venerdì 15 marzo 2013

un padre, due figli



Lc 15, 11-32

Un uomo aveva due figli.

Descrizione molto semplice, che introduce già due aspetti che saranno sviluppati nella parabola: questi due figli restano tali qualunque cosa facciano e dovunque siano, e se sono figli dello stesso padre sono anche fratelli tra loro. Vedremo che entrambe le cose non sono così scontate come potrebbero sembrare.

il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano

La scansione temporale dei vari momenti è molto importante nella vicenda del figlio minore. In  ciascuno dei due figli potremmo individuare una o più situazioni della nostra vita. Anche nella vita della comunità cristiana possiamo vedere diverse situazioni corrispondenti ai diversi momenti dell’esperienza del figlio minore e alla situazione e allo stato d’animo del maggiore. In modo particolare quello che fa il figlio minore è distribuito in un tempo che potrebbe essere assai lungo: non si trova bene con il padre e per un certo tempo tiene per sé questo disagio, poi decide di andarsene, e l’allontanamento richiede tempo, così come per un certo tempo rimarrà lontano; poi ci vorrà del tempo per gestire la crisi, la ricerca di una sistemazione cercata da solo, il tornare in sé, il decidersi a ritornare a casa…
Ciascuno di questi momenti attualmente è vissuto da qualcuno nella chiesa: chi non si trova bene, chi se ne sta andando lontano, chi lontano ci sta benissimo per chissà quanto tempo, chi non si trova più bene, chi sente che gli manca qualcosa, chi si abbassa a fare qualunque cosa per trovare ciò che manca, chi sta ritornando in sé, chi sta tornando... E in ciascuno di questi momenti resta figlio del padre, dovunque sia e qualunque cosa faccia. Personalmente credo che papa Francesco ci aiuterà a capire proprio questa realtà.


là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.

Il patrimonio può essere usato in modo accorto o in modo dissennato. Così come il patrimonio donatoci al nostri ingresso nel mondo, che noi abbiamo a disposizione ma che non ci siamo conquistati con il sudore della nostra fronte: tempo, energie, risorse, natura, intelligenza, e la vita stessa non sono certo un capitale che ci siamo guadagnati. Ce lo siamo trovati, e il Padre lo ha messo a nostra disposizione. Possiamo usarlo come meglio crediamo, in modo sensato o in modo insensato. Le conseguenze, anche negative, stanno nel modo di usarlo, non nel modo in cui verrà giudicato da altri, padre compreso. Questo giudizio è invece quello che esprimono i farisei e gli scribi, a cui è rivolta questa parabola.

Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Lc 15, 1-3

Attenzione a quel ‘mangia con loro’.

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.

Prima era tutto preso nei desideri che poteva realizzare con i beni del padre. Ora è nel bisogno, che è la conseguenza che portano con sé i beni diventati non più mezzi ma fine. La vita dipende dal fine, non dai mezzi.

Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.

Per gli ascoltatori ebrei di Gesù questo richiamo ai maiali (animali immondi per definizione) era molto chiaro ed esprimeva tutta l’abiezione in cui questo ragazzo era caduto. Ma credo che anche per noi finire a pascolare i porci non sarebbe uno dei lavori più ambiti. È l’estrema conseguenza della dipendenza dai beni. O meglio, da una vita che dai beni trae tutto il suo senso.

Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.

Curiosa osservazione. Ci si potrebbe chiedere perché non se le prendeva, le carrube. Ma nessuno dà nulla per nulla, in particolare in tempo di crisi, quando ci si tiene ben stretto quello che si ha e gli altri diventano nemici da cui guardarsi.

Allora ritornò in sé

Curiosa anche questa affermazione. Se torna in sé vuol dire che prima era in qualche modo fuori di sé.

Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!


Questa motivazione del ritorno del figlio minore è assai poco dignitosa. Torna perché ha fame.

