Mio caro Malacoda,
la maniera sprezzante con la quale nella
tua ultima lettera hai parlato della gola come di un mezzo per accalappiare le
anime dimostra soltanto la tua ignoranza. Una delle grandi conquiste degli
ultimi cento anni è stata quella di ottundere la coscienza umana su
quell’argomento, tanto che ora ti sarà difficilissimo sentire una predica su
questo tema o trovare una coscienza che ne sia turbata in tutta l’Europa presa
in lungo e in largo. È stato in gran parte l’effetto di aver noi concentrato
tutti gli sforzi sulla golosità di Delicatezza, e non sulla golosità di
Eccesso. La madre del tuo paziente, come ho appreso dall’incartamento, e come
tu puoi aver saputo da Farfarello, ne è un esempio eccellente. Essa si
meraviglierebbe (e un giorno, spero, si meraviglierà) di venire a sapere che
tutta la sua vita è trascorsa sotto la schiavitù di questo genere di
sensualità, che le è completamente celato dal fatto che le quantità coinvolte
sono piccole. Ma che cosa importa la quantità, se riusciamo a usare della
pancia di un uomo e del suo palato per produrre litigi, impazienza, mancanza di
carità e preoccupazione per il proprio io? Farfarello tiene ben salda questa
donna nella sua mano. Essa è un vero terrore per gli ospiti e per i domestici.
Ogni volta che le viene posto innanzi qualcosa esce a dire, con un dimesso
sospiretto, e con un sorriso: “Oh, grazie, grazie… io desidero solamente una
tazza di tè, debole ma non troppo debole, e un pezzettino di crostino
abbrustolito ben croccante”. Vedi? Poiché ciò che vuole è più piccolo e meno
costoso di ciò che le è stato messo davanti, non riconoscerà mai come golosità
la sua determinazione di avere ciò che vuole, benchè possa recare grande
disturbo agli altri. Nel momento stesso che cede al sua appetito crede di
mettere in pratica la temperanza. In un ristorante pieno di folla esce in un
piccolo strillo sul piatto che la cameriera, stanchissima dal lavoro, le ha
presentato, e dice: “Oh, e troppo, troppo! Portatelo via e datemene solo un
quarto”. Se le si fanno rimostranze, dice che è per non far consumare la roba.
In realtà lo fa perché quella speciale ombra di delicatezza della quale
l’abbiamo resa schiava si sente offesa alla vista di un cibo di quantità maggiore
di quanto in quel momento desiderava.
Il valore positivo del lavoro silenzioso
e delicato che Farfarello sta facendo da anni su questa vecchia signora può
venire misurato dal modo con il quale il suo stomaco domina ora tutta intera la
sua vita. Quella donna è nello stato mentale che noi chiamiamo del ‘desiderio
solamente’. Essa desidera solamente una tazza di tè preparata come si deve, o
un uovo bollito come si deve, oppure una fetta di pane abbrustolita come si
deve. Ma non si trova mai una domestica o un’amica che sia capace di fare
quelle semplici cose ‘come si deve’, poiché il suo ‘come si deve’ nasconde una
insaziabile richiesta degli esatti, dei quasi impossibili piaceri del palato
che essa immagina di ricordare dal passato; un passato che descrive come ‘i
giorni nei quali si potevano avere buone domestiche’, ma che noi sappiamo
essere i giorni nei quali i suoi sensi si accontentavano con più facilità, ed
ella aveva piaceri di altro genere, che la rendevano meno soggetta a quelli
della tavola. Intanto, il disappunto giornaliero produce ogni giorno cattivo
sangue: le cuoche se ne vanno e le amiche si raffreddano. Se mai il Nemico le
mette in tesa il debole sospetto che si interessa troppo al cibo, Farfarello
contrattacca suggerendole che non le interessa ciò che mangia lei stessa, ma
che ‘le piace che le cose siano fatte bene per il suo ragazzo’. Di fatto,
naturalmente, la sua golosità è da molti anni la fonte principale del disagio
che egli prova in casa.
Ora, il tuo paziente è figlio di sua
madre. Pur lavorando indefessamente, con perfetta ragione, sugli altri fronti,
non devi trascurare una piccola infiltrazione silenziosa nel campo della gola.
Essendo uomo non è facile che si lasci prendere dalla trappola mimetizzata del
‘desidero solamente’. I maschi si fanno diventare ghiottoni con l’ausilio della
loro vanità. Bisognerebbe ottenere che si credano grandi intenditori in fatto
di cibi, che diano a intendere che hanno scoperto l’unico ristorante della
città nel quale le braciole sono fatte veramente ‘come si deve’. Ciò che
comincia come vanità può essere trasformato poco a poco in abitudine. Ma, da
qualsiasi lato lo si prenda, l’importante è di fargli raggiungere quello stato
nel quale il rifiuto di un qualsiasi suo desiderio (non importa quale, champagne
o tè, Sole Colbert o sigarette) lo fa uscire dai gangheri, perché in tal caso
la sua carità, la sua giustizia e la sua obbedienza sono tutte in tua balìa.
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche
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