Quando l'estate di San Martino era spesso il grigio giorno del trasloco del contadino
È
forse la globalizzazione strisciante che porta con sé la voglia di
riscoprire antiche tradizioni legate al mondo rurale. Tra le
"riscoperte" vi è l'11 novembre, giorno dedicato a San Martino. Questa
data segnava la fine dell'anno agrario e quindi il contratto di lavoro,
che era annuale e che poteva essere rinnovato oppure no. Per il
contadino al quale non veniva rinnovato, significava perdere non solo il
lavoro, ma anche la casa. In questo giorno avvenivano quindi i
traslochi e spesso s'incrociavano le famiglie che andavano e quelle che
tornavano: le stesse scene si ripetevano di cascina in cascina. Sul
carro venivano poste le poche proprietà: i mobili, le scorte di viveri,
il legname, le gabbie di polli, il maiale e i bambini e i vecchi. È così
che anche in città si è trasferita l'abitudine di fare i traslochi
durante il periodo di San Martino a novembre, tanto che si usa dire
"fare San Martino" per indicare il trasloco. Ma per chi aveva
scampato il pericolo della fame e la paura per ciò che poteva accadere
nel nuovo anno agrario, si trasformava in un giorno di festa, favorita
dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorreva finire per
pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata.
Un riscontro storico della diffusione di questo idioma è legato alla battaglia di Solferino e San Martino. Si tramanda che il re Vittorio Emanuele II, preoccupato per l'andamento della battaglia di San Martino, si rivolse nel comune dialetto ad una formazione di soldati piemontesi della Brigata "Aosta", di passaggio da Castelvenzago, con la celebre frase: «Fioeui, o i piuma San Martin o i auti an fa fé San Martin a nui!» (« Ragazzi, o prendiamo san Martino o gli altri fan fare San Martino a noi!»).
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