martedì 11 febbraio 2014

sale e luce



Lc 15, 13-16

Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra;

Il sale dà sapore, ma solo se dosato nel modo giusto. Senza sale un piatto è sciapo, insignificante. Con troppo sale diventa immangiabile. Ma noi siamo il sale. Se potrebbe essere abbastanza ovvio sentirsi dire che abbiamo in qualche modo un ruolo nel mondo, mi sembrano sorprendenti le conseguenze della condizione opposta: non dobbiamo essere troppo presenti, altrimenti il mondo diventa ‘immangiabile’.
Credo sia un’esperienza comune a molti di noi quella di trovarsi in minoranza in molte situazioni di vita. Essere ad esempio gli unici della famiglia o della classe, dell’ufficio, del gruppo di amici che vanno a messa. La percentuale di praticanti qui nella mia zona è all’incirca intorno al 10% della popolazione. Siamo presenti in piccole dosi. E mi capita molto spesso di incontrare miei parrocchiani che mi parlano della difficoltà nell’avere figli o nipoti (per gli anziani questo è spesso un dramma) o comunque familiari che non vogliono saperne di chiesa o di fede, con le conseguenti recriminazioni: non ho saputo educarli, non sono stato capace di comunicare loro questa esperienza, non ho saputo fare bene il mio dovere di genitore.
Le parole di Gesù in questo testo mi hanno fatto molto pensare. Se dobbiamo essere il sale, allora non dobbiamo essere il tutto. Non dobbiamo pretendere che tutti diventino come noi. Portando all’estremo queste sue parole potremmo dire: ‘guai se tutti fossero come noi’. Così come sarebbe un guaio se tutta la pasta, o l’arrosto, o la minestra diventasse sale. Nostro compito è rendere saporito, significativo, ciò che deve mantenere il suo sapore, il suo gusto, che con il sale viene esaltato, non annullato. A me sembra una cosa strabiliante.

ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

La conseguenza che Gesù sottolinea non va nella direzione del cambiare l’identità degli altri, ma nell’invito a verificare la propria identità: il nostro compito è rivolto a noi stessi. Dobbiamo assicurarci di avere sapore, di essere quello che dobbiamo essere. 

  
Voi siete la luce del mondo;

La seconda immagine che usa Gesù è simile alla prima, ma serve a sottolineare un altro aspetto della nostra identità di discepoli di Gesù. La luce non cambia le cose che illumina, ma le rende visibili. E solo se sono visibili se ne può cogliere la bellezza. Così il cristiano, la chiesa, non deve, come detto prima, cambiare la natura delle cose e delle persone che incontra, ma illuminarla, in modo che esse conoscano meglio ciò che sono. Perché possano splendere in tutta la loro bellezza o anche perché possano vedere le proprie bruttezze, che così potranno essere corrette. In una casa completamente buia diventa quasi impossibile muoversi, e inoltre non è possibile vederne le parti sporche e da ripulire.

non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Le ‘opere buone’ devono essere viste, non tenute nascoste, non per vantarcene (infatti la gloria di queste opere deve andare a Dio, non a noi), ma perché queste azioni hanno in sé il potere di illuminare, di far vedere come si fa.

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