giovedì 11 settembre 2014

Se...



Mt 18, 15-20

Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te,

Nel vangelo di domenica scorsa, Gesù evoca un dilemma molto comune, che tutti abbiamo almeno una volta sperimentato: cosa devo fare se qualcuno mi fa del male? Ciascuno reagisce come ritiene meglio, ma un cristiano che deve fare? Gesù risponde utilizzando alcuni termini molto significativi.
La prima parola chiave è: ‘se’. Gesù non dice ‘Quando il tuo fratello…’ ma ‘Se il tuo fratello…’. Mi ha fatto molto pensare questa condizione posta da Gesù, perché mi sembra che inviti a chiedersi per prima cosa: ma è proprio vero che qualcuno mi sta facendo del male? Ovviamente ci sono dei casi in cui questo male è evidente e oggettivo e nessuno lo può negare. Nel qual caso bisognerà decidere come comportarsi. Ma credo ci siano anche molti casi in cui la valutazione del male che ci viene fatto sia solamente soggettiva. In altre parole, siamo noi che lo pensiamo, siamo noi che ci sentiamo attaccati o accusati, siamo noi che giudichiamo solamente in base a una nostra impressione. E spesso ci arrabbiamo davvero per delle stupidaggini. Oppure rendiamo enormi delle cose veramente da poco, ingigantendole e rendendole casi da sicurezza nazionale. E questo lo facciamo dentro di noi, rimuginandoci sopra giorni, mesi e anni, oppure (come vedremo tra poco) rendendoli pubblici, coinvolgendo altre persone e cercando alleati che ci diano ragione.
Allora questa parolina, ‘se’, credo ci inviti a chiederci innanzitutto se stiamo valutando davvero nel modo giusto ciò che ci succede. Perché se onestamente mi rendo conto che in realtà il male che mi è stato fatto è solo una mia impressione, oppure è stato fatto senza cattiva intenzione, oppure è poca cosa e basterebbe ignorarlo o passarci sopra senza ingigantirlo, questa sarebbe una strada da percorrere per risolvere alcuni contrasti prima che diventino conflitti.
Pensando a situazioni di poco conto che vengono amplificate oltre misura, mi è tornato alla mente questo testo:

Sto ascoltando Radio Maria in auto. Le telefonate che arrivano mi fanno torcere lo stomaco (che ogni volta rischio di andare a sbattere con l’auto) e mi portano alle soglie del vomito e dell’isteria: la lingua italiana torturata a morte, accenti strapaesani pesantissimi e orribili, gente che ha i pupazzi in testa e che vive in un mondo immaginario, fatto di piccinerie, incapace di trovare spiegazioni ai fenomeni più semplici e che di questi fa grandi miserabili drammi.

Ma aggiungo anche il seguito, da non tralasciare:

Insomma: veri casi umani, gli ascoltatori di Radio Maria, fenomeni – ti vien di pensare, almeno di quelli che chiamano in trasmissione – di alienazione sociale quando non di alienazione e basta, con sindromi maniaco-religiose compulsive.
Mi si torce lo stomaco, ma sono consapevole che pure questo è l’immenso popolo cattolico, popolo di Dio, il quale prevede e “vuole tutto” e dentro la rete di Pietro – è scritto – ci finiscono pesci grossi e piccoli, commestibili e velenosi, preziosi e scadenti, brutti e belli. Anche per loro, soprattutto per loro, i semplici ma proprio raso terra, è stato preparato il Regno dei Cielo… Saranno soprattutto loro ad ereditare il Regno. Per me, che so ben parlare italiano, che capisco molto di più di questi (tanto da biasimarli), che di religione cattolica so moltissimo, che credo pure di essere discretamente intelligente e discretamente quasi colto, proprio per tutte queste cose, uno come me avrà molte meno attenuanti dinanzi a Dio, di molte più cose sarà chiamato a rispondere, più severo sarà il giudizio: peccando l’ho fatto nella più piena consapevolezza, morale, culturale e teologica. “Eppure tu lo sapevi!”, mi apostroferà Iddio, già me lo immagino… Loro, invece, i semplici, avranno tutt’altro trattamento: “Tu questo non lo sapevi, non te l’hanno saputo spiegare bene: sei perdonato, vieni alla mia destra!”.
Antonio Margheriti Mastino



va’ e ammoniscilo fra te e lui solo;

Tenuto conto della possibilità che il male commesso contro di noi non sia reale, o sia così piccolo e ignorabile da essere immediatamente stoppato, passiamo alla situazione in cui questo male invece è oggettivo e grave. L’indicazione di Gesù è molto precisa: affrontalo con il diretto interessato. Gesù non lascia alternative, quelle alternative che invece spesso, credo, noi mettiamo in atto, per prima cosa parlandone con altri (e in questi altri ovviamente cercando il consenso alla nostra posizione). E così parte il pettegolezzo e la maldicenza, che anche quando riporta fatti reali non serve a nulla per affrontarli e risolverli, anzi, li amplifica e li rende pubblici.
Lo scopo di Gesù, e quindi anche del cristiano, è sempre salvifico, e ha come obiettivo l’individuare il male, quando c’è,  affrontarlo e fermarlo. Possibilmente ridurlo e eliminarlo. Il pettegolezzo e la maldicenza invece vanno esattamente nella direzione opposta: non affrontano il male, non lo fermano e anzi lo pubblicizzano, moltiplicandolo. Ecco perché Gesù è così preciso nel dare questa indicazione: ‘ammoniscilo tra te e lui solo’.

