Si avvicinò a Gesù uno degli scribi
e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Domanda
semplice e allo stesso tempo fondamentale. Qual è la cosa più importante? Anzì, non solo la
cosa più importante, ma quella da fare prima di ogni altra cosa. Non viene
chiesto a Gesù quale sia la verità di fede principale a cui aderire. Un comandamento
deve essere eseguito, non solo creduto.
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta,
Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con
tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta
la tua forza”.
Gesù cita lo
Shemà Israel, la professione di fede ebraica nell’Unico Signore:
Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro
Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in
cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore, tuo
Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il
figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e
così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in
pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove
scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta,
Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore,
tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi
precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli,
ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando
ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti
saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua
casa e sulle tue porte. Dt 6, 1-8
Il primo è: Amerai
il Signore tuo Dio.
Non
‘adorerai’, ‘crederai’, ‘rispetterai’ o ‘venererai’. L’accento è posto
sull’amare, che è un atteggiamento profondo, personale, affettivo, non solo
intellettuale. Ed è un atteggiamento che richiede un rapporto personale, una
personale conoscenza reciproca.
Il secondo è questo: “Amerai il tuo
prossimo come te stesso”.
Gli viene
chiesto il comandamento principale e Gesù ne definisce due, strettamente legati
ma con un differente grado di rilevanza. Amare Dio è il primo. Amare il
prossimo è il secondo. Nel secondo comandamento è sottinteso un terzo, o meglio
una condizione essenziale: amare se stessi. Se non si ama se stessi non è
possibile amare gli altri come se stessi. E se non si ama Dio non si è capaci
ci amare pienamente gli altri. Se non altro perché certamente Dio conosce degli
altri e pure di noi stessi delle cose che noi stessi non conosciamo. E poi perché
lui è il modello:
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come
io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Gv 13, 34
Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: “Io
amo Dio”, e odiasse il suo fratello, sarebbe un mentitore. Chi infatti non ama
il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il
comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello. I Gv
5, 19-21
Non c’è altro comandamento più
grande di questi.
Non
l’organizzazione, non le iniziative, neppure tutte le opere realizzabili. E sto
pensando anche a tutte le organizzazioni, iniziative e opere della Chiesa
Cattolica. A volte ci complichiamo la vita con miriadi di attività e
dimentichiamo quelle essenziali. Che peraltro devono poi essere espresse in
pratica, non restare solo parole. Allora le opere, le strutture e le iniziative
devono essere i modi concreti con cui si realizza il comandamento di amare Dio
e gli altri. Quando sono fini a se stesse, come fossero delle cose da
perpetuare perché ‘abbiamo sempre fatto così’ oppure per mantenere o ottenere
solo visibilità, occorre avere il coraggio di fermarle, magari verificarne il
senso e se possibile migliorarle.
Lo scriba gli disse: «Hai detto
bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori
di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la
forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i
sacrifici».
La
sottolineatura dello scriba è importante: amare Dio e il prossimo vale più di
tutte le altre opere. O, se vogliamo, le altre opere hanno senso solo se sono
il modo concreto con cui si esprime l’amore verso Dio e verso gli altri.
Aggiungerei
ancora una cosa: i tre ‘amerai’ non sono intercambiabili e classificabili
diversamente da come li ha esposti Gesù. C’è un primo e un secondo. E non è
sufficiente sceglierne uno a scapito degli altri. Se mi limito ad amare me
stesso rischio di finire nell’egoismo. Se amo solo Dio e non mi occupo degli
altri l’equilibrio si rompe. Credo che conosciamo tutti delle persone
impegnatissime in opere religiose ma che trattano malissimo le persone che incontrano.
Così come se mi occupo degli altri e non di Dio scombino il quadro. Anche in
questo caso conosciamo certamente persone che si dedicano agli altri anche come
surrogato del rapporto con Dio. È vero che Gesù stesso si identifica con le
persone a cui abbiamo dedicato attenzione, ma questa è una sua iniziativa, non
deve diventare la scusa per non occuparci di lui. Dio ha diritto (e forse anche
bisogno) di essere amato tanto e magari più degli altri.
Vedendo che egli aveva risposto
saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno
aveva più il coraggio di interrogarlo.
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