domenica 19 gennaio 2014

parlare, fare, avere, essere



I Cor 13, 1-13

Se parlassi

Quest’anno ho proposto per le mie parrocchie il tema della Carità. In questa domenica, nelle messe che ho celebrato, abbiamo utilizzato come seconda lettura della messa questo bellissimo inno di san Paolo. Rileggendolo e meditandolo ho notato due cose in particolare, riferite alla Carità: la prima è che per tre volte parla dell’ ‘avere’ la Carità. Curioso. La seconda è che le caratteristiche della carità hanno un risvolto riferito all’ ‘essere’ di cui dirò tra poco.
A questi due verbi, ‘avere’ e ‘essere’, ne ho aggiunti io altri due a mo’ di introduzione, innanzitutto partendo dal termine più consueto usato in abbinamento alla parola carità: ‘fare’: fare la carità. Ho poi aggiunto anche il verbo ‘parlare’, come primo gradino di una scala che porti verso l’alto.

Parlare.

Ho aggiunto ‘parlare’, come scalino più basso, perché di qualunque argomento è la prima cosa che di solito facciamo. Ne parliamo. A volte ci fermiamo solo lì e non andiamo oltre. In merito alla Carità verrebbe subito, credo, la tentazione di passare ai fatti, al ‘fare la carità’ appunto, ma anche se quello deve essere certamente l’obiettivo da raggiungere, è importante fermarsi anche a parlarne, a ragionarci su. Perché se non so cosa fare, come faccio poi a farlo?
Allora è importante anche parlare della Carità, per capire qual è il suo significato, il suo senso, le modalità della sua realizzazione.

Fare.

Ma poi bisogna passare all’azione. Carità senza azione non ha senso. Bisogna farla, la Carità.
Ma cosa si intende per carità? La Treccani riporta tra le altre queste definizioni:

amore attivo per il prossimo che si esplica soprattutto attraverso le opere di misericordia: avere spirito di c.; uomo acceso di c., mosso da c., pieno di c.
Sentimento umano che dispone a soccorrere chi ha bisogno del nostro aiuto materiale: avere, mostrare c. verso i poveri; istituti, ospizî di c., che hanno lo scopo di soccorrere gli indigenti..


‘Amore attivo’, ‘sentimento umano’, ‘soccorrere chi ha bisogno del nostro aiuto materiale’. Ma anche chi non è cristiano, anche chi non è credente può fare queste cose. In che cosa si distingue la carità cristiana dalla carità umana? (se una distinzione c’è).

Avere.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

Ecco che entra in campo Paolo. Per tre volte parla di ‘avere’ la Carità. Per Paolo, senza questo possesso qualunque azione, qualunque impresa, qualunque opera umana, anche la più altruistica, anche la più strabiliante, rischiano di essere nulla.
Bisogna avere la Carità. Ma come si fa? Dove la si va a prendere? Dove la posso trovare?
Per capirlo bisogna salire l’ultimo gradino.

Essere.

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Paolo elenca cosa è Carità. Ma ancora potrebbero essere un elenco di caratteristiche della persona buona, non necessariamente della persona cristiana. Però le ultime quattro aprono un nuovo orizzonte. Se già è difficile che una persona possa avere tutte quelle precedenti contemporaneamente, queste ultime, con il ‘tutto’ ripetuto per quattro volte, fanno uscire dal possibile e dall’umano. L’uomo può scusare qualcosa, ma non tutto, credere qualcosa, ma non tutto, sperare qualcosa, ma non tutto, sopportare qualcosa, ma non tutto. Chi è l’unico che può fare e ha fatto questo? Cristo. Ecco la sorpresa. Ecco dove vuole portarci Paolo. La Carità è Cristo. L’elenco di Paolo non è altro che la descrizione di Cristo, il suo identikit.


Certamente chiunque può tentare di imitarlo facendo qualcosa di quello che Cristo ha fatto. Anche un non cristiano, anche un non credente. Ma il cristiano può fare di più. Può avere Cristo, che a sua volta è la Carità.
Se Cristo è la Carità fatta carne, il cristiano lo possiede, lo ha in sé. Ecco allora la risposta alle domande fatte poco fa: come si fa ad avere la Carità? Ecco che l’ho trovata. E attraverso i Sacramenti, fatti apposta per comunicare la presenza di Cristo, io possiedo Cristo, che a sua volta è la Carità. Allora il mio fare e il mio parlare diventano non solo più azioni e parole umane, ma portano Cristo in sé.

Ecco perché…

…la carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

È l’unica delle tre virtù cardinali che supererà la morte e continuerà anche dopo. Della fede non ci sarà più bisogno, vedremo ‘faccia a faccia’. La speranza diventerà conoscenza perfetta. Ma la Carità continuerà a essere esercitata e realizzata. Finalmente in modo totale e completo. Anche perché Cristo è risorto per sempre, e lui sarà tutto in tutti.
Ripropongo come conclusione un racconto che ho già inserito da qualche parte, perchè mi sembra proprio bello:

Dopo una lunga e vita, un saggio giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò. Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà. "Com'è possibile?" chiese l'uomo alla sua guida "Con tutto quel ben di Dio davanti!". "Ci sono bacchette per mangiare, rispose l’angelo, ma sono lunghe un metro e devono essere rigorosamente impugnate all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca". Il saggio rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone identico all’inferno. Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti delle stesse bacchette lunghe un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca. C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. “Ma com’è possibile?”, chiese stupito. L’angelo sorrise: “All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino”.
Fiaba cinese


Nessun commento:

Posta un commento