se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;

Il comando di Gesù di reagire al male affrontando direttamente e personalmente chi lo ha commesso, a differenza del perdono che è una decisione unilaterale, chiama in causa il confronto diretto. E mentre il perdono rende certamente più santo chi lo pratica ma non incide per nulla su chi ha commesso il male (a meno che non rimanga colpito dal perdono dell’altro tanto da mettersi in discussione), il confronto ha lo scopo di far capire all’altro la gravità del male che ha commesso. Il perdono è più personale, intimo. Il confronto è più altruistico, se vogliamo. Inoltre il perdono può sempre essere messo in atto anche dopo il confronto, specialmente se l’altro non ha voluto né ascoltare né mettersi in discussione.

se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.

La seconda parola interessante che Gesù usa è ‘testimoni’. Notavo prima che in occasione di un attacco che sentiamo fatto alla nostra persona, una delle cose che istintivamente tendiamo a fare è cercare dei nostri sostenitori, qualcuno che ci protegga, che stia dalla nostra parte, che ci faccia sentire forti. Ma ne va di mezzo la verità degli eventi. Infatti quelli che cerchiamo noi non sono persone che ci aiutino ad appurare la realtà dei fatti, ma piuttosto persone che ci diano ragione.


Quando Gesù estende l’intervento ad altre persone oltre ai due contendenti, non invita a cercare dei complici, ma dei testimoni. Cioè persone che siano in grado di chiarire come si siano svolti realmente i fatti. E’ un po’ quello che succede per un incidente stradale. Se chi ha torto lo riconosce la questione si risolve in fretta. Ma se chi ha torto vuole ad ogni costo aver anche lui ragione, oppure se chi è coinvolto nell’incidente è talmente alterato da non essere capace di ascoltare e ragionare, è necessario trovare qualcuno, dei testimoni appunto, che possano descrivere la dinamica dei fatti, che supportata dalle norme del codice stradale permette ai vigili di stabilire i torti e le ragioni.
Insomma, Gesù non invita a fare la voce grossa, ma a far valere le proprie ragioni chiamando in causa altre persone oltre ai diretti interessati, ma sempre con la finalità di capire cosa davvero è avvenuto. Sappiamo molto bene che le interpretazioni personali, le visioni di parte e i propri punti di vista spesso non permettano di riconoscere la realtà dei fatti. E la difesa ad oltranza del proprio punto di vista o del proprio interesse è uno dei motivi più ricorrenti nelle nostre contese.
Infatti Gesù insiste sul termine ‘ascoltare’, come elemento fondamentale. Se io so ‘ascoltare’, cioè so uscire da me stesso e dalla mia visione delle cose e so ricevere quello che viene dall’esterno, allora riesco più facilmente a capire la realtà e le persone.

Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

Nel caso estremo in cui chi ha fatto del male non voglia intendere ragioni e non voglia ascoltare, questi deve essere messo a confronto con la comunità. E per comunità si può intendere quella civile, quella religiosa (la chiesa), ma anche la comunità familiare o del gruppo in cui questa persona opera (ufficio, squadra…). Se non vuole ascoltare la comunità, espressa attraverso le sue leggi e regole, che si deve fare? Gesù dice esplicitamente di trattarlo come chi è fuori della comunità stessa.
Gesù è molto preciso in merito, ma al termine di questa istruzione, molto esplicita e chiara, come si è visto, c’è ancora una cosa significativa da notare. L’azione del cristiano non può terminare con la cacciata fuori della comunità, ci sono ancora dei passi da fare. I due termini che Gesù usa, ‘pagano’ e ‘pubblicano’, suonano come un avvertimento per il cristiano, perché sono proprio i termini biblici che vengono usati quando si parla di coloro che sono fuori della comunità. I pagani sono fuori perché hanno una religione diversa, i pubblicani sono fuori perché pur essendo correligionari, sono dei peccatori, hanno violato le regole religiose e morali di appartenenza. Ma Gesù è venuto perché tutti possano essere salvati. Così si crea un cerchio: Gesù è venuto per portare a tutti, pagani e pubblicani compresi, la salvezza, ma una volta accettata questa proposta i pubblicani e i pagani devono accettare le norme della comunità cristiana, senza le quali l’aver ascoltato Gesù non è sufficiente. Devono rispettare le regole della squadra di cui sono stati chiamati a far parte da Gesù stesso (mentre qualcuno particolarmente zelante voleva lasciarli fuori), ma se non accettano si mettono da soli fuori della comunità. Ma se sono fuori trovano di nuovo Gesù che ‘sta con i peccatori e i pubblicani’ proprio per riportarli dentro. E via di questo passo. Una realtà comunitaria con regole ben precise e con una precisa identità, ma che ha come sorvegliante un Gesù che stabilisce lui stesso le regole ma contemporaneamente fa di tutto perché chi è fuori possa tornare dentro.


Levi preparò a Gesù un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: “Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?”. Gesù rispose: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”. Lc 5, 29-32

Ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. Ef, 2, 11-21

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