Non ho nessuna fretta di portare i giovani alla Chiesa perché so che cascheranno da sé nelle sue braccia appena si saranno accorti di essere delle povere creaturine ignare del futuro e di tutto, piccole e sporche creaturine buone solo a far porcherie, a vantarsi, a pensare a se stesse. Quel giorno dove vuoi che si rivolgano? Al marxismo? Al liberalismo? Al protestantesimo? All’ateismo? Si rivolgeranno là dove si assolvono i peccati e si promette, anzi si assicura, la vita eterna. E io dovrei abbassarmi a tirare faticosamente la gente verso una Chiesa di cui la gente non ha nessuna voglia quando so che prima o dopo il velo cadrà da sé e sarà la gente stessa a correre verso di lei?
don Lorenzo Milani, dalla lettera a Giorgio Pecorini, 10 novembre 1959

Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”.

Ecco una delle prime importanti sottolineature riguardanti i rapporti tra i due figli e il padre. Il più giovane non si ritiene più figlio, a causa dei propri comportamenti. La stessa cosa farà il maggiore, anche lui a causa dei propri comportamenti, ma per motivi esattamente opposti.

Si alzò e tornò da suo padre.

Anche questo ritorno, come ogni momento precedente, richiede tempo. Quanti attualmente nella chiesa, soprattutto tra i giovani, si stanno allontanando? E quanti sono sulla strada del ritorno? E soprattutto, come si fa a saperlo? Ciò che ciascuno vive nel suo profondo è molto difficile da vedere dal di fuori. Lo può solo sapere (e neppure sempre) chi lo vive.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

L’atteggiamento del padre è bellissimo, e ricorda il buon samaritano.

…un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. lc 10, 33-34

Ma ha dovuto aspettare che il figlio tornasse. Se lo avesse fatto all’inizio dell’allontanamento sarebbe stato forse vissuto dal figlio come fastidioso, e si sarebbe ribellato.

Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi:

Il padre non lo lascia parlare, non gli lascia finire il discorso. Non vuole che il figlio smetta di considerarsi figlio, qualunque cosa abbia fatto.

Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi.

Non solo lo accoglie bene, ma lo reintegra nella famiglia, addirittura facendogli mettere l’anello al dito. Anello che conteneva il sigillo di famiglia che permetteva di firmare i documenti. In pratica gli riconsegna il bancomat. I sandali poi erano la calzatura dei padroni, mentre i servi andavano scalzi.


Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il banchetto è l’ immagine biblica della beatitudine eterna:

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre che copriva tutte le genti.
Eliminerà la morte per sempre;
il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto;
la condizione disonorevole del suo popolo
farà scomparire da tutto il paese,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza. Is 25, 6-9

Il figlio maggiore … si indignò,

Ovviamente. L’avremmo fatto anche noi. Ma nel figlio maggiore si intravede la figura dei farisei e degli scribi a cui Gesù sta parlando.

e non voleva entrare.

Il figlio minore, con tutto quello che ha combinato, è entrato nella festa, nel banchetto eterno. Il maggiore, con tutti i suoi meriti si rifiuta. Intende il rapporto familiare come un dare e avere, non come un rapporto padre-figlio. Mi risuona in mente un’altra parabola

Uno dei commensali disse a Gesù: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!”. Gesù rispose: “Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”. Lc 14, 15-24

Suo padre allora uscì a supplicarlo.

Come era già uscito ad accogliere il primo, il padre deve uscire anche per il secondo, addirittura a supplicarlo: per favore vieni in paradiso.

Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.

Come il più giovane non si considera più degno di essere figlio, anche il maggiore, per motivi opposti, non si comporta da figlio ma da servo. Fa i conti, e i suoi conti non tornano.
Entrambi i figli …non si considerano figli, che invece è l’unica cosa che considera il padre, che non fa i conti di dare-avere (guai per noi se lo facesse!).

ora che è tornato questo tuo figlio, che ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso.

Il maggiore non chiama l’altro ‘mio fratello’, ma lo chiama ‘questo tuo figlio’.

Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi,

Con una sola parola il padre rimette a posto i legami. Tu sei mio figlio…

perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

…se tu sei mio figlio, quindi l’altro è tuo fratello.
La parabola non dice se il fratello maggiore è entrato…

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