lunga e vita, un saggio giunse nell'aldilà e fu destinato al
paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima
un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò. Si trovò in un
vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di
pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano
tutt'intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?" chiese l'uomo alla sua guida "Con tutto quel
ben di Dio davanti!". "Ci sono bacchette per mangiare, rispose
l’angelo, ma sono lunghe un metro e devono essere rigorosamente impugnate
all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca". Il saggio
rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi
facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto i denti. Non
volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una
sorpresa. Il paradiso era un salone identico all’inferno. Dentro l’immenso
salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica
sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti delle
stesse bacchette lunghe un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il
cibo alla bocca. C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era
allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. “Ma com’è possibile?”, chiese
stupito. L’angelo sorrise: “All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo
e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro
vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si
preoccupa di imboccare il proprio vicino”.
Fiaba cinese
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