venerdì 26 settembre 2014

Un'ora soltanto



Mt 20, 1-16

Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.

Parabola che casca a fagiolo in questi giorni di discussioni e polemiche riguardanti il mondo del lavoro. Come sempre però l’orizzonte di Gesù è diverso dal nostro, pur comprendendolo.
In Italia facciamo fatica a passare dalla cultura del lavoro fisso e sicuro a quella del lavoro flessibile (che rischia di essere anche e soprattutto provvisorio e occasionale) e di questo cambio di orizzonte si discute tanto. La situazione lavorativa di cui parla questo testo parte da una precarietà ancora più esasperata, e ancora molto presente in gran parte del mondo: il lavoro a giornata. Si esce al mattino e si aspetta che qualcuno passi ad offrire lavoro. Se questo avviene per oggi si è a posto. Domani si vedrà.


Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.

Gesù, pur scegliendo come ambientazione della propria parabola il tema del lavoro, ovviamente non vuole fare il sindacalista ma rivelarci qualcosa della nostra condizione personale e soprattutto del nostro rapporto con un Dio che ci sorprende sempre per le cose inaspettate che fa.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Lavoratori ‘assunti’ in diversi orari della giornata, fino all’estremo di chi viene chiamato all’ultimo momento, poco prima dell’orario di fine lavoro. Che criterio userà il padrone della vigna nella loro retribuzione? E soprattutto, che cosa ci sta dicendo Gesù con questo strano paragone? Se nel padrone della vigna vediamo la figura di Dio, noi dobbiamo identificarci con i lavoratori. A quali nostre situazioni di vita si richiama la successione delle chiamate durante l’arco della giornata? E non è ancora finita: non solo ci sono situazioni diverse tra con chi arriva prima e chi arriva dopo (e tra l’altro di chi è la colpa se qualcuno viene chiamato solo all’ultimo momento, dei lavoratori o del padrone?), a questo si aggiunge uno strano criterio di retribuzione che viene attuato.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.  Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».


C’è una evidente ingiustizia nella retribuzione degli operai, come alcuni di loro fanno giustamente notare. Ma nello stesso tempo ci sono degli accordi che vengono rispettati da parte del datore di lavoro: ‘non hai forse concordato con me per un denaro?’. Se ingiustizia c’è è un’ingiustizia alla rovescia. Solitamente chi commette un’ingiustizia dà meno di quanto dovrebbe. In questo caso viene dato di più. Ma rimane pur sempre un’ingiustizia, o quantomeno un qualche tipo di squilibrio. Chi ha lavorato tutto il giorno si lamenta perché riceve la stessa paga di chi ha lavorato una sola ora. Cosa significa tutto questo? E cosa c’entriamo noi che stiamo cercando di capire il messaggio di questa parabola? Credo che una chiave per sbrogliare questo intreccio sia una semplice constatazione. Istintivamente ci viene da prendere le parti di chi ha lavorato di più, e se vogliamo paragonare la situazione raccontata da questa parabola con la nostra condizione personale di cristiani impegnati ci viene da domandarci: il fatto che il Signore alla fine trovi il modo per salvare tutti, anche chi ha fatto ben poco per lui (magari senza sua colpa, perchè nessuno lo ha chiamato), non suscita in noi una rivendicazione, o almeno un'impressione di ingiustizia fatta nei nostri confronti?
Ma se valutiamo la nostra vita, le nostre giornate, onestamente, chi di noi può rivendicare di impegnarsi a tempo pieno per il Signore? Nei suoi confronti siamo davvero i più impegnati, i più assidui, i più devoti? O piuttosto dovremmo constatare di essere quelli che a lui dedicano ben poco tempo, energie e impegno? In quale vigna lavoriamo solitamente, in quella del Signore o nella nostra? Allora piano piano scopriremmo che noi, paragonati ai lavoratori della parabola, non siamo affatto i primi, ma gli ultimi, quelli che dedicano al lavoro per il Signore e Padrone ‘un’ora soltanto’, per citare le parole di Gesù. Anzi, credo che in realtà dedichiamo tutti quanti ben di meno.
Allora forse, invece di lamentarci e brontolare, ci verrà da ringraziare questo strano Padrone che pur servendolo così poco e male ci dà la stessa paga di chi davvero ha dedicato per lui tutta la vita (e magari ci ha anche lasciato le penne).


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