giovedì 16 marzo 2023

Siloe

Gv 9, 1-41

Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita
Quest’uomo non è solo cieco, lo è dalla nascita. Non ha perso la vista, non l’ha mai avuta. Quindi non può neppure farsi un’idea di cosa voglia dire ‘vedere’. Non può neppure immaginarlo. Quindi non può desiderarlo. Al più può rendersi conto che gli manca qualcosa. Non è una situazione molto diversa dal nostro essere incapaci da soli di vedere Dio. Anche noi in questo siamo ciechi dalla nascita. Senza un intervento di Dio stesso non saremo mai capaci di conoscerlo. In questo episodio il verbo ‘vedere’ assume un significato più vasto del semplice uso degli occhi, significa anche sapere, capire e conoscere.

e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?».
I discepoli non si chiedono il perché della situazione di quest’uomo. Sarebbe una domanda legittima e fondamentale. Hanno già una risposta: è così in conseguenza di un peccato, suo o dei genitori. Non è una risposta che ci sia estranea: ‘cosa ho fatto di male per…’ è una espressione che abbiamo tutti sentito, credo, o magari anche pronunciato. Ma è sbagliata. Crea un rapporto di causa-effetto che non esiste. Ma soprattutto
…il risultato di questa teoria è una grave mistificazione: i ricchi e i sani sarebbero buoni e benedetti da Dio, mentre i poveri e i sofferenti sarebbero cattivi, maledetti dal cielo’.
Silvano Fausti, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, pag. 227
Il problema in questo caso non è tanto che i discepoli abbiano una loro idea del mondo e di Dio. Sarebbe legittimo e comprensibile. Pur con i nostri limiti una nostra idea delle cose dobbiamo pur farcela. Il guaio dei discepoli è che danno per scontata la loro idea, non la mettono in discussione.
Questa domanda dei discepoli non è molto diversa da quella che inevitabilmente viene anche a noi in questi giorni: anche noi potremmo essere tentati di chiederci se quello che sta succedendo non sia una punizione divina (proprio oggi ho sentito qualcuno fare questa affermazione). Anche all’interno della chiesa c’è chi sta proponendo questa lettura della realtà. Vedremo come Gesù risponde.
L’inizio di questo episodio è molto coinvolgente: c’è un cieco dalla nascita (che quindi non ci vede), c’è uno che vede molto bene (Gesù) e ci sono i discepoli che credono di vedere ma si sbagliano. Non sono gli unici, come vedremo

Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Il modo di pensare dei discepoli (non molto diverso dal nostro, come abbiamo visto) viene corretto da Gesù. Siete ciechi anche voi: le cose non stanno come voi credete. Né lui ha peccato né i suoi genitori. Il peccato non è la causa. Però questo genera un altro dilemma: se non è lui che ha peccato allora è Dio che ha voluto così. Finiamo dalla padella nella brace. Da un Dio che punisce a un Dio che vuole il male. Se i limiti fisici non sono colpa dell’uomo allora sono colpa di Dio.
Il problema è che anche noi non ci vediamo tanto bene: consideriamo come male ogni limite o difetto. Certamente i limiti in quanto tali sono degli ostacoli, ma la differenza con il peccato è abissale. Il peccato impedisce la salvezza, i limiti no. Anzi, in modo quasi paradossale, come fa notare Gesù, i limiti e i difetti possono essere addirittura dei mezzi che permettono l’azione di Dio.
San Paolo aveva capito bene, per averlo vissuto sulla propria pelle, quanto sia importante che Dio possa agire, anche grazie ai nostri limiti:
…mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. II Cor 12, 7-10
Dalla Scrittura emerge sempre il nostro ritratto. Non ci parla solo di altri, parla di noi. Il primo protagonista di questo episodio, oltre a Gesù, è il cieco. E questo cieco siamo noi. Allora sentirci dire ‘tu sei così, con i tuoi limiti e difetti, e proprio perché sei così in te si manifesteranno le opere di Dio’ cambia la visione delle cose. Gesù sta aiutando anche noi a vederci meglio.


Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 
Che i difetti e i limiti possano essere un ambiente in cui Dio può agire è una bella scoperta, però bisogna che poi Dio agisca, altrimenti i limiti e i difetti rimangono tali. In greco, lingua dei vangeli, ci sono due termini per indicare il tempo: Krònos, che è il tempo che scorre e passa, e Kairòs, che è il momento buono, l’attimo da non lasciarsi scappare. È il momento in cui il ragazzo timido coglie il coraggio per dichiararsi alla ragazza di cui è innamorato. È l’attimo in cui l’atleta afferra l’opportunità di battere il record. È tempo giusto in cui l’imprenditore lancia sul mercato un nuovo prodotto perché diventi un successo. E’ l’adesso o mai più. Questo è anche l’intervento di Cristo nel mondo: è il momento giusto in cui può intervenire.
Ancora san Paolo:
…vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! II Cor 6, 1-2
Questi giorni in cui veniamo messi di fronte non solo alle limitazioni che conosciamo, ma anche alla dura realtà della fragilità della nostra vita e della vita dei nostri cari, e temiamo di perderli, sono anche i giorni favorevoli per scoprire o riscoprire le cose essenziali, tra cui anche Dio. Stiamo scoprendo quanto sia importante vivere bene il tempo che abbiamo a disposizione.

Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco
Questo gesto di Gesù richiama il momento della creazione dell’uomo nella Genesi. Ciò che esce dalla bocca di Dio viene unito alla polvere del suolo e genera vita. Il testo della Genesi gioca sull’assonanza dei nomi: adamà è la terra da cui viene tratto Adàm, l’uomo.
Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita. Gen 2,7
L’azione di Dio, il suo soffio vitale, il suo tocco si mescolano con la nostra fragilità, con il nostro essere polvere e terra, e generano qualcosa di vivo.

e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Perché Gesù non guarisce immediatamente il cieco e gli chiede invece questo movimento (è ancora cieco, quindi dovrà faticare per arrivare alla piscina, che è fuori della città)? Non lo sappiamo, ma possiamo fare un’ipotesi: in altri episodi di guarigione, Gesù chiede agli interessati se vogliono guarire.
Vi è a Gerusalemme una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà … Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?”. Gv 5, 1-6
Ma questa domanda non può essere fatta al cieco nato, che in quanto tale non può chiedere di avere qualcosa che non conosce. Chi è malato desidera guarire, ma chi non ha mai visto la luce non può desiderarla. Non sa cosa sia. Allora Gesù interviene di iniziativa sua. Però vuole che il cieco scelga liberamente se collaborare. Non può liberamente decidere di vedere, ma può liberamente decidere se obbedire all’ordine di andare alla piscina.

Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
I vicini lo avevano visto e ora non lo riconoscono. Anche loro non ci vedono bene. Lui invece non solo vede bene, ma si vede bene. Nel vangelo di Giovanni l’espressione ‘sono io/io sono’ è sempre messa in bocca a Gesù, e richiama il nome e l’identità di Dio.
Mosè disse a Dio: “Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”. Es 3, 13-14
Qui l’espressione di identità viene messa in bocca all’uomo che era cieco. Ora vede bene non solo il mondo, ma anche sé stesso: io so chi sono! Sono gli altri ora che non ci vedono bene.
D’ora in poi emergerà in modo evidente l’intercambiabilità dei termini vedere/sapere/conoscere/capire.

Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
L’opera di ritorno alla luce non è ancora completa nell’uomo che era cieco. Vede bene gli altri, vede bene se stesso, ma non riesce ancora a vedere, a conoscere bene, chi lo ha portato alla luce. Non sa dov’è però sa chi è. Comincia a conoscere qualcosa di Gesù: il suo nome.

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro.
I farisei sono entrati nel nostro immaginario religioso come gli ipocriti per eccellenza. E dal loro atteggiamento verso Gesù in effetti questa impressione è più che confermata. Ma non dimentichiamo che erano i custodi dell’osservanza della Legge che Dio aveva dato al suo popolo attraverso Mosè. Il problema è che nel custodire la Legge e le sue precisissime norme, alcuni di loro avevano perduto il significato della Legge stessa, che aveva lo scopo di guidare il popolo verso Dio, mentre loro ne avevano fatto un assoluto: la cosa più importante per loro era obbedire alla Legge e alle sue norme, non lasciarsene guidare per incontrare Dio. È proprio il caso di dire che obbedivano ciecamente alla Legge. Per questo, riguardo al rispetto delle regole più importanti, tra cui il Sabato, erano estremamente intransigenti, tanto da non essere più capaci, come in questo caso, di vedere una evidente azione di Dio. Non è la prima volta che succede:
il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. Il Signore replicò: “Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”. Lc 13, 14-16


Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Piano piano l’uomo prosegue il suo cammino di illuminazione interiore. Riconosce Gesù come profeta.

Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Un lungo gioco sui termini sapere/non sapere. Tutto il dialogo si svolge sulla capacità/incapacità di ciascuno di conoscere quello che sta accadendo e di capirne/vederne il significato. Chi ammette di non sapere almeno cerca di capire. Chi si illude di sapere finisce per chiudere gli occhi della mente e diventare cieco.

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
Cade l’ultimo ostacolo che impedisce all’uomo che ha ottenuto la vista degli occhi ma non sa ancora vedere bene con la mente e il cuore. Ora vede Gesù, ma non solo, lo vede nel profondo, lo conosce e lo riconosce come Signore. Ancora una volta ci viene detto che la fede non è, come spesso la intendiamo, un credere senza capire e senza conoscere, ma esattamente il contrario. Quest’uomo crede in Cristo solo quando lo ha conosciuto e riconosciuto, e solo quando Gesù stesso gli si è presentato per quello che è.

Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Tutto l’episodio è un parallelo tra chi non vede/non capisce/non conosce ma piano piano si mette in discussione e arriva a vedere/capire/conoscere Cristo, e chi è convinto di vedere/capire/conoscere e proprio per questo diventa sempre più cieco.
Il peccato che i discepoli avevano visto dove non c’era ecco che ora spunta fuori proprio tra coloro che sono convinti di essere giusti (siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane).
In questo episodio ci sono tante persone da guarire dalla cecità: i discepoli, i farisei, i genitori del cieco, e anche noi. È interessante vedere come i protagonisti dell’episodio si rendono (o non si rendono) conto della propria cecità, e quali sono le conseguenze per loro. I ciechi recuperano la vista, quelli che credono di vederci bene rimangono ciechi.



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