Mt 20, 1-16
Gesù
disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un
padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua
vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.
Parabola che casca a fagiolo in questi giorni di discussioni e
polemiche riguardanti il mondo del lavoro. Come sempre però l’orizzonte di Gesù
è diverso dal nostro, pur comprendendolo.
In Italia facciamo fatica a passare dalla cultura del lavoro
fisso e sicuro a quella del lavoro flessibile (che rischia di essere anche e
soprattutto provvisorio e occasionale) e di questo cambio di orizzonte si
discute tanto. La situazione lavorativa di cui parla questo testo parte da una
precarietà ancora più esasperata, e ancora molto presente in gran parte del
mondo: il lavoro a giornata. Si esce al mattino e si aspetta che qualcuno passi
ad offrire lavoro. Se questo avviene per oggi si è a posto. Domani si vedrà.
Uscito
poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza,
disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto
ve lo darò”. Ed essi andarono.
Gesù, pur scegliendo come ambientazione della propria parabola
il tema del lavoro, ovviamente non vuole fare il sindacalista ma rivelarci qualcosa
della nostra condizione personale e soprattutto del nostro rapporto con un Dio
che ci sorprende sempre per le cose inaspettate che fa.
Uscì
di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora
verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne
state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci
ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Lavoratori ‘assunti’ in diversi orari della giornata, fino
all’estremo di chi viene chiamato all’ultimo momento, poco prima dell’orario di
fine lavoro. Che criterio userà il padrone della vigna nella loro retribuzione?
E soprattutto, che cosa ci sta dicendo Gesù con questo strano paragone? Se nel
padrone della vigna vediamo la figura di Dio, noi dobbiamo identificarci con i
lavoratori. A quali nostre situazioni di vita si richiama la successione delle
chiamate durante l’arco della giornata? E non è ancora finita: non solo ci sono
situazioni diverse tra con chi arriva prima e chi arriva dopo (e tra l’altro di
chi è la colpa se qualcuno viene chiamato solo all’ultimo momento, dei
lavoratori o del padrone?), a questo si aggiunge uno strano criterio di
retribuzione che viene attuato.
Quando
fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e
dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli
delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono
i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero
ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo:
“Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che
abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro,
disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un
denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto
a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso
perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
C’è una evidente ingiustizia nella retribuzione degli operai,
come alcuni di loro fanno giustamente notare. Ma nello stesso tempo ci sono
degli accordi che vengono rispettati da parte del datore di lavoro: ‘non hai
forse concordato con me per un denaro?’. Se ingiustizia c’è è un’ingiustizia
alla rovescia. Solitamente chi commette un’ingiustizia dà meno di quanto
dovrebbe. In questo caso viene dato di più. Ma rimane pur sempre un’ingiustizia,
o quantomeno un qualche tipo di squilibrio. Chi ha lavorato tutto il giorno si
lamenta perché riceve la stessa paga di chi ha lavorato una sola ora. Cosa
significa tutto questo? E cosa c’entriamo noi che stiamo cercando di capire il
messaggio di questa parabola? Credo che una chiave per sbrogliare questo
intreccio sia una semplice constatazione. Istintivamente ci viene da prendere
le parti di chi ha lavorato di più, e se vogliamo paragonare la situazione
raccontata da questa parabola con la nostra condizione personale di cristiani impegnati ci viene da domandarci: il fatto che il Signore alla fine trovi il modo per salvare tutti, anche chi ha fatto ben poco per lui (magari senza sua colpa, perchè nessuno lo ha chiamato), non suscita in noi una rivendicazione, o almeno un'impressione di ingiustizia fatta nei nostri confronti?
Ma se valutiamo la nostra vita, le nostre giornate, onestamente,
chi di noi può rivendicare di impegnarsi a tempo pieno per il Signore? Nei suoi
confronti siamo davvero i più impegnati, i più assidui, i più devoti? O
piuttosto dovremmo constatare di essere quelli che a lui dedicano ben poco
tempo, energie e impegno? In quale vigna lavoriamo solitamente, in quella del
Signore o nella nostra? Allora piano piano scopriremmo che noi, paragonati ai
lavoratori della parabola, non siamo affatto i primi, ma gli ultimi, quelli che
dedicano al lavoro per il Signore e Padrone ‘un’ora soltanto’, per citare le
parole di Gesù. Anzi, credo che in realtà dedichiamo tutti quanti ben di meno.
Allora forse, invece di lamentarci e brontolare, ci verrà da ringraziare questo strano Padrone che pur servendolo così poco e
male ci dà la stessa paga di chi davvero ha dedicato per lui tutta la vita (e
magari ci ha anche lasciato le penne).
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